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16/Apr/2024

Salzmann: malattie rare della cornea

La degenerazione corneale nodulare di Salzmann è una rara malattia della cornea generalmente monolaterale, caratterizzata da accumulo di noduli bianco-azzurrognoli superficiali medio-periferici. Frequentemente asintomatica, negli stadi avanzati si possono verificare erosioni corneali ricorrenti.

La Sindrome di Salzmann colpisce prevalentemente adulti di sesso femminile con un esordio di norma intorno ai 50 anni, può presentarsi anche bilateralmente. Si tratta di accumulo di materiale ialino, prevalentemente collagene addensato, a carico degli strati superficiali, tra epitelio e membrana di Bowman e stroma sottostante.

I sintomi esordiscono durante lo stadio tardivo della malattia, La sintomatologia è caratterizzata da fotofobia, lacrimazione, blefarospasmo e diminuzione dell’acuità visiva. L’occhio non appare infiammato anche se i soggetti lamentano bruciori, sensazione di corpo estraneo e discomfort non ben definito.

Poiché si possono verificare erosioni corneali ricorrenti queste sono la causa “meccanica” dei sintomi sopra citati; la causa effettiva della patologia non è nota. È stato riscontrato che la comparsa della degenerazione può essere conseguente a processi infiammatori infettivi (lue o tbc, tracoma) di natura acuta o cronica, congiuntiviti flittenulari (reazione immunitaria della cornea e della congiuntiva ai batteri), traumi.

Alcuni pazienti riportano episodi di infiammazioni ricorrenti della superficie oculare non chiaramente diagnosticati e trattati, abuso nell’utilizzo di lenti a contatto, occhio secco, disfunzioni delle ghiandole di Meibomio, allergie ricorrenti.

 

Accumuli bianco-azzurrognoli nella sindrome di Salzmann

DIAGNOSI E TRATTAMENTO

La diagnosi è clinica.

Si presentano anche casi in cui la diagnosi è insidiosa, date le somiglianze con patologie di natura e prognosi ben diversa. La terapia varia a seconda dei casi: lubrificazione, steroidi topici igiene palpebrale e doxiciclina orale, ausili di lenti a contatto terapeutiche.

Visto che la diagnosi può avvenire anche in una fase tardiva, nei casi più avanzati per la cura della sindrome di Salzmann è possibile effettuare un trattamento chirurgico come la cheratectomia superficiale (clivaggio dei noduli con una spatolina) o anche la cheratectomia fototerapeutica (PTK), una procedura sviluppata con il laser ad eccimeri che ha lo scopo di levigare e regolarizzare la superficie della cornea.

Le recidive in genere avvengono dopo 5 anni nel 20% dei casi.


16/Apr/2024

La neurite ottica retrobulbare: una patologia infiammatoria che colpisce il nervo ottico

La neurite ottica retrobulbare è una patologia che colpisce il nervo ottico consiste nell’infiammazione della parte posteriore del nervo ottico e può essere causata da differenti fattori: patologie infettive, traumi all’occhio, alterazioni arteriosclerotiche delle arterie celebrali anteriori, intossicazioni.

In linea di principio si tratta di un’infiammazione semplice del nervo ottico. I sintomi sono di solito monolaterali, con dolore oculare e parziale o completa perdita della vista. La diagnosi è principalmente clinica. La terapia è diretta alla malattia di base; la maggior parte dei casi si risolve spontaneamente. La neurite ottica retrobulbare è particolarmente diffusa tra gli adulti dai 20 ai 40 anni. La maggior parte dei casi deriva da una patologia demielinizzante, in particolare dalla sclerosi multipla, nella quale possono verificarsi recidive e della quale a volte la neurite ottica rappresenta il sintomo iniziale. Altre cause possono essere:

  • Neuromielite ottica; patologia demielinizzante che colpisce principalmente l’apparato visivo prima del sistema nervoso centrale
  • Malattia associata agli anticorpi MOG; condizione neuro-infiammatoria che causa preferenzialmente infiammazione nel nervo ottico
  • Malattie infettive (p. es., encefalite virale in particolare nei bambini, sinusite, meningite, tubercolosi, sifilide, HIV)
  • Metastasi neoplastiche lungo le fibre del nervo ottico
  • Lupus eritematoso sistemico
  • Sostanze chimiche e farmaci come il piombo. Il metanolo, il chinino, l’arsenico, l’etambutolo e gli antibiotici causano neuropatie ottiche piuttosto che una vera neurite ottica. Gli inibitori del TNF-alfa e gli inibitori dei checkpoint immunitari possono causare neurite ottica.

Le cause rare comprendono l’anemia perniciosa e le malattie autoimmuni sistemiche. Spesso però la causa rimane non nota o comunque non completamente dimostrabile e riconducibile ed un processo specifico anche nonostante un’approfondita valutazione.

SINTOMATOLOGIA E DIGNOSI

Il sintomo principale della neurite ottica è la perdita della vista, frequentemente massimale entro vari giorni, che va da un piccolo scotoma centrale o paracentrale alla completa cecità. La maggior parte dei pazienti ha dolore oculare lieve che spesso si intensifica con il movimento degli occhi.

I risultati più caratteristici comprendono ridotta acuità visiva, deficit del campo visivo, disturbi della visione a colori (spesso sproporzionati rispetto alla perdita di acuità visiva). Il test della visione dei colori è un utile complemento, pur producendo risultati falsi positivi.

I due terzi dei pazienti l’infiammazione ha luogo in regione retrobulbare, senza provocare alterazioni visibili sulla testa del nervo ottico. Nei restanti casi sono presenti disco iperemico, edema nel disco o intorno allo stesso, stasi vascolare o una combinazione di questi. Possono essere presenti alcuni essudati ed emorragie in prossimità o in corrispondenza del disco ottico, anche se ciò si riscontra più raramente.

