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22/Nov/2024

L’apparato visivo e quello uditivo sono estremamente interconnessi, anche per quanto concerne delle rare patologie infiammatorie di origine autoimmune come la Sindrome di Cogan

La Sindrome di Cogan è una malattia infiammatoria autoimmune rara, se ne conoscono circa 300 casi, caratterizzata da cheratite interstiziale (infiammazione cronica, non ulcerativa degli strati intermedi della cornea che è talvolta associata a uveite; i sintomi comprendono fotofobia, dolore, lacrimazione e offuscamento della vista) e disfunzioni audio-vestibolari a carico dell’orecchio interno.

CAUSA AUTOIMMUNE

La patologia colpisce prevalentemente i giovani adulti, in letteratura si riporta che l’80% dei pazienti ha un’età compresa fra 14 e 47 anni, anche se non si conosce molto a questo proposito, si ritiene che la sua causa sia prevalentemente autoimmune.  Gli autoanticorpi diretti contro gli antigeni dell’orecchio interno e le strutture della cornea, noti come i peptidi Cogan, di solito sono presenti, anche se non possono essere considerati l 100% come bio-marcatori sierologici specifici per la sindrome; l’antigene scatenante è comunque riconosciuto in una risposta autoimmune comune alla cornea e all’orecchio interno.

 

SINTOMATOLOGIA

I sintomi di presentazione coinvolgono il sistema oculare, il sistema vestibolo-uditivo, o entrambi. Dopo circa 5 mesi, la maggior parte dei pazienti presenta sintomi sia oculari che audio-vestibolari.

Sintomi sistemici aspecifici comprendono febbre, cefalea, dolore articolare e mialgia.

Il coinvolgimento oculare è di natura prevalentemente infiammatoria e comprende una combinazione tra una Cheratite interstiziale spesso bilaterale, o altri tipi di cheratite stromale corneale, e altre forme di infiammazione orbitale (episclerite o sclerite, uveite, papillite, vitreite, coroidite).

I sintomi oculari comprendono irritazione, dolore, fotofobia e riduzione della vista. L’esame oculare mostra un infiltrato corneale stromale irregolare tipico appunto della cheratite interstiziale, arrossamento oculare, edema del nervo ottico, proptosi, o una combinazione di questi sintomi.

I sintomi vestibolo-uditivi possono comprendere ipoacusia neurosensoriale, acufeni, vertigine e/o una sensazione di pienezza o pressione.

Da un punto di vista vascolare può presentarsi un’aortite significativa con un soffio cardiaco diastolico, ed anche un difetto di deambulazione dovuto ad una patologia circolatoria a carico degli arti inferiori causato da una vasculite infiammatoria.

 

 

DIAGNOSI

La diagnosi si basa su una valutazione congiunta da parte di un oftalmologo e di un otorinolaringoiatra.

Il quadro clinico parte dall’esclusione di altre cause di cheratite stromale (sifilide, malattia di Lyme, infezione dal virus di Epstein-Barr), prosegue quindi con adeguati test sierologici.

Nei pazienti con sindrome di Cogan, sono stati riscontrati anticorpi contro gli antigeni dell’orecchio interno, anticorpi anti-Hsp70 (associati a perdita dell’udito neurosensoriale) e anticorpi citoplasmatici anti-neutrofili (associati alla vasculite).

La TC e la RM forniscono un aiuto diagnostico e possono essere normali o mostrare labirintite, infiammazione o calcificazione dei canali semicircolari, del vestibolo o della coclea.

 

TRATTAMENTO

Si tratta di una patologia poco studiata, a causa soprattutto della sua bassa incidenza, ma difficile da curare soprattutto a per la sua sintomatologia; la sindrome risponde di solito al trattamento Iniziale con corticosteroidi topici e, talvolta, sistemici per il coinvolgimento oculare.

La malattia non trattata può portare a cicatrici corneali e perdita visiva. Con il trattamento, anche il rischio di ipoacusia permanente si riduce a circa il 50%.

In associazione ai corticosteroidi si può fare ricorso agli integratori con proprietà immunostimolanti, utili in tutte le malattie a carattere autoimmune. Questi prodotti naturali, come l’integratore di AHCC, hanno il vantaggio di stimolare una parte del sistema immunitario, l’immunità aspecifica, che protegge l’organismo ma non incide sulla patologia in sé, possono quindi migliorare sensibilmente la risposta dell’organismo alla terapia farmacologica e la qualità di vita del paziente affetto dalla sindrome.

 


01/Ott/2024

Cheratopigmentazione: tra pratica terapeutica ed intervento estetico

Ovvero: quali sono i rischi e soprattutto se vale la pena correrli solo per avere gli occhi del colore desiderato.

La cheratopigmentazione è un intervento di chirurgia oculare che consente di cambiare colore agli occhi in modo permanente; la cornea infatti, che da trasparente diventa opaca, copre il colore naturale dell’iride. La procedura viene eseguita sulla cornea stessa che può essere realizzata manualmente con un ago oppure utilizzando il laser a femtosecondi per creare uno spazio nel quale viene iniettato un pigmento colorato.

Attualmente, la tecnica più diffusa è la FAK (acronimo che sta per femtosecond laser-assisted intra-stromal keratopigmentation).

Tecnicamente in realtà non solo la cheroratopignantazione è in grado di cambiare il colore degli occhi, esistono altre due procedure chirurgiche altrettanto pericolose ed invasive per l’apparato visivo che hanno questo obiettivo:

  • Chirurgia implantare estetica dell’iride
  • Depigmentazione dell’iride con laser

La chirurgia estetica dell’impianto dell’iride artificiale sull’iride naturale e la rimozione del pigmento tramite laser sono approvate solo in alcuni Paesi. Entrambe queste tecniche sono, infatti, particolarmente rischiose e possono addirittura portare alla cecità o alla necessità di effettuare interventi per glaucoma o di cataratta. Da ciò deriva che attualmente, visti i danni potenzialmente arrecabili al paziente, l’impianto di iride artificiale è riservata ai pazienti a cui manca parte o tutta l’iride, a causa di lesioni o difetti congeniti; l’etica medica considera la procedura illegale se utilizzata a scopi puramente cosmetici.

