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29/Giu/2020

Malattia di Devic o neuromielite ottica

La malattia di Devic, nota anche come neuromielite ottica, è una patologia rara (1 caso su 100.000) caratterizzata da Neurite ottica mono o bi-laterale e da mielite acuta (infiammazione del midollo spinale) che rientra nelle malattie demielimizzati.

Questo tipo di patologia comporta grave riduzione visiva, fino alla cecità che solitamente insorge acutamente, disturbi sensoriali generalizzati e alterazione degli sfinteri; come tutte le forme demielinizzati procede per poussée (recidive) che possono manifestarsi nel corso di mesi o anni. L’età di insorgenza è solitamente giovanile, inizialmente i sintomi possono apparire poco comprensibili per fare una giusta diagnosi. I pazienti talvolta manifestano nausea, disturbi digestivi, a volte vomito, e disturbi del sonno; oppure possiamo trovarci di fronte a casi più acuti per la comparsa di un edema celebrale che può portare fino al coma.

Cause

L’impulso nervoso e la sua propagazione dipende da particolari equilibri biochimici a livello della membrana cellulare

La causa dell’insorgere della malattia, su base essenzialmente autoimmune ed infiammatoria, attualmente non è chiara. Si ritiene che sia dovuta alla presenza di anticorpi rivolti verso l’acquaporina/4; una proteina della membrana cellulare che regola il flusso idrico attraverso la cellula. In particolare l’anticorpo della neuromielite ottica attacca gli astrociti (particolari cellule del sistema nervoso centrale con caratteristica forma stellata) che nel cervello e nel midollo spinale sono dieci volte più numerosi dei neuroni. Oltre a fornire nutrimento ai neuroni e a supportarne il processo di riparazione e di rimarginazione, le altre funzioni chiave svolte dagli astrociti includono la regolazione dell’acqua dei tessuti, delle attività elettriche dei neuroni e la stabilizzazione  la copertura protettiva dei nervi (la mielina).

Attaccando i canali proteici per il trasporto dell’acqua sugli astrociti, l’anticorpo distrugge anche tutte le funzioni dinamiche correlate dell’astrocito e, negli attacchi acuti, uccide molti astrociti. La mancanza di astrociti provoca una modificazione di particolari neurotrasmettitori con la conseguente alterazione dell’ambiente adatto alla vita dei neuroni; essendo inoltre gli astrociti una fonte di riparazione delle lesioni celebrali, il loro non funzionamento può generare problematiche cliniche dall’epilessia al parkinsonismo fino alla Corea di Huntington.

Diagnosi

La risonanza magnetica evidenzia lesioni caratteristiche a carico dei nervi ottici e del midollo spinale. In particolare, quelle localizzate a quest’ultima struttura e che, durante un attacco acuto di mielite si estendono fino comprendere un tratto equivalente a 3-4 vertebre, permettono di differenziare la neuromielite ottica dalla sclerosi multipla. Nelle fasi iniziali della malattia di Devic la RMN può non trovare alcuna lesione nell’encefalo. L’esame fondamentale a conferma della diagnosi è il rilievo della presenza di anticorpi anti-aquaporina-4 nel sangue. Per valutare l’interessamento dei nervi ottici si eseguono i potenziali evocati visivi; l’esame OCT del nervo ottico permette di valutare i danni a carico delle cellule ganglionari.

Terapia

La terapia si basa sull’uso di cortisonici ad alto dosaggio, immunosoppressori e anticorpi monoclonali attivi contro i linfociti B. In ogni caso la terapia va protratta per lunghi periodi e occorre controllare il manifestarsi di eventi avversi specie con l’uso di anticorpi monoclonali. Nei casi più gravi è possibile ricorrere alla plasmaferesi.


29/Giu/2020

Tre patologie neuro-degenerative per molti versi chimicamente affini

In questo breve articolo metteremo in evidenza come, per la mia esperienza clinica, tre patologie neuro degenerative come le maculopatie ed i morbi di Parkinson e di Altzheimer, abbiano affinità chimiche tali da potersi considerare come una stessa malattia in strutture diverse. Nel morbo di Parkinson si ha un accumulo nei nuclei della base di una proteina anomala chiamata si-nucleina che agglomerandosi forma i Corpi di Lewy e questo determina un deficit nella produzione di dopamina. La stessa α-sinucleina, quando si deposita sull’epitelio pigmentato retinico – vero laboratorio biochimico della retina e, indirettamente, delle fibre ganglionari del nervo ottico – crea una maculopatia determinando la formazione di una sostanza lipo-proteica, chiamata lipofuscina, che “soffocando” la funzione dell’epitelio pigmentato comporta una riduzione di dopamina.

neuro-recettore della levodopa

Infatti, nei pazienti che utilizzano la levodopa, che agisce da neuro-protettore, per la cura del morbo di Parkinson, si riscontrano meno possibilità di sviluppare neuropatie ottiche e maculopatie (studi parlano di riduzione della probabilità ad 1/3); al contrario, chi è affetto da maculopatie ha il 25% di probabilità di sviluppare il morbo di Parkinson.