La diagnosi deriva soprattutto da un’attenta valutazione clinica: sospettare una neurite ottica nei soggetti che presentano caratteristico dolore associato a perdita della vista, soprattutto se questi sono giovani è fondamentale.

Una RM encefalica e delle orbite, può evidenziare un nervo ottico ingrandito, con l’assunzione di contrasto. La RM può anche aiutare a diagnosticare la sclerosi multipla, la MOGAD e la neuromielite ottica. Di solito si verifica un enhancement più esteso del nervo ottico nella neuromielite ottica e nella myelin oligodendrocyte glycoprotein antibody-associated disease (MOGAD). La RM encefalo, studiata nelle sequenze, può mostrare le tipiche lesioni demielinizzanti in una sede periventricolare se la neurite ottica è correlata alla sclerosi multiple Gli anticorpi della neuromielite ottica e MOG nel siero devono essere controllati per qualsiasi neurite ottica grave o atipica.

TERAPIA E RECUPERO

La maggior parte degli episodi di neurite ottica tipica migliora spontaneamente con un significativo recupero della vista in 2-3 mesi. Il tasso di recidiva tra i pazienti con neurite ottica è variabile e dipende dall’eziologia. I pazienti con una malattia di base, come la neuromielite ottica o MOGAD, hanno tassi più elevati di recidiva nello stesso occhio o nell’altro occhio, e il recupero della vista può essere peggiore, soprattutto per il nuovo tumore. La RM è utilizzata per determinare il rischio futuro di malattia demielinizzante, in particolare la sclerosi multipla.

Il trattamento con corticosteroidi prima per via endovenosa e poi, successivamente per via sistemica, e un’opzione, soprattutto se si sospettano sclerosi multipla o neuromielite ottica. Questi farmaci possono accelerare la guarigione.

Se la perdita della vista è grave e non inizia a risolversi dopo la somministrazione di corticosteroidi, talvolta si può ricorrere alla plasmaferesi. Se la neurite ottica retrobulbare è correlata a sclerosi multipla, neuromielite ottica, malattia associata agli anticorpi anti-glicoproteina oligodendrocitica mielinica o a un’infezione, è necessario trattare anche la patologia sottostante per sperare di avere un risultato che migliori il visus del paziente colpito.


20/Mar/2024

Una sindrome rara sistemica che interessa anche l’apparato oculare: la Churg-Strauss

La granulomatosi eosinofila con poliangioite (Eosinophilic Granulomatosis with Polyangiitis EGPA), precedentemente nota come sindrome di Churg-Strauss, è un’infiammazione dei vasi sanguigni (vasculite) di piccole e medie dimensioni, per questo motivo può interessare anche i piccoli vasi della retina della cornea, sotto forma di sindrome di Cogan, e del nervo ottico.

In generale, l’infiammazione è una risposta naturale del sistema immunitario a lesioni o infezioni e aiuta a combattere i microrganismi invasori. Tuttavia, in alcuni casi, per ragioni non sempre definite, l’infiammazione si verifica contro i propri tessuti sani tramite una risposta auto-infiammatoria o autoimmune. In particolare, nella vasculite il sistema immunitario attacca i vasi sanguigni inducendo gonfiore e ostruzione degli stessi.

La patologia di Churg-Strauss è di natura sistemica e gli organi colpiti più comunemente sono i polmoni e la pelle ma possono essere coinvolti anche cuore, reni, nervi e intestino.  In questo tipo di vasculite sia nel sangue, sia nei tessuti interessati, si trovano livelli molto alti di un tipo di globuli bianchi, gli eosinofili, che oltre a essere correlati con le allergie combattono le infezioni causate da parassiti.

Per quanto concerne l’apparato visivo sintomi comuni sono dolore oculare, riduzione della vista, aumento della sensibilità alla luce intensa e arrossamento oculare; la diagnosi viene formulata in base alla valutazione medica e a esami del sangue. Il trattamento sintomatico prevede colliri a base di corticosteroidi e corticosteroidi in pillole

DIFFUSIONE

La sindrome di Churg-Strauss colpisce uomini e donne nella stessa misura, con una frequenza di circa 11-13 persone per milione. L’età media in cui viene scoperta è di circa 40 anni; è molto rara nei bambini o sopra i 65 anni di età.

Le persone con granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA) presentano spesso sintomi aspecifici come febbre, malessere, anemia e perdita di peso. Un disturbo frequente è una grave forma di asma che compare in età adulta; Spesso è presente la sinusite e una serie di altri disturbi quali eruzioni cutanee, sensazione di spilli o intorpidimento, problemi intestinali, anemia, problemi cardiaci, dolori muscolari e articolari e stanchezza.

EVOLUZIONE DELLA PATOLOGIA

Un indicatore importante per accertare (diagnosticare) la EGPA è rappresentato dall’evoluzione nel tempo dei disturbi che, spesso, si sviluppano in 3 fasi:

  • prima fase “prodromica”, le persone soffrono spesso di allergie: allergie oculari con forte arrossamento, asma allergica, che solitamente compare in età adulta, sinusite fin da adolescenti, rinite allergica e poliposi nasale che tende a ripresentarsi dopo la rimozione chirurgica. La fase prodromica può persistere per molti anni
  • seconda fase “eosinofila”, si trovano livelli elevati di eosinofili nel sangue e, spesso, anche infiltrati nei tessuti degli organi colpiti come il sistema respiratorio, il tratto gastro-intestinale.
  • terza e ultima fase “vasculitica”, inizia l’infiammazione dei vasi piccoli e medi (vasculite), spesso tra i venti e i trenta anni di età. Stanchezza, perdita di peso e febbre spesso precedono questa fase. Nella terza e ultima fase predominano i disturbi causati dal coinvolgimento dei vasi presenti nei diversi organi e apparati.

lesioni oculari caratteristiche della Sindrome

La fase acuta della patologia autoimmune è caratterizzata essenzialmente da neuropatia periferica, (mononeurite multipla nel 65-75% dei casi) , manifestazioni neurologiche presentano  interessamento dei nervi cranici, neurite ottica ischemica, neurite dei nervi cranici e del nervo ottico. Raro il coinvolgimento del sistema nervoso centrale; lesioni sulla pelle, più frequentemente in rilievo, compaiono in circa il 51% delle persone.