La cheratopigmentazione è una procedura relativamente nuova; molti la considerano più sicura rispetto alle precedenti tecniche, ma non per questo risulta priva di rischi, seppur nel gergo comune la si inizi a considerare come un tatuaggio.

Sebbene si tratti di un’operazione che non richiede molto tempo, essa si rivela molto delicata e non adatta a tutti: viene eseguita infatti su una parte altamente sensibile dell’occhio e prevede l’uso di un laser a femtosecondi, si tratta quindi di microchirurgia non esente da complicazioni.

 Da cosa dipende il colore degli occhi?

Il colore degli occhi dipende dal colore dell’iride, struttura anulare costituita da tessuto pigmentato, variabile da soggetto a soggetto, con al centro un foro di diametro variabile, la pupilla, il cui diametro cambia ottimizzando la visione a seconda della luce disponibile.

L’iride può essere chiara (dal blu al verde) o bruna (dal marrone al nero), in base alla quantità di pigmento, la melanina, presente nello stroma irideo: maggiore è la quantità di pigmento, più l’iride assumerà un colore scuro vicino al marrone, e dai fenomeni ottici di riflessione e di diffrazione della luce.

Ogni iride è unica: le sfumature cromatiche e le cripte iridee hanno un elevato grado di individualità e forniscono informazioni discriminanti paragonabili a quelle delle impronte digitali. Per questo motivo, la scansione dell’iride può essere utile ai fini dell’identificazione di un soggetto; il riconoscimento dell’iride potrebbe trovare applicazione ad esempio nei controlli aeroportuali e nella ricerca di persone scomparse.

 

Che rischi si corrono a cambiare colore agli occhi?

La procedura di cheratopigmentazione è stata ideata in origine per ragioni ben precise attinenti alla salute oculare: si tratta di un intervento introdotto per minimizzare:

  • cicatrici corneali
  • leucomi corneali
  • opacità post traumatiche in occhi non vedenti

così da migliorarne l’aspetto senza dover ricorrere alle protesi.

La cheratopigmentazione è stata utilizzata anche per trattare i sintomi visivi associati ad anomalie della cornea e dell’iride, come: aniridia (malattia congenita caratterizzata dall’assenza completa o parziale dell’iride), policoria (anomalia congenita dell’iride caratterizzata dalla presenza di più pupille) e difetti traumatici dell’iride.

La cheratopigmentazione viene proposta generalmente come valida alternativa terapeutica in un gruppo selezionato di pazienti in cui le procedure chirurgiche non chirurgiche (es. lenti a contatto colorate) e ricostruttive non determinano un miglioramento funzionale o estetico.

Oggi, però, con la “complicità” di social ed influencer uniti ad una cattiva e/o parziale informazione sui rischi della procedura, la cheratopigmentazione è nota soprattutto per la sua finalità estetica e viene applicata su occhi sani e funzionanti seppur si tratti di una tecnica molto delicata, non esente da rischi, quindi occorre informare in maniera corretta perché ci si approcci alla procedura ben consapevoli di quello a cui si va incontro.

Complicanze

Le possibili complicanze del tatuaggio oculare tramite cheratopigmentazione comprendono:

  • Dispersione di pigmento in altre strutture oculari attraverso l’ingresso nella camera anteriore o perforazione del tunnel corneale
  • Danni alla cornea che possono portare a opacità, deformazione, perdita di liquidi e conseguente perdita permanente della vista;
  • Reazione al colorante, che può causare infiammazione, uveite o crescita di vasi sanguigni nella cornea con successivo sviluppo di gravi patologie connesse;
  • Infezione batterica o fungina, che può produrre cicatrici corneali e perdita della vista
  • Distribuzione non uniforme del pigmento
  • Scolorimento del colore dovuto allo spostamento o alla fuoriuscita del colorante negli occhi
  • Intolleranza alla luce (fotosensibilità)

Inoltre, dopo la cheratopigmentazione, una cicatrizzazione anomala della cornea a seguito dell’intervento può indurre alterazione della rifrazione portando anche nei casi meno gravi a diversi gradi di astigmatismo.

Non ultimo dopo l’effettuazione dell’intervento, vista l’opacizzazione della cornea che ne consegue inevitabilmente le strutture retrostanti il pigmento, quindi l’iride, la periferia retinica e l’angolo camerulare, diventano impossibili da esplorare correttamente durante la visita oculistica. Ciò può portare ad una mancata diagnosi di patologie importanti dell’occhio, come glaucoma, retinopatia diabetica e rottura della retina, oltre all’impossibilità di applicare le cure adeguate: ad esempio, il pigmento può ostacolare l’esecuzione di trattamenti laser sulla retina, con conseguenza molto serie per la salute dell’occhio e per la vista.

In conclusione

Visto che, come diffusamente spiegato, nessun intervento chirurgico è esente da rischi e, meno che mai, una pratica che va ad interessare un apparato tanto delicato come quello visivo, se si vuole cambiare colore agli occhi per motivi puramente estetici, non vale la pena compromettere in modo permanente la vista.

Conviene quindi seguire il consiglio dell’American Academy of Ophthalmology, al quale tra l’altro mi sento di aderire completamente, secondo cui «il modo più sicuro per cambiare colore agli occhi è valutare se il soggetto sia un candidato idoneo per le lenti a contatto colorate, che devono essere comunque prescritte da un oculista e applicate da un ottico qualificato».