Per quanto riguarda la terza patologia…..

…la lipofuscina ha enormi somiglianze chimiche con la sostanza amiloide riscontrata nella sindrome di Alzheimer; l’epitelio pigmentato retinico, non solo produce levodopa, ma anche fattori antinfiammatori che aiutano la crescita delle terminazioni dopaminergiche favorendo la rigenerazione della dopamina stessa; anche la melanina, ormone che regola il ritmo sonno-veglia, svolge un ruolo importante in quanto il suo deficit è uno dei fattori concomitanti nelle maculopatie.

maculopatia colloide
maculopatia secca con depositi amiloidi (drusen)

Nell’Alzheimer, la proteina tossica che si deposita sull’ippocampo e sulla corteccia frontale viene chiamata tau ed è per molti versi è simile alla α-sinucleina; studi recenti hanno identificato un enzima, l’asparagina-endopeptidasi, che agisce stimolando la formazione della α-sinucleina. Se questo enzima viene inattivato si formeranno meno aggregati tossici di proteine anomale riducendo la tossicità che questi hanno sui neuroni. Probabilmente la stessa inibizione porterà anche ad una riduzione della proteina tau tipica dell’Alzheimer e simile a quella caratteristica del Parkinson.

Terapie

Per la rimozione di queste proteine tossiche si stanno mettendo a punto anticorpi monoclonali umanizzati che rappresenteranno una nuova frontiera verso tutte le malattie neuro-degenerative. Altro aspetto importante è quello di aiutare i mitocondri, che sono fonti di energia per la cellula nervosa, con antiossidanti mitocondriali; il raxone o idebenone normalmente utilizzato nella sindrome di Leber e nell’atrofia ottica dominante, malattie genetiche che colpiscono il nervo ottico. Queste osservazioni ci portano a concludere che si può ben affermare che le tre patologie possono considerarsi come una stessa malattia in strutture diverse.

Esiste oggi la possibilità con test salivari di individuare la presenza di α-sinucleina. Quindi si può svolgere un’azione di profilassi sulla possibilità dell’individuo di sviluppare sia la maculopatia che il morbo di Parkinson.

La conclusione che accomuna le tre condizioni di deficit è che per contrastare la maculopatia occorrono, non solo anticorpi monoclonali, ma anche la levodopa e l’idebenone, in associazione con l‘acido lipoico; tutte sostanze che agiscono come potenti neuro protettori impedendo la formazione di sostanza amiloide che, in tutte e tre le patologie, costituisce la causa del deficit di dopamina.

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05/Mag/2020

 La Congiuntivite da Covid

articolo presente in “DS – Dossier Salute” magazine un line al seguente link

Sembrerebbe che recenti studi dello Spallanzani evidenzino come gli occhi siano una possibile fonte di contagio del virus COVID. Dagli stessi studi inoltre emerge che il coronavirus è attivo anche nelle secrezioni lacrimali, dei pazienti positivi; da un tampone oculare i ricercatori hanno isolato il virus, dimostrando che esso è in grado di replicarsi anche nelle congiuntive. La ricerca ha anche evidenziato che i tamponi oculari possono essere positivi quando invece i campioni del distretto respiratorio non mostrano più tracce del virus: alcuni campioni respiratori  esaminati, infatti, a tre settimane dal ricovero risultavano ormai negativi, mentre il campione oculare sarebbe stato ancora debolmente positivo sino a 27 giorni dal ricovero.

A questo punto c’è da chiedersi se la congiuntivite da covid sia l’ennesima chimera creata per creare ulteriore apprensione, come se quella già innescata non fosse abbastanza, o si tratti di una evoluzione per così dire “normale” di un virus di cui poco si conosce, ma che si comporta in definitiva come molti altri; è possibile trovarlo nelle secrezioni e, quindi, anche nelle lacrime.

La cheratite da Adenovirus è una patologia ben più dannosa per l’apparato visivo

Ciò che è certo è che saranno necessari ulteriori studi per verificare fino a quando il virus continua ad essere attivo, e soprattutto con quale e quanta carica virale, risulti potenzialmente infettivo nelle lacrime.

La “congiuntivite da Covid” si trasmette spesso per “autocontagio” con le mani; può essere presente quindi nelle secrezioni lacrimali in pazienti già affetti dal virus, seppur con bassa carica virale, nella maggior parte dei casi.  Le lacrime infatti contengono naturalmente lisozima; che è una sostanza che ha la funzione principale di proteggere l’occhio e ripulirlo allergeni, batteri e virus; inoltre i movimenti oculari uniti all’azione “filtrante” delle ciglia ne aumentano l’efficacia.