Problemi renali e interessamento del muscolo cardiaco (cardiomiopatia e pericardite) sono più rari, ma la sequenza delle fasi non è sempre così ben definita, alcuni sintomi possono sovrapporsi e alcuni altri disturbi possono invece non presentarsi affatto.

 


23/Feb/2024

DISCROMATOPSIA….UN NOME COMPLICATO PER IDENTIFICARE IL “DALTONISMO”

La discromatopsia è un difetto alla vista di alcuni colori, ovvero un’inabilità a percepire i colori, del tutto o in parte. È un difetto del cromosoma X, quindi di natura prevalentemente genetica.

Il daltonismo tuttavia può insorgere anche in seguito a danni agli occhi, ai nervi o al cervello e persino in seguito all’esposizione ad alcuni composti chimici.

Il termine volgare “daltonismo” prende il nome da John Dalton che per primo ne scoprì l’esistenza, egli stesso è spesso ricordato come lo scienziato che vedeva il mondo con “altri colori”, e ne ipotizzò l’ereditarietà già nell’800, e si identifica oggi con il termine deuteranomalia.

Il daltonismo porta a un malfunzionamento delle cellule sensoriali, fotorecettori, che pur essendo tutte presenti (coni rossi, verdi e blu), presentano tutte o soltanto alcuni gruppi un malfunzionamento, determinando la mancanza di capacità totale o parziale da parte dei soggetti di riconoscere specifiche tonalità.

Si parla di dicromatismo quando è completamente assente la funzione di una sola delle tre varietà di coni.

Si distinguono quindi:

  • protanopia, cecità per il primo colore fondamentale, ossia il rosso;
  • deuteranopia, cecità per il secondo colore fondamentale, ossia il verde;
  • tritanopia, cecità per il terzo colore fondamentale, ossia il blu–giallo.

Quando la cecità al colore è totale per mancanza di tutti e tre i coni si parla di acromatopsia.

Sono inoltre detti tricromati anomali quegli individui che sono sensibili a tutti e tre i colori fondamentali (tricromatismo), ma sono deficitari, in misura variabile, dei recettori di uno dei tre colori fondamentali.

Esempio di test sulla visione dei colori. Con lo schermo del computer configurato correttamente, le persone con visione corretta dovrebbero vedere il numero “74”. Molte persone discromatopsiche leggono il numero “21”

Si parla perciò di:

  • protanomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il rosso;
  • deuteranomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il verde;
  • tritanomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il blu–giallo.

 

DIFFUSIONE

La discromatopsia ha una diffusione significativa, benché la sua incidenza vari molto all’interno di diversi gruppi umani. Comunità isolate con un patrimonio genetico relativamente ristretto a volte presentano un’alta proporzione di individui affetti da cecità ai colori, anche dei tipi più rari. Alcuni esempi sono l’Australia, in cui si stima che il 4% della popolazione abbia una qualche carenza nella percezione del colore, le regioni rurali della Finlandia e alcune isole della Grecia.

EZIOLOGIA

Esistono diversi tipi di discromatopsia. I più diffusi sono dovuti ad alterazioni ereditarie dei coni, i fotorecettori sensibili ai colori, ma è anche possibile diventare discromatopsici in seguito a un danneggiamento della retina, del nervo ottico o di determinate aree della corteccia cerebrale. Questa discromatopsia è spesso diversa da quella di origine genetica; per esempio può manifestarsi solo in una parte del campo visivo. Alcune forme di discromatopsia acquisita sono reversibili. Alcune forme temporanee di discromatopsia affliggono raramente chi soffre di emicrania.

DISCROMATOPIA GENETICA

 La discromatopsia genetica è normalmente dovuta a un allele recessivo posto sul cromosoma X. La mappatura del genoma umano ha peraltro dimostrato che la discromatopsia può essere indotta da una mutazione in 58 geni diversi, divisi tra 19 cromosomi. Questo tipo di discromatopsia colpisce circa il 5-8% degli uomini e <1% delle donne.[6] La maggior probabilità degli uomini di esprimere un fenotipo recessivo legato al cromosoma X è dovuta al fatto che i maschi hanno un solo cromosoma X, mentre le donne ne hanno due; se le donne ereditano un cromosoma X normale oltre a quello mutato, non mostreranno la mutazione, mentre gli uomini non hanno cromosomi X “di scorta” che contrastino il cromosoma X mutato. Se il 5% delle varianti di un gene è difettoso, la probabilità che una copia singola sia difettosa è del 5% e la probabilità che entrambe siano difettose è (5% × 5%) = (0,05 × 0,05) = 0,0025, ovvero 0,25%.

DIAGNOSI: le tavole di Ishihara

 Esistono diverse forme di discromatopsia alcune più deboli altre, invece, meno. Quest’ultime possono riscontrarsi in modo evidente già durante l’infanzia.

I colori che i bambini maggiormente confondono sono:

  • il rosa con il grigio;
  • l’arancione con il giallo;
  • il bianco con il verde;
  • il marrone con il bordeaux

ma soprattutto hanno difficoltà nel vedere i colori poco saturi. Infatti, un modo per potersi accorgere di questo a scuola, è riscontrare la difficoltà del bambino nel colorare paesaggi autunnali, foglie, alberi, tutte quelle cose dove prevalgono colori come il marrone e il verdastro. Dopo un primo accorgimento è, però, indispensabile somministrare ai bambini le cosiddette tavole di Ishihara.