29/Ago/2024

Oftalmoplegia dolorosa: la  sindrome rara di Tolosa-Hunt

La sindrome di Tolosa-Hunt è una sindrome oftalmoplegica, che colpisce tutte le età; è caratterizzata da attacchi acuti di dolore periorbitale:

vengono interessati i nervi III, IV, VI che innervano i sei muscoli extraoculari causando oftalmoplegia e ptosi palpebrale (abbassamento della palpebra superiore), paralisi ipsilaterali, cioè sullo stesso lato, dei nervi motori oculari, movimenti oculari disordinati e vista appannata.
La sindrome di Tolosa-Hunt è rara a livello internazionale; entrambi i sessi, sono colpiti in egual misura e si verifica in genere intorno ai 60 anni. Incidenza 5 casi su 100.000. Il decorso è variabile: da poche settimane fino a recidive continue che possono protrarsi per mesi.

La sindrome è in genere un raro disturbo infiammatorio idiopatico che può coinvolgere il seno cavernoso, l’apice orbitale e la fessura orbitale superiore. Il sintomo principale è l’oftalmoplegia dolorosa unilaterale e la paralisi del nervo oculomotore; la causa è ricercabile nella compressione estrinseca delle strutture neuro-vascolari nel seno cavernoso; nervi interessati possono essere tutti i muscoli extraoculari il III, IV e VI con interessamento del nervo trigemino che causa dolore profondo perioculare.

La diagnosi si basa sui sintomi clinici e sui cambiamenti tipici della risonanza magnetica, nonché sulla risposta alla terapia steroidea e sull’esclusione di altre malattie infiammatorie o neoplastiche del seno cavernoso. La terapia steroidea è il trattamento di scelta; il sollievo dai sintomi si verifica solitamente entro 72 ore; in alcuni casi, si verifica la remissione spontanea, mentre in altri gli attacchi possono ripetersi.

La sindrome di Tolosa-Hunt si presenta come un dolore acuto e per lo più invalidante nelle azioni quotidiane; per questo il trattamento con iniezioni retrobulbari risulta quello con effetto più rapido

Segni, Sintomi e Cause

Oltre ai sintomi dolorosi acuti e di paralisi che sono solitamente limitati a un lato della testa, gli individui colpiti possono sperimentare la paralisi di vari nervi facciali, visione doppia, febbre, stanchezza cronica, vertigini o artralgia.  Occasionalmente il paziente può presentare una sensazione di protrusione di uno o entrambi i bulbi oculari  (esoftalmo).
La causa della sindrome di Tolosa-Hunt non è nota, ma si pensa che il disturbo sia, e spesso si presume che
sia, associato all’infiammazione delle aree dietro gli occhi (seno cavernoso e fessura orbitale superiore).

Diagnosi

La sindrome di Tolosa-Hunt viene solitamente diagnosticata tramite esclusione e, come tale, è necessaria una vasta quantità di test di laboratorio per escludere altre cause dei sintomi del paziente. I test includono un emocromo completo, test di funzionalità tiroidea ed elettroforesi delle proteine sieriche. Anche gli studi del liquido cerebrospinale possono essere utili per distinguere la sindrome di Tolosa-Hunt da condizioni con segni e sintomi simili.

Le scansioni MRI del cervello e dell’orbita con e senza contrasto, l’angiografia a risonanza magnetica o l’angiografia  a sottrazione digitale e una scansione TC del cervello e dell’orbita con e senza contrasto possono essere tutte utili  per rilevare cambiamenti infiammatori nel seno cavernoso, nella fessura orbitale superiore
e/o nell’apice orbitale.

Trattamento e Prognosi

Il trattamento della sindrome di Tolosa-Hunt include immunosoppressori come i corticosteroidi (spesso prednisolone) o agenti risparmiatori di steroidi (come il metotrexato o l’azatioprina).

La terapia migliore nei casi acuti è l’iniezione retrobulbare di cortisonici con antidolorifici in piccole quantità come il ketoralac che blocca in pochi minuti il dolore ripristinando il benessere al paziente. Naturalmente il medico deve essere ben addestrato all’uso di tale pratica molto usata negli scorsi decenni quando negli interventi di cataratta si utilizzava questa pratica anestesiologica.
In alcuni casi è stata proposta anche la radioterapia.
La prognosi della sindrome di Tolosa-Hunt è solitamente considerata buona. I pazienti solitamente rispondono ai corticosteroidi e può verificarsi una remissione spontanea, sebbene il movimento dei muscoli oculari possa rimanere danneggiato. Circa il 30-40% dei pazienti trattati per la sindrome di Tolosa-Hunt sperimenta una ricaduta.

 


28/Ago/2024

Botox e Strabismo: usi terapeutici ed estetici

Quando l’uso estetico va di pari passo con l’uso terapeutico: disagio psicologico del paziente con strabismo

Se responsabile dello strabismo è un muscolo iperfunzionante, questo può essere curato mediante l’impiego di Botox. Iniettata in piccole quantità la tossina botulinica infatti paralizza in maniera temporanea il muscolo.
L’effetto dura diversi mesi e può addirittura comportare un cambiamento permanente dell’allineamento oculare.
Considerando che lo strabismo può comportare per il paziente che ne è affetto non soltanto problemi di natura “funzionale” dell’occhio, ma anche implicazioni di natura psicologica dovute puramente all’alterazione estetica che la patologia comporta, negli ultimi anni la pratica di correzione puramente “estetica” ha assunto connotazioni di natura terapeutica.

La tossina botulinica agisce bloccando il muscolo iper-funzionante che determina la deviazione oculare: si parla di exotropia nel caso l’occhio risulti deviato verso l’esterno, in questo caso è necessario agire sul muscolo retto laterale, si parla invece di esotropia quando l’occhio presenta una deviazione verso l’interno ed è necessario agire sul muscolo retto mediale.
Lo strabismo può presentarsi anche come una deviazione dell’occhio sull’asse verticale: si parla di ipertropia se la deviazione è verso l’alto e di ipotropia se è verso il basso; nel primo caso si agisce sul muscolo retto superiore nel secondo sul muscolo retto inferiore.