Tenendo ora presente che la malattia si manifesta in presenza di alte cariche virali e se lacrime infette arrivano fino alla mucosa della gola, mi sento di poter affermare, secondo la mia esperienza clinica, che molto più pericolosi a livello dell’apparato oculare e corneale restano gli herpes, gli adenovirus che sono decine di migliaia di volte più frequenti della congiuntivite da coronavirus .

Le congiuntiviti veicolate dal virus covid, tra l’altro, non causano, nella quasi totalità dei casi, danni corneali e il rossore si presenta uniforme e tenue, indistinguibile da altre lievi infiammazioni congiuntivali.

E poi come si cura un eventuale congiuntivite da coronavirus se per il virus non esiste terapia?

Unico dato di orientamento: il paziente è malato di covid già diagnosticato.

A mio avviso attualmente l’unica cura possibile è rappresentata dai normali antivirali usati per l’herpes e l’adenovirus (acyclovir pomata); un lavaggio con 2 o 3 gocce di betadine al 30% per 3 minuti per poi sciacquare con soluzione fisiologica. Sempre ammesso che il covid attacchi la congiuntiva, il che ha una probabilità comunque alquanto bassa, l’unico principio attivo che per la mia esperienza, può avere effetti risolutivi è la lactoferrina; questa distrugge le membrane cellulari di virus tipo Hiv ed Ebola. Il dosaggio di lactoferrina deve essere di 40mgr al giorno in compresse.

La conclusione che mi sento di fare in chiusura a queste brevi osservazioni dettate dalla mia pluridecennale esperienza del campo delle malattie rare dell’apparato visivo, è che la probabilità che il virus covid provochi danni all’occhio è alquanto remota, come remota mi sembra anche la possibilità che le lacrime di pazienti con virus “non manifestato” da altri sintomi più gravi, contengano la carica virale sufficiente perché si possano considerare veicolo di contagio.


05/Mag/2020

Articolo pubblicato sul quotidiano “Il Tempo” del 30 Aprile 2020

Specializzato in malattie oculari, Oftalmologia presso l’Università di Parma, centro di eccellenza per lo studio e la cura delle malattie rare dell’apparato visivo, il Dott. Ciccarini si occupa principalmente di queste patologie, lavorando a stretto contatto con specialisti di fama internazionale; ha frequentato corsi di perfezionamento presso centri specializzati tra cui l’Ospedale di Lione e il John Hopkins Hospital negli Stati Uniti.

Ad oggi ha effettuato tra l’altro circa 8000 interventi con laser per la correzione di miopia, astigmatismo e ipermetropia; è stato tra i primi ad intervenire negli anni ‘90 con microtagli di 2-3 mm in anestesia topica, con pronta riabilitazione dei pazienti.

Da oltre 10 anni si occupa principalmente di malattie oculari, degenerazioni maculari e soprattutto di malattie rare: retinite pigmentosa, sindrome di Best, sindrome di Leber; per le sue terapie, abbina farmaci in uso e preparazioni galeniche magistrali con prodotti naturali da lui formulate.

D.: Da quello che si legge, lei viene considerato una sorta di oculista “visionario” avendo negli anni previsto molto sull’evoluzione delle malattie oculari, in particolare mi riferisco alla cura delle malattie rare….che può dirci?

R.:  L’attuale evoluzione scientifica ci indica che le cellule staminali non sono, allo stato dei fatti, disponibili nelle attuali tempistiche e ci vorranno anni, se non decenni, per renderle disponibili a livello terapeutico.

D.: Ma esistono controindicazioni all’utilizzo di una tale terapia?

R.: La probabilità che si sviluppino cellule anomale che potrebbero degenerare senza dubbio esiste.

D.: Allora attualmente quali sono i farmaci più all’avanguardia?

R.: Senz’altro gli anticorpi monoclonali. Questi sono usati non solo in oculistica, ma anche nella cura di malattie neoplastiche ed autoimmuni. Queste sostanze hanno potenzialità enormi e ancora sconosciute. Probabilmente in futuro farmaci di questa categoria attualmente in uso per un numero ristretto di patologie; saranno utilizzati anche nelle malattie oculari proprio per le loro capacità neuro protettive. Non è un caso che farmaci “offlabel” come la vecchia Talidomide, usata negli anni sessanta come antiacido in gravidanza e poi ritirata dal mercato perché provocava la focomelia degli arti nel feto, siano stati riabilitati ed usati nella cura di leucemie, linfomi, mielomi e come coadiuvante nel morbo di Crohn e nella malattia  di Beh¢et.

D.: E per quanto concerne il campo di applicazione specifico delle malattie dell’apparato visivo, nervo ottico e macula in particolare? In una sua recente intervista all’ANSA ha parlato anche di NGF….