Per una maggiore attendibilità bisogna somministrare test di questo tipo non prima dei 3 anni ed è molto importante ripeterli nel corso degli anni. Le tavole di Ishihara, dal nome dell’ideatore, il medico giapponese Shinobu Ishihara, consentono di valutare la presenza di alterazione visiva per quanto riguarda la percezione dei colori.

Per questo test vengono utilizzate 38 tavole pseudo-isocromatiche presenti in sequenza all’interno di un libro. Il test di Ishihara consiste nel riconoscere i numeri che tendono a confondersi con lo sfondo colorato, per i test rivolti ai bambini i numeri sono sostituiti con un disegno o un percorso. Questo test viene eseguito durante una visita oculistica ed è ideale soprattutto per l’identificazione dei deficit congeniti nell’asse rosso-verde; non riesce a fornire, invece, informazioni complete sui deficit di percezione cromatica che interessano l’asse blu-giallo. I risultati andrebbero, quindi, integrati con altri test per avere un quadro più completo.

Come vede il soggetto daltonico: un discromatopsico, ossia un individuo affetto da discromatopsia, non riesce a distinguere luci di diversa lunghezza d’onda. Se ad esempio gli si mostra un disegno con un triangolo rosso su uno sfondo verde, il soggetto può non distinguere la figura.

In rete oggi sono presenti degli strumenti grafici tramite i quali è possibile effettuare primi test per valutare la sensibilità ai colori, ad esempio: https://www.it.colorlitelens.com/test-di-daltonismo.html

CURA

Non esistono farmaci per correggere il daltonismo. L’unico rimedio sembra essere quello di indossare occhiali specifici, con lenti dotato di filtri progettati per correggere i difetto percettivo diagnosticato: ad esempio con lenti con filtro rosso che permettono al daltonico di percepire parzialmente le variazioni di rosso e di verde.

 

 


16/Gen/2024

ALTERAZIONI DELLA RETINA: LE STRIE ANGIOIDI

Le strie angioidi, evidenziate per la prima volta da Doyne nel 1889 che descrisse tale aspetto del fundus oculi in un paziente che presentava una emorragia retinica post-traumatica. Sono delle alterazioni della lamina elastica della membrana di Bruch (una sorta di sottilissima lamina di 2-4 micrometri, formata da due membrane basali – una dalla parte della coroide e una dalla parte dell’epitelio pigmentato retinico -, fibre collagene e fibre elastiche) che si presenta ispessita, calcifica e abnormemente fragile. Queste si manifestano con delle striature radiali, spesso pigmentate, emergenti dal nervo ottico.

La loro presenza è stata per lo più riscontrata in pazienti con pseudoxantoma elastico, una displasia ereditaria del tessuto elastico che colpisce prevalentemente la pelle, gli occhi, il sistema gastrointestinale e cardiovascolare.

Le strie angioidi si osservano solitamente nel giovane adulto, sebbene non siano mai state osservate alla nascita, esse si possono osservare anche nell’infanzia. È stato ipotizzato che le strie possano essere la conseguenza di traumi anche di lieve entità, ma sembra più probabile che esse si producano in modo spontaneo per una primitiva alterazione metabolica che coinvolge le fibre elastiche della membrana di Bruch.

Le strie angioidi sono state riscontrate a volte anche in altre affezioni quali la malattia di Paget e l’anemia a cellule falciformi.

L’incidenza dello pseudoxantoma elastico in pazienti con strie angioidi risulta in un recente studio italiano eseguito con la biopsia cutanea, pari all’85% dei casi esaminati; infatti a volte l’alterazione cutanea è molto evidente (pelle a “buccia d’arancia”), e può ritenersi come il primo segno indiretto sulla presenza delle strie angioidi.

Complicanze ed esami diagnostici

Le SA si manifestano come linee sottili e frastagliate di colore bruno-rossastro che si irradiano dal nervo ottico e che simulano il decorso di vasi sottoretinici.

Le strie sono normalmente bilaterali Queste strie rappresentano un segno di debolezza della corioretina e possono pertanto complicarsi con lesioni neovascolari a carico della macula con gravi ripercussioni visive.

I pazienti in una prima fase della patologia, tendono ad essere asintomatici finché non c’è coinvolgimento maculare, la cui complicanza più frequente è la neovascolarizzaione coroidale

Il paziente si accorge di queste complicanze per la comparsa di un calo visivo, di deformazioni delle immagini, di alterazioni dei colori questo a causa di edema maculare cistoide o schisi della retina centrale.

In tali casi è indispensabile fare una esatta diagnosi, in tempi rapidi, anche avvalendoci degli esami angiografici disponibili, quali la fluorangiografia e l’angiografia con verde indocianina.
Una volta rilevata la presenza di questi ciuffi di neovasi bisogna prendere in considerazione la terapia di fotocoagulazione laser ed iniezioni intravitreali con anticorpi monoclonali.

Trattamenti delle Strie Angioidi

Riferendosi alla casistica presente in letteratura, il trattamento laser sembrerebbe il più efficace rispetto alla evoluzione naturale della malattia, anche se il visus finale è spesso molto basso. Sono infatti elevate le recidive neovascolari e spesso dobbiamo intervenire con il laser più volte; ciò è dovuto al fatto che il tessuto è molto fragile e non è in grado di esercitare una barriera efficace e pertanto di aiutare la riparazione dei danni presenti

Attualmente la terapia fotodinamica è in valutazione. L’efficacia della fotocoagulazione laser non è mai stata ancora verificata in studi clinici controllati; alcuni studi su un numero ristretto di pazienti sono stati condotti anche in Italia dalla Fondazione Policlinico Tor Vergata di Roma. Anche l’associazione della terapia fotodinamica con verteporfirina, o associata a triamcinolone, ha fornito risultati controversi.