Trattamento

Il dosaggio di ogni iniezione della tossina è di 5 U.I. botox a distanza diversa, perché i muscoli ed i tendini responsabili dello strabismo non sono tutti alla stessa distanza, avendo cura di individuare l’esatta posizione del muscolo tensore.

Il trattamento è indolore e per lo più privo di effetti indesiderati.

L’unica complicanza che si può presentare è un lieve sanguinamento del muscolo interessato, il quale risulta molto vascolarizzato, facilmente riassorbibile in una settimana circa.

Come accennato nell’introduzione l’intervento è sicuramente consigliabile in tutti quei casi in cui lo strabismo sia causa per il paziente di un disagio psicologico e sociale prima che puramente estetico: condizione estremamente importante rimane comunque quella di affidarsi a professionisti seri e qualificati.


30/Mag/2024

Sindrome dell’apice orbitario

La Sindrome dell’apice orbitario è, per definizione, una paralisi del nervo oculomotore della branca oftalmica del nervo trigemino e del nervo ottico lesi nel loro tragitto attraverso la fessura sfenoidale.

Questa patologia piuttosto rara dà origine a oftalmoplegia, cioè paralisi completa o parziale dei muscoli oculomotori; ciò impedisce i movimenti del bulbo oculare, compresi quelli dell’accomodazione (necessari per mettere a fuoco gli oggetti) associata, nella prognosi migliore a diplopia, a cecità monolaterale e analgesia corneale.

La sindrome della fessura orbitaria superiore,

ancora più rara e detta anche oftalmoplegia moto-sensoriale, osservabile nell’oftalmoplegia dolorosa, strettamente correlata; dà origine a dolore retrorbitale, paralisi del terzo, quarto e sesto nervo cranico, e a una perdita della sensibilità nel territorio di distribuzione della branca oftalmica del quinto, ma diversamente dalla precedente non risulta associata il più delle volte a cecità.

Il più delle volte la sindrome è reversibile in quanto associata ad una patologia orbitaria infiammatoria, chiamata anche pseudo-tumore orbitario infiammatorio.

L’infiammazione è generalmente di natura benigna e coinvolge i tessuti orbitari ed i nervi cranici.

Più genericamente la malattia infiammatoria orbitaria è un’infiammazione benigna occupante spazio che coinvolge i tessuti orbitari. La malattia infiammatoria orbitaria, chiamata anche pseudotumor orbitario, è un’infiammazione che può colpire una o tutte le strutture all’interno dell’orbita.

Sintomatologia

La patologia può colpire a tutte le età e può essere in forma acuta e spesso recidivante; a volte soprattutto in età pediatrica; la patologia può originarsi come complicanza da infezioni acute dei seni paranasali (sinusite).

Il più delle volte la sintomatologia si manifesta con dolore improvviso dell’orbita oculare, dovuto al coinvolgimento del seno cavernoso che comprende ptosi; il dolore si espande al trigemino con conseguente paresi del terzo nervo cranico.

Dal punto di vista clinico è stato rilevato un nesso tra la sindrome dell’apice orbitario e l’oftalmopatia tiroidea, nota anche come oftalmopatia di Graves. Le cause fisiologiche della malattia dell’occhio tiroideo sono poco conosciute, ma si ipotizza che possano derivare da immunoglobuline dirette contro i recettori dell’ormone stimolante la tiroide (TSH) (TSH) sui fibroblasti orbitali e sul grasso, con conseguente rilascio di citochine pro-infiammatorie e conseguente risposta infiammatoria dei nervi cranici e dei tessuti orbitali.

La sintomatologia comprende, oltre l’oftalmoplegia, un’insorgenza improvvisa di dolore insieme a tumefazione ed eritema delle palpebre. La diagnosi viene di solito confermata tramite esami strumentali come Tac cranica e RM.

Trattamento

Il trattamento per la fase infiammatoria acuta dipende dal tipo di risposta infiammatoria e può comprendere corticosteroidi orali, radioterapia e uno dei molti farmaci immunomodulatori. In caso di valori anomali degli ormoni tiroidei si utilizza una terapia ormonale a supporto con lo scopo di ridurre la risposta infiammatoria.

Studi clinici hanno dimostrato che il Teprotumumab, un inibitore del recettore dell’insulin-like growth factor 1 (IGF-1) costituisce una terapia efficace per l’oftalmopatia da moderata a grave.

Nei casi in cui la regressione dell’infiammazione non risolva completamente la paralisi e l’oftalmoplegia è possibile ricorrere a pratiche chirurgiche mirate a migliorare lo stato del singolo paziente colpito.

 

Bibliografia
  • Michele Iafusco – Dalle rinosinusiti alle complicanze  – Ospedale Santobono – A.O.R.N. Santobono-Pausilipon – Napoli – Settembre 2022
  • Di Richard C. Allen, MD, PhD, University of Texas at Austin Dell Medical School – Revisionato/Rivisto ott 2022
  • Smith TJ, Kahaly GJ, Ezra DG, et al: Teprotumumab for thyroid-associated ophthalmopathy. N Engl J Med 376:1748-1761, 2017

20/Mag/2024

Soffri di alcuni sintomi riconducibili alla sindrome dell’occhio secco?

CONCEDI UN TRATTAMENTO RIGENERANTE AI TUOI OCCHI!

Gli estrogeni hanno un ruolo chiave nel mantenere la qualità del film lacrimale e la funzionalità delle ghiandole del Meibomio che lo producono. La carenza di questi ormoni che nella donna causa i sintomi più comuni della premenopausa, già a partire dai 40/45 anni, e poi della menopausa può dare origine anche ai fastidi oculari.