R.: Per riagganciarci a quello che dicevo prima, ad esempio nella retinite pigmentosa, il trattamento con Ranibizumab usato per il trattamento degli edemi foveali, ha determinato in certi pazienti un sostanziale miglioramento del campo visivo. Tutti sperano nel trattamento genetico, ma con moltissime patologie, con decine e decine di variabili genetiche da valutare, ne sono state individuate una minima percentuale quindi siamo ancora lontani dalla proficua applicazione della terapia.

D.: Quale secondo lei allora lo scenario futuro?

R.: Sicuramente l’NGF, ma attualmente l’utilizzo è, come dicevo, estremamente limitato. Il farmaco è utilizzato soltanto come collirio e non ne è ancora consentito l’uso per via intra-vitreale. Sono ragionevolmente convinto che questo farmaco costituirà la chiave di volta per un svolta epocale nella cura delle malattie del nervo ottico sia genetiche che acquisite, con un’azione positiva anche sulle maculopatie.

Mi auguro che la mia visione si concretizzi in tempi ragionevoli in modo da poter dare una possibilità per migliorare le condizioni di vita di tutti quei pazienti che convivono con patologie oculari, magari poco conosciute, ma senza dubbio invalidanti.


16/Gen/2020

Lo studio del dottor Ciccarini dispone delle più moderne attrezzature per la diagnostica per immagini (OCT, angio-OCT, tomografia corneale); oltre che dei macchinari più all’avanguardia (laser pulsato) per la cura della  sindrome dell’occhio secco.

Guarda il video

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La sindrome dell’occhio secco, per la cui cura lo studio di Perugia del dottor Ciccarini dispone di nuove attrezzature all’avanguardia, è un malattia di frequente osservazione specie nelle donne di età superiore a 50 anni. Per questa fascia la sindrome si riscontra fra il 40 e il 50% della popolazione, con vari gradi di gravità. In casi estremi può condurre fino alla temibile sindrome si Sjogren (malattia infiammatoria cronica su base autoimmune), nella qualela cornea si sfalda a filamenti formando la cosiddetta “cheratite filamentosa” con grave pregiudizio della vista oltre che con intenso dolore.

I sintomi con cui questa sindrome si presenta sono inizialmente bruciore, arrossamento e senso  di corpo estraneo. Nelle fasi più evolute si può associare fotofobia e dolenzia del bulbo oculare per la comparsa di una cheratite. La causa principale di questa sindrome è la modificazione chimica del film lacrimale; in special modo della sua parte lipidica prodotta dalle ghiandole di Meibomio responsabili della stabilità chimica del film stesso.

Questo cambiamento chimico porta ad un’eccessiva evaporazione delle lacrime, per cui l’occhio risulta molto più fragile a modificazioni ambientali, oltre alla comparsa di blefariti, allergie e congiuntiviti per il deficit di lisozima, un particolare enzima componente della lacrima che svolge un’azione battericida naturale.

L’uso eccessivo di strumenti elettronici come computer, smartphone e tablet ha portato ad un aumento esponenziale di questa sindrome; così come l’uso eccessivo di cosmetici e lenti a contatto. Anche l’ambiente lavorativo, spesso non ben umidificato e fornito di condizionatori incide sulla evoluzione della malattia, senza considerare che probabilmente l’incremento delle polveri sottili per l’inquinamento ambientale potrebbe rappresentane la causa più importante.

Terapia

Inizialmente si utilizzano lacrime artificiali, ma se il quadro è più complesso si deve utilizzare nuove attrezzature a LASER PULSATO. La sua emissione nelle frequenze degli infrarossi è in grado di aumentare la secrezione lipidica delle ghiandole di Meibomio oltre che essere un valido aiuto per le blefariti consequenziali.

Esistono tuttavia quadri gravi che richiedono l’utilizzo di antibiotici per via generale come le minocline, l’utilizzo di colliri a base di ciclosporina fino alla chiusura dei puntini lacrimali con plug di silicone e all’uso di corticosteroidi per via generale.

Si può quindi capire, dal quadro descritto, che le terapie vanno personalizzate a seconda della gravità e della responsività ai vari trattamenti. Altre tecniche sono il probing che sonda le ghiandole di Meibomio con una punta smussata per disostruirle e il LIPIFLOW; uno strumento inserito sul bordo della palpebra che scaldando le ghiandole dovrebbe indurle a rilasciare la componente grassa del film lacrimale.

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17/Set/2019

Da: “Wealth Planet Magazine” – Luglio 2019

“Maculopatie in generale e malattie rare dell’apparato visivo più in dettaglio sono le specializzazioni del chirurgo oftalmologo” 

Il dott. Carmine Ciccarini si laurea in medicina e chirurgia nel 1983 con una tesi sui “potenziali evocati visivi” con il dipartimento di scienze neuroftalmologiche della Mount Sinai School di New York diretta dal prof. Bodis Wolner. In seguito si specializza in oftalmologia presso l’università di Parma. Frequenta corsi di aggiornamento presso l’Hospital Edouard Herriot di Lione e presso gli ospedali di Nantes e Brest.