La recente introduzione degli inibitori del VEGF nella terapia della maculopatia neovascolare apre nuovi orizzonti nella terapia della forma associata alle strie angioidi. Sono recentemente comparsi in letteratura alcuni lavori su piccole casistiche che suggeriscono l’efficacia degli inibitori del VEGF in tale patologia. Per una personale esperienza clinica anche in questa patologia le iniezioni intraoculari danno risultati sicuramente migliori rispetto al Laser ed il trattamento anti-VEGF sembra confermare la possibilità di ottenere, perlomeno a breve scadenza, buoni risultati per il recupero parziale del visus.

 

ALCUNI STUDI DI RIFERIMENTO

  1. Ciulla TA, Criswell MH, Danis RP, Hill TE. Intravitreal triamcinolone acetonide inhibits choroidal neovascularization in a laser-treated rat model. Arch Ophthalmol 2001;119:399–404.
  2. Gillies MC, Simpson JM, Luo W, et al. A randomized clinical trial of a single dose of intravitreal triamcinolone acetonide for neovascular age-related macular degeneration: one-year results. Arch Ophthalmol 2003;121:667–673.
  3. Teixeira A, Moraes N, Farah ME, Bonomo PP. Choroidal neovascularization treated with intravitreal injection of bevacizumab (Avastin) in angioid streaks. Acta Ophthalmol Scand 2006;84(6):835-836.

 


16/Gen/2024

PARALISI ESTERNA PROGRESSIVA: oppure tecnicamente OFTALMOPLEGIA

L’oftalmoplegia (o paralisi) esterna progressiva è una sindrome di origine genetica caratterizzata da debolezza progressiva dei muscoli degli occhi e delle palpebre, che comporta palpebre cadenti (ptosi) e paralisi dei muscoli oculari. Può inoltre essere presente debolezza dei muscoli degli arti, di gravità variabile. La malattia si manifesta principalmente in età adulta.

Si tratta di una sindrome genetica recessiva o dominante che causa ptosi palpebrale (abbassamento della palpebra) e progressivamente una paralisi dei muscoli oculari con impossibilità all’elevazione, all’abbassamento e alle adduzioni orizzontali.

esempi di pazienti affetti da oftalmoplegia

In certi casi può accompagnare una forma di Parkinson molto aggressiva (paralisi sopranucleare progressiva). Il paziente ha difficoltà scendere le scale e spesso è soggetto a cadute con conseguenze immaginabili.

Eziologia

Questa affezione è dovuta ad una malattia dei mitocondri causata da alterazioni del DNA che si verificano già nell’infanzia; alcuni disturbi possono manifestarsi in età adulta, anche oltre i 660 anni di età.

I geni associati a questa mutazione sono diversi, tra questi il POLG, il POLG2, ANTI1, TNINKLE e altri; l’ereditarietà può presentarsi in forma recessiva (da genitori sani, ma portatori del gene mutato malato) o dominante. Esistono mutazioni spontanee non genetiche, talvolta in soggetti che hanno subito trattamenti chemioterapici.

Terapia

Idebenone ad alti dosaggi ha dato risultati soddisfacenti; un buon risultato è stato riscontrato anche con iniezioni para-bulbari o retro-bulbari con cortisonici iniettati direttamente sul cono muscolare retrorbitale.

 


14/Dic/2023

La rosolia è una tra le più note malattie esantematiche tipiche dell’infanzia. Di solito, il decorso è benigno e la sintomatologia è di lieve entità, senza particolari conseguenze per la salute. Una volta superata, la rosolia lascia un’immunità permanente, pertanto non è più possibile ammalarsi.

Tuttavia, se l’infezione è contratta per la prima volta in gravidanza, il virus della rosolia può superare la barriera placentare raggiungendo il sistema circolatorio fetale, quindi può essere trasmesso all’embrione o al feto in via di sviluppo attraverso la circolazione sanguigna.

Ciò può rivelarsi molto pericoloso per la salute del nascituro; una volta nel sistema circolatorio fetale il virus può moltiplicarsi rapidamente nei tessuti embrionali, provocando danni cromosomici ed alterazioni dell’organogenesi.

Una volta trasmessa dalla madre all’embrione o al feto, l’infezione può provocare aborto spontaneo, morte intrauterina e malformazioni di varia gravità.

Le più comuni manifestazioni fetali della rosolia congenita sono i difetti della vista, la sordità, le malformazioni cardiache ed il ritardo mentale.

La rosolia in gravidanza comporta rischi particolarmente gravi se contratta nei primi 3-4 mesi di gestazione. L’infezione congenita e le possibili conseguenze della malattia sono strettamente connesse al momento in cui la gestante contrae la malattia. In particolare, se la rosolia viene contratta durante le prime 10 settimane di gravidanza, il rischio stimato di conseguenze per il feto è fino al 90%.

Le probabilità che il nascituro sviluppi complicanze si riducono al 30%, se l’infezione avviene tra la 11esima e la 16esima settimana. Nelle infezioni contratte oltre la 17esima settimana di gravidanza, nel neonato è stato registrato prevalentemente un rischio di sordità congenita o problemi all’apparato visivo. Oltre il primo trimestre di gestazione, infatti, la placenta esplica un’azione protettiva, quindi è più raro che si verifichi un’infezione fetale in questo periodo.

Studi recenti condotti al Policlinico Gemelli di Roma hanno riscontrato che il passaggio del virus rubeolico nel periodo sicuramente a rischio per il feto (fino alla fine del 4°mese) non è comunque molto frequente: nell’ esperienza clinica del Gemelli è stato documentato nel 16% dei casi.

Un neonato che ha contratto l’infezione durante lo sviluppo intrauterino può rimanere infettivo anche per mesi dopo la nascita.

 

I problemi alla vista più frequenti causati dal virus della rosolia possono essere:

  • cataratta congenita: si presenta subito come un’opacità del cristallino che è presente alla nascita o poco dopo la nascita. Essa si presenta spesso come bilaterale e densa. La diagnosi è clinica e talvolta mediante imaging. La terapia consiste nell’asportazione chirurgica precoce della cataratta, solitamente tra le 4-10 settimane di età.