L’occhio, come il cervello e gli altri organi di senso, è “dipendente” (anche) dagli estrogeni e dagli androgeni per stare in salute. Gli estrogeni regolano infatti la quantità e qualità della secrezione lacrimale, da cui dipende la giusta lubrificazione della congiuntiva, che, se inadeguata, causa la sensazione di occhio secco; ma anche la pressione endo-oculare, e la riduzione del rischio di cataratta.

Il fenomeno è troppo spesso trascurato dagli specialisti, ma si stima che il 35% delle donne dopo la menopausa lamenta sintomi oculari, tra cui i più frequenti sono l’”occhio arrossato” e una spiacevole sensazione di “occhio secco” dovuta alla progressiva riduzione della produzione di lacrime da parte delle ghiandole atte a secernere il film lacrimale. Entrambi i fastidi tendono pian piano a peggiorare nel tempo, fino a interessare il 70-80% delle donne in post-menopausa avanzata, con gravità diversa a seconda dei casi

In età fertile, le ghiandole lacrimali hanno una costante, lievissima produzione di liquido che protegge congiuntiva e cornea. Il liquido lacrimale forma un film sottilissimo e trasparente davanti alle mucose dell’occhio: una specie di barriera liquida e dinamica, che le protegge dalla polvere, dal vento, dalla disidratazione, dai mille fattori esterni che possono lederle. La ridotta secrezione lacrimale è la causa principale della sensazione di “occhio secco” (xeroftalmia), che a sua volta provoca infiammazioni della congiuntiva (congiuntiviti) e della cornea (cheratiti). Altri disturbi oculari lamentati dalle donne dopo la menopausa includono la ridotta acutezza visiva, il bruciore, la sensazione di pressione, il fastidio per la luce intensa (fotofobia), la visione fluttuante, la sensazione di “stanchezza” oculare, le palpebre gonfie, la difficoltà di coordinamento motorio degli occhi e transitori disturbi visivi. Assolutamente caratteristica è la sgradevolissima sensazione di avere sabbia negli occhi. L’occhio arrossato è spesso sottovalutato è invece indispensabile affrontare questo disturbo al più presto.

TRATTAMENTO dell’ occhio secco

Il sintomo è di solito trattato grazie all’aiuto delle lacrime artificiali che hanno la funzione di sostituire e ripristinare il film lacrimale che risulta insufficiente in conseguenza alla scarsa produzione fisiologica.

Per poter avere risultati migliori occorre però stimolare la produzione del film lacrimale da parte delle ghiandole di Meibomio che, come detto, causa la scarsità di estrogeni, lavorano poco o nulla.

Il trattamento con luce pulsata si è dimostrato efficace nel trattare la secchezza oculare. È ambulatoriale ed ha una durata di pochi minuti. Prevede l’esecuzione di 4-5 lampi di luce su ogni palpebra inferiore che hanno l’effetto di stimolare la palpebra. Segue l’applicazione di una maschera ad infrarossi che tramite il calore IR hanno la funzione di migliorare la qualità della secrezione lipidica delle ghiandole di Meibomio.

Per la sua efficacia, sono necessarie 3-4 sedute, distanti 2-3 settimane. Questo trattamento ha la funzione, come sopra descritto, di stimolare la produzione delle Ghiandole di Meibomio migliorando quantità e qualità della secrezione lipidica e quindi del film lacrimale prodotto.

 

Questo trattamento, assolutamente indolore, che anzi dona una sensazione di rigenerato benessere e all’acuità visiva è disponibile presso lo studio di Perugia – Via Magno Magnini – del dott. Carmine Ciccarini

 

 


16/Apr/2024

Salzmann: malattie rare della cornea

La degenerazione corneale nodulare di Salzmann è una rara malattia della cornea generalmente monolaterale, caratterizzata da accumulo di noduli bianco-azzurrognoli superficiali medio-periferici. Frequentemente asintomatica, negli stadi avanzati si possono verificare erosioni corneali ricorrenti.

La Sindrome di Salzmann colpisce prevalentemente adulti di sesso femminile con un esordio di norma intorno ai 50 anni, può presentarsi anche bilateralmente. Si tratta di accumulo di materiale ialino, prevalentemente collagene addensato, a carico degli strati superficiali, tra epitelio e membrana di Bowman e stroma sottostante.

I sintomi esordiscono durante lo stadio tardivo della malattia, La sintomatologia è caratterizzata da fotofobia, lacrimazione, blefarospasmo e diminuzione dell’acuità visiva. L’occhio non appare infiammato anche se i soggetti lamentano bruciori, sensazione di corpo estraneo e discomfort non ben definito.

Poiché si possono verificare erosioni corneali ricorrenti queste sono la causa “meccanica” dei sintomi sopra citati; la causa effettiva della patologia non è nota. È stato riscontrato che la comparsa della degenerazione può essere conseguente a processi infiammatori infettivi (lue o tbc, tracoma) di natura acuta o cronica, congiuntiviti flittenulari (reazione immunitaria della cornea e della congiuntiva ai batteri), traumi.

Alcuni pazienti riportano episodi di infiammazioni ricorrenti della superficie oculare non chiaramente diagnosticati e trattati, abuso nell’utilizzo di lenti a contatto, occhio secco, disfunzioni delle ghiandole di Meibomio, allergie ricorrenti.

 

Accumuli bianco-azzurrognoli nella sindrome di Salzmann

DIAGNOSI E TRATTAMENTO

La diagnosi è clinica.

Si presentano anche casi in cui la diagnosi è insidiosa, date le somiglianze con patologie di natura e prognosi ben diversa. La terapia varia a seconda dei casi: lubrificazione, steroidi topici igiene palpebrale e doxiciclina orale, ausili di lenti a contatto terapeutiche.