Dal 1985 comincia una stretta relazione professionale con il dott. Forlini di Ravenna esperto di livello mondiale sulla tecnica della vitrectomia; nel 1987 ad Anversa segue un corso di vitrectomia con il prof. Zivojinovic. Negli anni ‘90 si stabilisce alla John Hopkins School di Baltimora per specializzarsi sulle malattie genetiche.

Tra i suoi interessi spiccano gli argomenti relativi alle terapie mininvasive con i laser; segue corsi di aggiornamento presso l’Ospedale Oftalmico di Roma sotto la direzione del prof. Bruno Lumbroso ed in seguito continua nel suo perfezionamento dai proff. Coscas e Soubanne di Parigi.

Dalla fine degli anni ’90 inizia ad eseguire interventi con laser ad eccimeri per la correzione di miopia, ipermetropia e astigmatismo.

Ad oggi ha effettuato oltre 8.000 interventi con tale tecnica e circa 10.000 interventi tra chirurgia della cataratta, del vitreo e dello strabismo, in Italia e all’estero.

Il dott. Ciccarini, oggi è considerato uno dei migliori oculisti specializzati del panorama nazionale, soprattutto in relazione alla cura di patologie rare e poco conosciute: “Quando ci si trova di fronte a malattie a cui normalmente i medici rispondono “non c’è nulla da fare” bisogna attuare una strategia che, anche se non ancora del tutto validata, possa consentire di dare una possibilità ai pazienti. Questo perché ogni anno decine di migliaia di pazienti perdono la vista e, con i modelli clinico/terapeutici attuali, prima che la terapia genica diventi una soluzione di massa, occorreranno decenni; allo stato attuale infatti la maggior parte dei pazienti riscontra enormi difficoltà ad accedervi.”

Come spiega il dott. Ciccarini solo pochi geni sono stati scoperti su malattie che hanno come causa decine se non centinaia di mutazioni genetiche. Sarebbe utile certamente una sburocratizzazione del sistema e permettere che, in determinate situazioni, si possano utilizzare terapie sperimentali, ancora considerate “estreme” ma che comunque abbiano potenzialità di successo, sempre procedendo attraverso la corretta informazione e l’acquisizione del consenso da parte del paziente.

L’UTILIZZO DEL NGF

L’ NGF è un farmaco, ma il suo impiego è limitato ancora a casi molto limitati e utilizzato solo in pochi centri autorizzati, quindi non accessibile alla grande quantità dei pazienti che ne potrebbero trarre effettivo beneficio.

Il dott. Ciccarini si è più volte espresso come questo farmaco possa essere molto utile per le patologie retiniche e del nervo ottico, anche se al momento viene utilizzato solo per l’uso corneale. Così come per le cellule staminali il dottore è convinto che la strada da percorrere sia quella delle cellule del cordone ombelicale, molto più sicure delle embrionali, mediante tecnica intravitreale per essere inoculate sia nel vitreo che per via sottoretinica.

SINDROME DELL’OCCHIO SECCO

La sindrome dell’occhio secco oggi colpisce circa il 50% dei soggetti tra i 50 e i 60 anni, anche se con quadri clinici differenti. Le cause, specie nelle donne, sono legate ad alterazioni ormonali come la menopausa, ma anche all’uso sconsiderato di cellulari e terminali.

Oggi fra lavoro e uso personale l’utilizzo di apparecchiature elettroniche è di 8/10 h al giorno, e, come ribadito spesso dal dott. Ciccarini, questi strumenti, alterando l’ammiccamento oculare, provocano un’eccessiva evaporazione del film lacrimale. Altre cause sono l’uso dei condizionatori, l’aria che certamente non ha più la qualità di qualche decennio fa, l’utilizzo eccessivo di lenti a contatto e, in secondo ordine, anche molte malattie autoimmuni quali la tiroidite, l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn e molte altre immunopatie.

L’unica terapia realmente utile è l’utilizzo del laser pulsato che è tra l’altro indolore e privo di effetti  collaterali. Ogni trattamento dura circa 20 minuti. Il calore emesso dal laser tramite diodi a bassa potenza che emettono un calore mirato il quale permette di sciogliere la secrezione grassa delle ghiandole di Meibomio che unendosi alla componente acquosa delle lacrime la rende più stabile e protettiva per l’occhio togliendo quel senso di secchezza oculare.

Il procedimento terapeutico utilizzato consiste inizialmente nel coprire con una mascherina in plastica gli occhi del paziente ed eseguire 5 pulsazioni della durata di pochi secondi sulla palpebra inferiore. Questa è la fase preparatoria; in seguito si applica una maschera facciale che collegata ad un computer dedicato produce un calore regolato anche in base alla pigmentazione della pelle del paziente ed è in grado di agire appunto sulle ghiandole di Meibomio sia della palpebra superiore che di quella inferiore. Io ripeto il trattamento una volta alla settimana per tre o quattro sedute. L’efficacia è superiore all’ 80%.