 

  • microftalmia (ridotto sviluppo oculare nel corso della vita intrauterina): si manifesta alla nascita come difficoltà ad aprire la palpebra, talvolta anche il diametro dell’iride è più piccolo. Non esiste un trattamento curativo vero e proprio, l’utilizzo di protesi di diverse dimensioni permette di ingrandire a poco a poco la cavità orbitaria, favorendone uno sviluppo più armonico. Il loro posizionamento, necessario fin dai primi mesi di vita, può però rivelarsi molto difficoltoso.

 

  • glaucoma congenito o glaucoma infantile primario è una rara anomalia per cui l’umor acqueo non defluisce correttamente dalla camera anteriore dell’occhio. L’ostruzione aumenta la pressione all’interno dell’occhio e può persino danneggiare il nervo ottico e causare la cecità completa se non viene trattata tempestivamente in primis con colliri che hanno l’obiettivo di far diminuire la pressione intraoculare e successivamente con opportuni trattamenti laser.

 

  • corioretinite risposta infiammatoria anche severa che colpisce la zona posteriore dell’occhio con origine infettiva. Danneggiando il nervo ottico in maniera non reversibile, può portare ad importanti danni al visus

 

  • retinite pigmentosa: distrofia retinica, caratterizzata dalla graduale perdita dei fotorecettori e dalla disfunzione dell’epitelio pigmentato. Questo significa che la retina riduce progressivamente la propria capacità di trasmettere le informazioni visive al cervello tramite il nervo ottico; anche in questo caso la natura è congenita ed infettiva provocata da rubivirus.

09/Ott/2023

ANCORA A PROPOSITO DI PATOLOGIE RARE: Ulcera di Mooren

L’ulcera di Mooren, anche chiamata ulcera rodente, è una rara forma di cheratite (infiammazione della cornea) cronica, che si localizza inizialmente alla periferia della cornea per poi spostarsi circonferenzialmente e centripetamente. È una condizione rara ma piuttosto grave, la causa è autoimmune.

La patologia di Mooren colpisce principalmente il sesso femminile e le razze asiatiche ed africane, ma si presentano alcuni casi anche in Europa.

In base alle caratteristiche cliniche, ai reperti fluor-angiografici e alla risposta al trattamento sono stati riconosciuti 3 diversi tipi di patologie:

  • Ulcerazione Monolaterale che colpisce principalmente pazienti anziani di razza bianca di solito di sesso femminile: i segni sono dati da un’ulcera progressiva accompagnata da forte dolore e associata ostruzione vascolare superficiale.
  • Ulcerazione aggressiva bilaterale la quale si presenta per lo più nei pazienti giovani di sesso maschile di origine Indiana; essa è meno dolorosa rispetto al tipo monolaterale ed è data da ulcerazione progressiva della circonferenza con diffusione centripeta tardiva. L’angiografia con fluoresceina mostrano la neo vascolarizzazione con infiltrazione che si estende alla base dell’ulcera.
  • Ulcera bilaterale non dolorosa che colpisce di solito i pazienti di mezza età di origine indiana malnutriti. I segni sono dati da formazione progressiva di un solco periferico fastidioso con una risposta infiammatoria minima che spesso si risolve spontaneamente.

 

SINTOMATOLOGIA

I segni comuni a tutte le forme di Ulcera di Mooren in ordine di comparsa sono: infiltrazione corneale periferica 2-3 mm dal limbus; ulcera corneale semilunare caratterizzata dall’estesa erosione al di sopra dell’infiltrato; diffusione su tutta la circonferenza centrale.

Lo stato riparativo è caratterizzato da assottigliamento, vascolarizzazione e cicatrizzazione. È possibile la comparsa di cataratta secondaria. Se la sclera non è coinvolta la perforazione è rara.

 

TRATTAMENTO

Il trattamento dell’ulcera di Mooren si differenzia a seconda di quale caso tra quelli sopra descritti della patologia viene individuato durante la diagnosi:

Nel caso di ulcerazione monolaterale il trattamento è difficile a causa della scarsa risposta all’immunoterapia sia topica che sistemica della patologia; anche risultati del trapianto di cornea non sono soddisfacenti con recidive corneali e possibile recidiva dell’ulcerazione del lembo.

Per l’ulcerazione aggressiva bilaterale il trattamento si avvale dell’utilizzo di Metilprednisolone per via endovenosa eseguiti da steroidi topici sistemici o agenti citotossici. Inoltre può anche essere utilizzata la ciclosporina topica o sistemica. I risultati sono abbastanza soddisfacenti dal punto di vista clinico.

Nella terza sintomatologia che in realtà è la meno grave e quella legata ad una particolare etnia geografica dove se ne riconosce la diffusione prevalente, Il trattamento prevede il miglioramento della dieta e la risoluzione delle infezioni associate.

Come prima linea di terapia inoltre, un regime immunosoppressivo aggressivo e personalizzato sulla base della sua gravità, migliora le possibilità di controllo della malattia anche in casi di patologia molto aggressiva.

Studi hanno invece evidenziato che la resezione coniugale e l’applicazione della colla di cianoacrilato non sono efficaci nell’evitare le ricorrenze e fermare la progressione della malattia.

 

APPROFONDIMENTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  1. Br J Ophthalmol. 2013 Nov  – “Immunosuppression for Mooren’s ulcer: evaluation of the stepladder approach–topical, oral and intravenous immunosuppressive agents.” – Ashar JN, Mathur A, Sangwan VS. Cornea and Anterior Segment Services, L V Prasad Eye Institute, Hyderabad, Andhra Pradesh, India
  2. Br J Ophthalmol. 2016 Jul  –  “Efficacy of conjunctival resection with cyanoacrylate glue application in preventing recurrences of Mooren’s ulcer.” –  Lal I, Shivanagari SB, Ali MH, Vazirani J. Cornea and Anterior Segment Services, LV Prasad Eye Institute, GMRV Campus, Visakhapatnam, Andhra Pradesh, India

 


07/Set/2023

La corioretinite è un’infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio: in particolare coroide, retina e corpo vitreo.