Visto che la diagnosi può avvenire anche in una fase tardiva, nei casi più avanzati per la cura della sindrome di Salzmann è possibile effettuare un trattamento chirurgico come la cheratectomia superficiale (clivaggio dei noduli con una spatolina) o anche la cheratectomia fototerapeutica (PTK), una procedura sviluppata con il laser ad eccimeri che ha lo scopo di levigare e regolarizzare la superficie della cornea.

Le recidive in genere avvengono dopo 5 anni nel 20% dei casi.


16/Apr/2024

La neurite ottica retrobulbare: una patologia infiammatoria che colpisce il nervo ottico

La neurite ottica retrobulbare è una patologia che colpisce il nervo ottico consiste nell’infiammazione della parte posteriore del nervo ottico e può essere causata da differenti fattori: patologie infettive, traumi all’occhio, alterazioni arteriosclerotiche delle arterie celebrali anteriori, intossicazioni.

In linea di principio si tratta di un’infiammazione semplice del nervo ottico. I sintomi sono di solito monolaterali, con dolore oculare e parziale o completa perdita della vista. La diagnosi è principalmente clinica. La terapia è diretta alla malattia di base; la maggior parte dei casi si risolve spontaneamente. La neurite ottica retrobulbare è particolarmente diffusa tra gli adulti dai 20 ai 40 anni. La maggior parte dei casi deriva da una patologia demielinizzante, in particolare dalla sclerosi multipla, nella quale possono verificarsi recidive e della quale a volte la neurite ottica rappresenta il sintomo iniziale. Altre cause possono essere:

  • Neuromielite ottica; patologia demielinizzante che colpisce principalmente l’apparato visivo prima del sistema nervoso centrale
  • Malattia associata agli anticorpi MOG; condizione neuro-infiammatoria che causa preferenzialmente infiammazione nel nervo ottico
  • Malattie infettive (p. es., encefalite virale in particolare nei bambini, sinusite, meningite, tubercolosi, sifilide, HIV)
  • Metastasi neoplastiche lungo le fibre del nervo ottico
  • Lupus eritematoso sistemico
  • Sostanze chimiche e farmaci come il piombo. Il metanolo, il chinino, l’arsenico, l’etambutolo e gli antibiotici causano neuropatie ottiche piuttosto che una vera neurite ottica. Gli inibitori del TNF-alfa e gli inibitori dei checkpoint immunitari possono causare neurite ottica.

Le cause rare comprendono l’anemia perniciosa e le malattie autoimmuni sistemiche. Spesso però la causa rimane non nota o comunque non completamente dimostrabile e riconducibile ed un processo specifico anche nonostante un’approfondita valutazione.

SINTOMATOLOGIA E DIGNOSI

Il sintomo principale della neurite ottica è la perdita della vista, frequentemente massimale entro vari giorni, che va da un piccolo scotoma centrale o paracentrale alla completa cecità. La maggior parte dei pazienti ha dolore oculare lieve che spesso si intensifica con il movimento degli occhi.

I risultati più caratteristici comprendono ridotta acuità visiva, deficit del campo visivo, disturbi della visione a colori (spesso sproporzionati rispetto alla perdita di acuità visiva). Il test della visione dei colori è un utile complemento, pur producendo risultati falsi positivi.

I due terzi dei pazienti l’infiammazione ha luogo in regione retrobulbare, senza provocare alterazioni visibili sulla testa del nervo ottico. Nei restanti casi sono presenti disco iperemico, edema nel disco o intorno allo stesso, stasi vascolare o una combinazione di questi. Possono essere presenti alcuni essudati ed emorragie in prossimità o in corrispondenza del disco ottico, anche se ciò si riscontra più raramente.

La diagnosi deriva soprattutto da un’attenta valutazione clinica: sospettare una neurite ottica nei soggetti che presentano caratteristico dolore associato a perdita della vista, soprattutto se questi sono giovani è fondamentale.

Una RM encefalica e delle orbite, può evidenziare un nervo ottico ingrandito, con l’assunzione di contrasto. La RM può anche aiutare a diagnosticare la sclerosi multipla, la MOGAD e la neuromielite ottica. Di solito si verifica un enhancement più esteso del nervo ottico nella neuromielite ottica e nella myelin oligodendrocyte glycoprotein antibody-associated disease (MOGAD). La RM encefalo, studiata nelle sequenze, può mostrare le tipiche lesioni demielinizzanti in una sede periventricolare se la neurite ottica è correlata alla sclerosi multiple Gli anticorpi della neuromielite ottica e MOG nel siero devono essere controllati per qualsiasi neurite ottica grave o atipica.

TERAPIA E RECUPERO

La maggior parte degli episodi di neurite ottica tipica migliora spontaneamente con un significativo recupero della vista in 2-3 mesi. Il tasso di recidiva tra i pazienti con neurite ottica è variabile e dipende dall’eziologia. I pazienti con una malattia di base, come la neuromielite ottica o MOGAD, hanno tassi più elevati di recidiva nello stesso occhio o nell’altro occhio, e il recupero della vista può essere peggiore, soprattutto per il nuovo tumore. La RM è utilizzata per determinare il rischio futuro di malattia demielinizzante, in particolare la sclerosi multipla.

Il trattamento con corticosteroidi prima per via endovenosa e poi, successivamente per via sistemica, e un’opzione, soprattutto se si sospettano sclerosi multipla o neuromielite ottica. Questi farmaci possono accelerare la guarigione.

Se la perdita della vista è grave e non inizia a risolversi dopo la somministrazione di corticosteroidi, talvolta si può ricorrere alla plasmaferesi. Se la neurite ottica retrobulbare è correlata a sclerosi multipla, neuromielite ottica, malattia associata agli anticorpi anti-glicoproteina oligodendrocitica mielinica o a un’infezione, è necessario trattare anche la patologia sottostante per sperare di avere un risultato che migliori il visus del paziente colpito.