LE PATOLOGIE IN INCREMENTO

Tra queste senza dubbio la neuropatia ottica ischemica è oggi un evento molto più comune così come si assiste ad un aumento delle maculopatie che colpiscono un numero impressionante di persone. Nella neuropatia ottica ischemica ci si limita a somministrare cortisonici ed antitrombotici purtroppo con scarsissimi risultati.

Nessuno ricorre invece agli anticorpi monoclonali anche quando il nervo ottico è in edema evidente, così come pochissimi utilizzano la dopamina che è l’unico neuro mediatore capace di far funzionare le cellule ganglionari.

Per le maculopatie secche il quadro poi è ancora più scoraggiante. Secondo le indicazioni del dott. Ciccarini per eliminare i depositi di lipofuscina o drusen non bastano integratori ma c’è bisogno di  quello che fanno i neurochirurghi americani; ovvero utilizzare dosaggi elevati di acido lipoico, ridurre al minimo i livelli di colesterolo ed in alcuni casi utilizzare anticorpi monoclonali come nelle forme umide perché questi farmaci che valgono molto più di quanto si creda, hanno azione neuroprotettiva, bloccano la formazione dei neo- vasi che si possono formare fra le drusen ed hanno anche una certa capacità di rimuovere il materiale drusenoide.

Scarica l’articolo completo: “Botta e risposta con il Dott. Carmine Ciccarini”

Caro Carmine, la nostra redazione e i nostri lettori sono veramente onorati di poter vantare la tua disponibilità a far parte della nostra rivista. Non sfuggirà sicuramente alla sensibilità dei nostri lettori, il fatto che il tuo contributo di professionalità, operatività, idee ed esperienza hanno apportato nel mondo della medicina, nello specifico nel mondo della medicina oculistica e delle malattie rare, quei valori aggiunti indelebili. Per quanto sopra abbiamo ritenuto indispensabile la tua presenza nella nostra rubrica denominata “Botta e Risposta”, sicuri di far cosa gradita ai nostri lettori! Un saluto carissimo dalla redazione, augurandoti ancora migliori successi professionali e scientifici.


28/Mag/2019

L’ultima tecnologia in fatto di cura della sindrome dell’ occhio secco: laser pulsato

Oggi presso lo studio del dott. Carmine Ciccarini può essere effettuato anche questo trattamento specialistico innovativo

La sindrome dell’occhio secco è un’affezione che colpisce circa 400 milioni di persone nel mondo; le cause sono dovute, specie nelle donne, ad alterazioni ormonali dovute alla menopausa per la modificazione chimica che questa comporta a livello di composizione del film lacrimale.

Il 50% delle donne oltre i 50 anni ne soffre da forme moderate fino alla forma più drammatica chiamata sindrome di Sjogren dove le lesioni corneali arrivano alla cosiddetta “cheratopatia filamentosa” che comporta la formazione di ulcere corneali a filamento.

Altre cause sono le malattie autoimmuni dalla tiroidite di Hascimoto, al morbo di Chron, all’atrite reumatoide, alla LES (Lupus). Altri fattori sono l’uso eccessivo di lenti a contatto, l’inquinamento atmosferico, l’uso prolungato di terminali video. Effetto collaterale al trattamento con laser ad eccimeri.

Sintomi

La sindrome si manifesta con bruciore oculare, senso di corpo estraneo, annebbiamento visivo, lacrimazione riflessa secondaria legata alla minore capacità protettiva del film lacrimale per la cornea che sfocia in sindromi pseudo-allergiche e congiuntiviti batteriche recidivanti.

Terapia. Occhio secco: laser pulsato

Quando la terapia con sole lacrime artificiali si mostra inconsistente e la chiusura dei dotti lacrimali con plug non porta al miglioramento sperato occorre utilizzare il laser pulsato.

Il nuovo trattamento sulla causa e non sul sintomo dell’occhio secco; funziona veicolando sulle zone periorbitali  impulsi luminosi ad alta potenza che, del tutto innocui per l’occhio, generano calore. Lo “choc” termico riattiva la funzionalità delle ghiandole di Meibomio; queste riprendono così a produrre la componente grassa indispensabile per la corretta composizione del film lacrimale.

E’ stato infatti verificato da vari studi neurologici che l’emissione  porta ad una stimolazione dei neurotrasmettitori. Questi sollecitano le ghiandole di Meibomio a produrre, contraendosi, una maggiore secrezione; aumenta così il flusso lipidico naturale che riduce l’evaporazione delle lacrime e le rende protettive per la cornea

Il trattamento è del tutto indolore e privo di controindicazioni o rischi per il bulbo oculare. Il paziente percepisce soltanto un lieve calore che si può tradurre in un altrettanto lieve arrossamento della zona trattata.