Si parla allo stesso modo di corioretinite,  coroidite, retino-coroidite (l’infiammazione ha inizio a livello retinico e successivamente colpisce la coroide) e vasculite retinica, ma la differenza è in realtà più teorica che pratica: la nomenclatura varia principalmente a seconda della localizzazione iniziale dell’infiammazione.

Una distinzione va fatta invece con la corioretinopatia sierosa centrale che è caratterizzata da un distacco sieroso del neuroepitelio al polo posteriore, causato dal passaggio di fluido dalla coroide nello spazio sotto-retinico attraverso un difetto dell’epitelio pigmentato; non è però caratterizzato dal processo infiammatorio caratteristico delle corioretiniti.

 

CAUSE

Le corioretiniti possono essere distinte in quelle con causa infettiva e non infettiva. Più in particolare:

  • infettiva (batteri, virus, miceti, parassiti): provocate da tubercolosi, sifilide, toxoplasmosi, toxocariasi, infezioni erpetiche, candidosi e rosolia. Nei pazienti con immunodepressione primaria (malattie autoimmuni) o acquisita (malati di AIDS) è frequente la corioretinite da Citomegalovirus, Hystoplasma e Criptococco;
  • non infettiva: più frequentemente provocate da sarcoidosi, malattia di Behçet (SD) e sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada.

 

PRINCIPALI SINTOMI e DIAGNOSI della CORIORETINITE

Generalmente il sintomo principale è la riduzione della vista sia a causa   dell’infiammazione che del conseguente intorbidamento del corpo vitreo.

È caratterizzata dalla presenza di focolai infiammatori sulla superficie della retina. La malattia può essere a focolaio unico, a focolai multipli e disseminati (CORIORETINITE MULTIFOCALE) oppure diffusa. Si può presentare in forma purulenta o essudativa. La prima forma è causata da agenti infettivi (batteri, virus, funghi, parassiti), mentre quella essudativa è rara, di origine ignota e si presenta in età giovanile, con emorragie retiniche seguite da fenomeni degenerativi.

I disturbi dipendono dalla localizzazione dei focolai infiammatori sulla retina. Infatti, se si localizzano a livello della macula (centro della retina) o si presentano in maniera diffusa, la funzione visiva è gravemente compromessa. Inoltre, se vi è un interessamento infiammatorio del vitreo (corpo vitreo torbido) si ha la comparsa di miodesopsie (corpi mobili filiformi o puntiformi presenti all’interno del vitreo che proiettano sulla retina la loro ombra) e sintomi legati alla retinite concomitante: sensazioni luminose come fosfeni (lampi di luce), metamorfopsie (distorsione delle immagini) e micropsie (rimpicciolimento delle immagini).

La diagnosi si esegue con l’esame del fondo oculare. I focolai infiammatori di corioretinite possono essere isolati o confluenti fra loro e, all’esame oftalmoscopico, appaiono come chiazze bianco-grigiastre a bordi sfumati, che spiccano sul restante fondo rosso. Il vitreo sovrastante è di solito lievemente torbido. Nella forma essudativa attiva si riscontra la presenza di un focolaio infiammatorio che ha l’aspetto di un nodulo sfumato biancastro con vitreo sovrastante torbido. All’esame oculistico può essere evidenziata l’infiammazione all’interno del bulbo oculare (camera vitrea), talvolta così intensa da rendere impossibile l’esplorazione della retina retrostante. Molto spesso si riscontra una vasculite retinica: i vasi si infiammano, si possono restringere fino all’occlusione.

A guarigione avvenuta, ossia il focolaio si spegne, la lesione si cicatrizza e assume l’aspetto di un’area retinica con pigmentazione irregolare e vitreo sovrastante rischiarato.

Altri esami di approfondimento includono la fluoroangiografia, ed esami del sangue che mirano a individuare eventuali agenti patogeni.

La vasculite può essere responsabile di complicanze anche invalidanti per la funzione visiva come, ad esempio, l’edema papillare (del nervo ottico), la maculopatia cistoide, il distacco di retina e le endoftalmiti.

 

TERAPIA

A prescindere dalla causa alla base dell’infiammazione, la terapia si avvale fondamentalmente di cinque categorie di farmaci: i corticosteroidi, i midriatici e i cicloplegici, gli immunosoppressori, gli antinfiammatori non steroidei e antibiotici.

I cortisonici rappresentano il cardine del trattamento antiuveitico. Possono essere somministrati per via locale (colliri o pomate), sistemica (orale, intramuscolo o endovena) e per via perioculare (iniezioni dietro al bulbo oculare). Ovviamente per le uveiti causate da determinati agenti patogeni (come sifilide, toxoplasmosi e tubercolosi) sarà necessario effettuare terapie specifiche e mirate alla cura dell’infezione primaria.


13/Lug/2023

Malattie genetiche rare

LE RETINOPATIE LEGATE AL CROMOSOMA X

Le retinopatie legate al cromosoma X rappresentano un gruppo di malattie ereditarie della retina, che costituiscono un’importante causa di cecità soprattutto nei bambini.

Trattandosi di un gruppo eterogeneo di malattie, anche i meccanismi patogenetici alla base di queste patologie possono essere differenti tra loro. Tuttavia, le retinopatie legate al cromosoma X sono solitamente causate da mutazioni genetiche che provocano una perdita della funzione di alcune proteine e, per questo, rappresentano un ottimo target per le strategie di terapia genica.

Molte delle retinopatie legate al cromosoma X vengono trasmesse alla progenie da madri portatrici sane (cioè che non sviluppano la malattia, ma possono trasmetterla) e questo, nel tempo, ha aiutato i medici a conoscere sempre meglio le modalità di trasmissione ereditaria di queste patologie.