20/Mar/2024

Una sindrome rara sistemica che interessa anche l’apparato oculare: la Churg-Strauss

La granulomatosi eosinofila con poliangioite (Eosinophilic Granulomatosis with Polyangiitis EGPA), precedentemente nota come sindrome di Churg-Strauss, è un’infiammazione dei vasi sanguigni (vasculite) di piccole e medie dimensioni, per questo motivo può interessare anche i piccoli vasi della retina della cornea, sotto forma di sindrome di Cogan, e del nervo ottico.

In generale, l’infiammazione è una risposta naturale del sistema immunitario a lesioni o infezioni e aiuta a combattere i microrganismi invasori. Tuttavia, in alcuni casi, per ragioni non sempre definite, l’infiammazione si verifica contro i propri tessuti sani tramite una risposta auto-infiammatoria o autoimmune. In particolare, nella vasculite il sistema immunitario attacca i vasi sanguigni inducendo gonfiore e ostruzione degli stessi.

La patologia di Churg-Strauss è di natura sistemica e gli organi colpiti più comunemente sono i polmoni e la pelle ma possono essere coinvolti anche cuore, reni, nervi e intestino.  In questo tipo di vasculite sia nel sangue, sia nei tessuti interessati, si trovano livelli molto alti di un tipo di globuli bianchi, gli eosinofili, che oltre a essere correlati con le allergie combattono le infezioni causate da parassiti.

Per quanto concerne l’apparato visivo sintomi comuni sono dolore oculare, riduzione della vista, aumento della sensibilità alla luce intensa e arrossamento oculare; la diagnosi viene formulata in base alla valutazione medica e a esami del sangue. Il trattamento sintomatico prevede colliri a base di corticosteroidi e corticosteroidi in pillole

DIFFUSIONE

La sindrome di Churg-Strauss colpisce uomini e donne nella stessa misura, con una frequenza di circa 11-13 persone per milione. L’età media in cui viene scoperta è di circa 40 anni; è molto rara nei bambini o sopra i 65 anni di età.

Le persone con granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA) presentano spesso sintomi aspecifici come febbre, malessere, anemia e perdita di peso. Un disturbo frequente è una grave forma di asma che compare in età adulta; Spesso è presente la sinusite e una serie di altri disturbi quali eruzioni cutanee, sensazione di spilli o intorpidimento, problemi intestinali, anemia, problemi cardiaci, dolori muscolari e articolari e stanchezza.

EVOLUZIONE DELLA PATOLOGIA

Un indicatore importante per accertare (diagnosticare) la EGPA è rappresentato dall’evoluzione nel tempo dei disturbi che, spesso, si sviluppano in 3 fasi:

  • prima fase “prodromica”, le persone soffrono spesso di allergie: allergie oculari con forte arrossamento, asma allergica, che solitamente compare in età adulta, sinusite fin da adolescenti, rinite allergica e poliposi nasale che tende a ripresentarsi dopo la rimozione chirurgica. La fase prodromica può persistere per molti anni
  • seconda fase “eosinofila”, si trovano livelli elevati di eosinofili nel sangue e, spesso, anche infiltrati nei tessuti degli organi colpiti come il sistema respiratorio, il tratto gastro-intestinale.
  • terza e ultima fase “vasculitica”, inizia l’infiammazione dei vasi piccoli e medi (vasculite), spesso tra i venti e i trenta anni di età. Stanchezza, perdita di peso e febbre spesso precedono questa fase. Nella terza e ultima fase predominano i disturbi causati dal coinvolgimento dei vasi presenti nei diversi organi e apparati.
lesioni oculari caratteristiche della Sindrome

La fase acuta della patologia autoimmune è caratterizzata essenzialmente da neuropatia periferica, (mononeurite multipla nel 65-75% dei casi) , manifestazioni neurologiche presentano  interessamento dei nervi cranici, neurite ottica ischemica, neurite dei nervi cranici e del nervo ottico. Raro il coinvolgimento del sistema nervoso centrale; lesioni sulla pelle, più frequentemente in rilievo, compaiono in circa il 51% delle persone.

Problemi renali e interessamento del muscolo cardiaco (cardiomiopatia e pericardite) sono più rari, ma la sequenza delle fasi non è sempre così ben definita, alcuni sintomi possono sovrapporsi e alcuni altri disturbi possono invece non presentarsi affatto.

 


23/Feb/2024

DISCROMATOPSIA….UN NOME COMPLICATO PER IDENTIFICARE IL “DALTONISMO”

La discromatopsia è un difetto alla vista di alcuni colori, ovvero un’inabilità a percepire i colori, del tutto o in parte. È un difetto del cromosoma X, quindi di natura prevalentemente genetica.

Il daltonismo tuttavia può insorgere anche in seguito a danni agli occhi, ai nervi o al cervello e persino in seguito all’esposizione ad alcuni composti chimici.

Il termine volgare “daltonismo” prende il nome da John Dalton che per primo ne scoprì l’esistenza, egli stesso è spesso ricordato come lo scienziato che vedeva il mondo con “altri colori”, e ne ipotizzò l’ereditarietà già nell’800, e si identifica oggi con il termine deuteranomalia.

Il daltonismo porta a un malfunzionamento delle cellule sensoriali, fotorecettori, che pur essendo tutte presenti (coni rossi, verdi e blu), presentano tutte o soltanto alcuni gruppi un malfunzionamento, determinando la mancanza di capacità totale o parziale da parte dei soggetti di riconoscere specifiche tonalità.

Si parla di dicromatismo quando è completamente assente la funzione di una sola delle tre varietà di coni.