Occhio secco: laser pulsato – Metodologia

La seduta si articola in due fasi:

  • nella prima dopo aver invitato il paziente a chiudere gli occhi ed aver applicato gli appositi occhialini protettivi, la zona peribulbare inferiore e la zona temporale vengono trattate con lare pulsato per pochi secondi
  • nella seconda fase si utilizza una apposita maschera a diodi emettitori di luce che, applicata sul viso per 15 minuti, sviluppa un calore terapeutico capace di fluidificare il secreto delle ghiandole di Meibomio; ciò consente di  riequilibrare il film lacrimale e renderlo meno soggetto all’evaporazione.

Occhio secco: laser pulsato. Seconda fase del trattamento

  • L’esame con il BUT (Break up time) a distanza di poche settimane dal trattamento evidenzia una maggiore stabilità delle lacrime che grazie alla pellicola lipidica generata con il trattamento evaporano meno e più lentamente.

 

 

 


12/Apr/2019

Iniezioni intra-vitreali: come ridurre al minimo i rischi intra e post operatori

Le iniezioni intravitreali sono diventate una procedura ormai di uso comune per contrastare soprattutto le maculopatie, ma anche per combattere papilliti in fase acuta, neuropatie ottiche ischemiche nelle prime fasi e, nei diabetici, per contrastare la malattia retinica indotta da questa patologia oltre che per ridurre anche il rischio emorragico in patologie che inducono emovitreo.

In realtà, tuttora, non sono ancora perfettamente conosciuti i meccanismi biologici di azione dei farmaci anti-VEGF, che sicuramente negli anni mostreranno le enormi potenzialità di queste sostanze che probabilmente rappresentano una delle più grandi scoperte farmacologiche dell’era della medicina moderna. Quindi la procedura in sé non si presenta come priva di rischi.

Oggi negli USA si eseguono circa 6 milioni di iniezioni intravitreali; ma il numero è destinato a crescere, visto l’aumento delle maculopatie e delle patologie retiniche che, secondo studi epidemiologici, nei prossimi decenni subiranno un aumento del 50%. Si prevede che nel 2050 i soli malati di maculopatia legata all’età dovrebbero arrivare a 3 milioni solo in Italia.

parametro importante: pressione oculare

Prima di eseguire un’iniezione è assolutamente necessario valutare la pressione intra-oculare. L’aggiunta del farmaco nel vitreo può infatti causare aumenti pressori fra i 40 e i 50 mmHg; clinicamente ciò si manifesta con un temporaneo abbuiamento visivo della durata di alcuni minuti, fino a dolori sovraorbitali. Allo scopo di ridurre questo rischio e pur valutando attentamente questo importantissimo parametro, nella mia metodologia di intervento sono solito utilizzare preventivamente una compressa di diamox la sera prima dell’intervento, e alcune ore prima la mattina dell’intervento; come fanno solitamente molti colleghi americani.

Detto questo, per salvaguardare completamente la buona riuscita dell’intervento, consiglio l’uso di colliri anti-glaucoma per almeno tre giorni dopo il trattamento, oltre all’uso di antibiotici locali e per via generale per una settimana.

Personalmente, da tre giorni prima dell’iniezione prescrivo antibiotici per collirio 4 volte al giorno.

Il collirio antiglaucomatoso usato è un’associazione fra brimonidina e timololo; tuttavia in circa il 10% dei casi trattati, se l’aumento pressorio è particolarmente elevato, con dolore e perdita della vista, uso un bisturi da 15° per effettuare una paracentesi; ciò consente la fuoriuscita di umor acqueo con conseguente calo pressorio immediato.

metodologia di intervento

Dal lato pratico il paziente va tranquillizzato, magari ricorrendo a blandi tranquillanti per via sublinguale e le procedure da eseguire sono le seguenti:

  • utilizzo di maschera facciale sterile monouso per garantire la massima antisepsi del campo operatorio;
  • anestesia topica;
  • antisepsi topica con povidone iodine sulla palpebra e nel sacco congiuntivale per almeno 30 secondi lavando con fisiologica sterile per il bruciore che il composto iodato alcolico può dare;
  • blefarostato per dilatare le palpebre opponendosi alla naturale contrazione in modo da poter ben visualizzare la zona di intervento;
  • utilizzando aghi da 30/31 gouge (molto sottili) iniezione del liquido a 3,5mm se il paziente è già stato operato di cataratta (pseudofachico) e a 4 mm nei soggetti fachici (con cristallino);
  • l’iniezione deve essere lenta per evitare aumenti pressori acuti;Qualcuno contesta l’iniezione bilaterale per il rischio di endoftalmiti, ma bisogna anche chiedersi se la procedura di intervento è stata fatta con il massimo rispetto delle condizioni igieniche, (materiali sterili monouso, disinfezione di strumenti e campo operatorio oltre che interventi opportuni sul paziente) Determinante in questa ottica l’uso di una maschera facciale antecedente a tutte le procedure che garantisca la perfetta sterilità.

    iniezione intravitreale

Comportamenti igienici dei pazienti

A mio avviso le endoftalmiti sono causate dalla scarsa attenzione alle condizioni igieniche nei comportamenti quotidiani dei pazienti che spesso considerano gli interventi oculistici, dalla cataratta in poi, come se nulla fosse.

In alcuni casi di endoftalmiti che ho avuto occasione di visitare provenienti da centri chirurgici ospedalieri; una paziente ha ammesso che il giorno dell’intervento era andata nel pollaio per ripulire lo sterco delle galline, che usava come fertilizzante biologico, ma che è uno dei terreni di coltura batterica più devastanti contenendo dallo stafilococco aureo, fino agli enterococchi.

Un secondo paziente che già avevo notato con le mani profondamente sporche lavorando in ferrovia e al quale mi ero vivamente raccomandato di non toccarsi gli occhi, li aveva invece sfregati abbondantemente riuscendo a trasformare un occhio perfetto in una endoftalmite purulenta in soli tre giorni.

In realtà in alcuni casi più che di endoftalmite batterica si trattava di forma infiammatoria chimica come se l’occhio avesse sviluppato un’allergia verso il farmaco iniettato; in questi casi se il vitreo è torbido ma non purulento può bastare anche una sottocongiuntivale di farmaci steroidei con schiarimento visivo in pochi giorni

Un punto di vista “personale”

La verità è purtroppo che ai medici vengono oggi imputate complicanze che dipendono molto spesso da pazienti che hanno comportamenti inadeguati. Alcuni pazienti, piuttosto lenti nel presentarsi ai controlli periodici post-intervento, sono invece alquanto solleciti a rivolgersi agli avvocati!

Per concludere simpaticamente, la domanda che più spesso mi sento rivolgere quando la disgrazia è capitata a qualche collega è; “ma quanto vale il mio occhio in termini economici?”… a uno che mi chiedeva questo ho risposto: “Più o meno quanto il valore dei suoi tatuaggi”, e lui: “solo 15.000 euro?”….


11/Apr/2019

Circa una persona su tre è affetta da cheratocono. Si tratta di una malattia della cornea, che progredisce nel tempo, fino a procurare danni irreversibili. La membrana in questione tende ad assottigliarsi sempre di più e questo fa sì che assuma, appunto, la nota forma a cono. Nella maggior parte dei casi tale patologia colpisce entrambi gli occhi e, se non curata in tempo, può portare alla perdita completa della vista. La cornea si allunga verso l’esterno, curvando in maniera importante, fino a permettere la creazione della forma in esame. Le cause del cheratocono sono spesso legate a fattori genetici o a disfunzioni ormonali.
Ma quali sono i sintomi della malattia? E le possibili cure? Analizziamo i dettagli.

Sintomatologia

La difficoltà nella diagnosi consiste nella iniziale assenza di sintomi. Il cheratocono, infatti, è caratterizzato da comuni difetti refrattivi, come astigmatismo e miopia. Questi però, non trovano soluzione nei classici correttivi prescritti, poiché le lenti a contatto, così come gli occhiali da vista, non apportano significativi benefici al paziente. Occorre, ovviamente, sottolineare che non per forza chi è affetto da miopia o astigmatismo sviluppa la patologia del cheratocono, poiché questo va diagnosticato caso per caso. Lo specialista, attraverso esami specifici, quali la misurazione di curvatura e spessore della cornea e la topografia corneale, è in grado oggi di stabilire con esattezza la presenza del disturbo. Solo in questo caso sarà possibile vagliare le varie soluzioni offerte dalla medicina di settore.

La cura

Oltre ai semplici casi che è possibile tenere sotto controllo attraverso prescrizioni non invasive come, ad esempio, le lenti a contatto, esistono situazioni in cui il difetto di presenta in maniera decisamente più accentuata. In queste circostanze è consigliabile applicare una tecnica di recente ideazione, denominata cross linking. La metodica in questione prevede l’impiego di un collirio fotosensibile che reagisce ai raggi ultravioletti, provocando un forte legame nelle fibre di collagene. Tale risultato comporta un irrigidimento della cornea, che acquista una robustezza in grado di fronteggiare lo sfiancamento. È considerato l’unico metodo realmente efficace per bloccare l’avanzamento del cheratocono e dei suoi effetti dannosi. L’intervento può essere eseguito in day surgery e gli effetti risultano maggiormente apprezzabili nel giro di qualche tempo dall’operazione. Per una visita specialistica rivolgiti allo studio del Dottor Carmine Ciccarini, che da anni opera con successo nel settore oculistico. Clicca qui per prendere un contatto immediato.



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