Si distinguono quindi:

  • protanopia, cecità per il primo colore fondamentale, ossia il rosso;
  • deuteranopia, cecità per il secondo colore fondamentale, ossia il verde;
  • tritanopia, cecità per il terzo colore fondamentale, ossia il blu–giallo.

Quando la cecità al colore è totale per mancanza di tutti e tre i coni si parla di acromatopsia.

Sono inoltre detti tricromati anomali quegli individui che sono sensibili a tutti e tre i colori fondamentali (tricromatismo), ma sono deficitari, in misura variabile, dei recettori di uno dei tre colori fondamentali.

Esempio di test sulla visione dei colori. Con lo schermo del computer configurato correttamente, le persone con visione corretta dovrebbero vedere il numero “74”. Molte persone discromatopsiche leggono il numero “21”

Si parla perciò di:

  • protanomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il rosso;
  • deuteranomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il verde;
  • tritanomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il blu–giallo.

 

DIFFUSIONE

La discromatopsia ha una diffusione significativa, benché la sua incidenza vari molto all’interno di diversi gruppi umani. Comunità isolate con un patrimonio genetico relativamente ristretto a volte presentano un’alta proporzione di individui affetti da cecità ai colori, anche dei tipi più rari. Alcuni esempi sono l’Australia, in cui si stima che il 4% della popolazione abbia una qualche carenza nella percezione del colore, le regioni rurali della Finlandia e alcune isole della Grecia.

EZIOLOGIA

Esistono diversi tipi di discromatopsia. I più diffusi sono dovuti ad alterazioni ereditarie dei coni, i fotorecettori sensibili ai colori, ma è anche possibile diventare discromatopsici in seguito a un danneggiamento della retina, del nervo ottico o di determinate aree della corteccia cerebrale. Questa discromatopsia è spesso diversa da quella di origine genetica; per esempio può manifestarsi solo in una parte del campo visivo. Alcune forme di discromatopsia acquisita sono reversibili. Alcune forme temporanee di discromatopsia affliggono raramente chi soffre di emicrania.

DISCROMATOPIA GENETICA

 La discromatopsia genetica è normalmente dovuta a un allele recessivo posto sul cromosoma X. La mappatura del genoma umano ha peraltro dimostrato che la discromatopsia può essere indotta da una mutazione in 58 geni diversi, divisi tra 19 cromosomi. Questo tipo di discromatopsia colpisce circa il 5-8% degli uomini e <1% delle donne.[6] La maggior probabilità degli uomini di esprimere un fenotipo recessivo legato al cromosoma X è dovuta al fatto che i maschi hanno un solo cromosoma X, mentre le donne ne hanno due; se le donne ereditano un cromosoma X normale oltre a quello mutato, non mostreranno la mutazione, mentre gli uomini non hanno cromosomi X “di scorta” che contrastino il cromosoma X mutato. Se il 5% delle varianti di un gene è difettoso, la probabilità che una copia singola sia difettosa è del 5% e la probabilità che entrambe siano difettose è (5% × 5%) = (0,05 × 0,05) = 0,0025, ovvero 0,25%.

DIAGNOSI: le tavole di Ishihara

 Esistono diverse forme di discromatopsia alcune più deboli altre, invece, meno. Quest’ultime possono riscontrarsi in modo evidente già durante l’infanzia.

I colori che i bambini maggiormente confondono sono:

  • il rosa con il grigio;
  • l’arancione con il giallo;
  • il bianco con il verde;
  • il marrone con il bordeaux

ma soprattutto hanno difficoltà nel vedere i colori poco saturi. Infatti, un modo per potersi accorgere di questo a scuola, è riscontrare la difficoltà del bambino nel colorare paesaggi autunnali, foglie, alberi, tutte quelle cose dove prevalgono colori come il marrone e il verdastro. Dopo un primo accorgimento è, però, indispensabile somministrare ai bambini le cosiddette tavole di Ishihara.

Per una maggiore attendibilità bisogna somministrare test di questo tipo non prima dei 3 anni ed è molto importante ripeterli nel corso degli anni. Le tavole di Ishihara, dal nome dell’ideatore, il medico giapponese Shinobu Ishihara, consentono di valutare la presenza di alterazione visiva per quanto riguarda la percezione dei colori.

Per questo test vengono utilizzate 38 tavole pseudo-isocromatiche presenti in sequenza all’interno di un libro. Il test di Ishihara consiste nel riconoscere i numeri che tendono a confondersi con lo sfondo colorato, per i test rivolti ai bambini i numeri sono sostituiti con un disegno o un percorso. Questo test viene eseguito durante una visita oculistica ed è ideale soprattutto per l’identificazione dei deficit congeniti nell’asse rosso-verde; non riesce a fornire, invece, informazioni complete sui deficit di percezione cromatica che interessano l’asse blu-giallo. I risultati andrebbero, quindi, integrati con altri test per avere un quadro più completo.

Come vede il soggetto daltonico: un discromatopsico, ossia un individuo affetto da discromatopsia, non riesce a distinguere luci di diversa lunghezza d’onda. Se ad esempio gli si mostra un disegno con un triangolo rosso su uno sfondo verde, il soggetto può non distinguere la figura.

In rete oggi sono presenti degli strumenti grafici tramite i quali è possibile effettuare primi test per valutare la sensibilità ai colori, ad esempio: https://www.it.colorlitelens.com/test-di-daltonismo.html

CURA

Non esistono farmaci per correggere il daltonismo. L’unico rimedio sembra essere quello di indossare occhiali specifici, con lenti dotato di filtri progettati per correggere i difetto percettivo diagnosticato: ad esempio con lenti con filtro rosso che permettono al daltonico di percepire parzialmente le variazioni di rosso e di verde.

 

 



Dr. Carmine Ciccarini

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Tel. 075 5007094 – Tel. 339 2248541

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