Dati pubblicati di recente dal Center for Hereditary Retinal Degenerations della University of Pennsylvania hanno riscontrato una base genetica nel 52% dei pazienti con retinopatia e, di questi, il 17% aveva una retinopatia legata al cromosoma X.

In primo luogo la RETINITE PIGMENTOSA

La retinite pigmentosa è una degenerazione lentamente progressiva e bilaterale della retina e dell’epitelio pigmentato retinico, causata da varie mutazioni genetiche. I sintomi comprendono emeralopia e riduzione del campo visivo periferico. La diagnosi si basa sull’esame del fondo oculare, che mostra pigmentazione a forma di spicole ossee nella retina equatoriale, restringimento delle arteriole retiniche, pallore cereo del disco ottico, cataratta sottocapsulare posteriore e cellule nel vitreo. L’elettro-retinogramma è utile per confermare la diagnosi. La vitamina A palmitato, acidi grassi omega-3 e luteina più zeaxantina possono contribuire a rallentare la progressione della perdita della vista.

La retinite pigmentosa sembra essere causata da un gene anomalo che codifica per le proteine retiniche; sono stati identificati parecchi geni. La trasmissione può essere autosomica recessiva, autosomica dominante o, raramente, legata al cromosoma X. Può rientrare nell’ambito di una sindrome (p. es., bassen-Kornzweig, Laurence-Moon). Una di queste sindromi comprende pure la perdita congenita dell’udito (sindrome di Usher).

L’ereditarietà legata al cromosoma X e le modalità genetiche di trasmissione delle retinopatie

Le malattie causate da variazioni di sequenza nei geni presenti sul cromosoma X sono note come malattie “X-linked”.

I cromosomi X e Y sono detti cromosomi sessuali, perché determinano il sesso del nascituro (XX per le donne e XY per gli uomini). Il cromosoma X contiene circa 1000 geni, rispetto ai circa 70 presenti sul cromosoma Y. Per equilibrare questa grande differenza, uno dei due cromosomi X, nelle donne, va incontro a un fenomeno detto “inattivazione”. Si tratta di un processo fisiologico che causa il silenziamento casuale di uno dei due cromosomi X, i cui geni, di conseguenza, non vengono espressi.

È stato dimostrato che alcuni dei geni legati al cromosoma X, che sono stati individuati tra le cause di malattie retiniche, come i geni RPGRRP2 e CACNA1F (associati alla retinite pigmentosa e ad altre retinopatie) subiscono tutti una completa inattivazione.

Alcuni geni legati allo sviluppo di retinopatie

Come detto, le forme di retinopatie legate a mutazioni o inattivazione dei geni presenti sul cromosoma X sono molteplici. Tra queste, alcune delle più frequenti, sono legate ai seguenti geni:

  • RPGR

RPGR (retinitis pigmentosa GTPase regulator) è stato il primo gene identificato come causa della retinite pigmentosa legata al cromosoma X.

Le mutazioni di RPGR sono responsabili di diversi tipi di malattia, tra cui la distrofia dei bastoncelli-coni (70%), la distrofia dei coni-bastoncelli (6-23%) e la distrofia dei coni (7%). (degenerazione primaria dei bastoncelli/coni, associata ad un marcato interessamento secondario dei coni/bastoncelli, con aspetto variabile del fondo oculare)

La retinite pigmentosa (RP) mostra un’ereditarietà legata al cromosoma X nell’8-16% dei pazienti con una prevalenza di maschi affetti di circa 1:15.000-1:26.000.

Il gene RPGR è responsabile di oltre il 70% di questi casi. La RP legata al cromosoma X tende ad avere un fenotipo più grave e si presenta spesso durante l’infanzia (in media a 5 anni di età).

  • RP2

Il gene della retinite pigmentosa RP2 è stato il secondo gene identificato come causa di RP legata al cromosoma X. Le mutazioni di questo gene sono responsabili di circa il 10-20% dei casi di RP legata al cromosoma X. I pazienti presentano caratteristiche tipiche della RP, tra cui cecità notturna, costrizione del campo visivo e conseguente riduzione dell’acuità visiva.

  • CHM

Varianti del gene CHM sono responsabili della degenerazione corioretinica nella coroideremia (degenerazione progressiva dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) e della coroide con prognosi sfavorevole per la vista nella quasi totalita’ dei casi).

La coroideremia colpisce da 1:50.000 a 1:100.000 persone, con un’alta prevalenza in Finlandia. I maschi sviluppano sintomi di nictalopia nella prima decade di vita, seguiti da una costrizione del campo visivo progressiva. È stato anche riportato che i pazienti con coroideremia hanno una riduzione generalizzata della visione dei colori, evidente già all’inizio della malattia.

La coroideremia è solitamente una malattia retinica isolata, tuttavia sono state osservate anche associazioni sindromiche. In questi casi la patologia è associata a perdita dell’udito, deterioramento cognitivo, labbro leporino e palatoschisi, deformità scheletriche, acrocheratosi.

  • RS1

La retinoschisi legata al cromosoma X è una condizione che colpisce approssimativamente 1:15000-1:30.000 individui maschi, che tipicamente presentano sintomi di riduzione della visione centrale in età scolare, strabismo o anisometropia. La prognosi è spesso relativamente buona nell’infanzia, a meno che non si verifichino distacco di retina o emorragia del vitreo, che sono associati a una prognosi infausta. Circa il 50% dei pazienti presenta anche alterazioni retiniche periferiche. Un sottogruppo di pazienti presenta una retinoschisi bollosa, che tende a presentarsi nell’infanzia con strabismo, riduzione significativa della vista, nistagmo, mosche volanti secondarie a emorragia del vitreo o pupilla di forma irregolare.

Terapie geniche sperimentali

Attualmente per le retinopatie sono in fase di sperimentazione clinica una serie di nuove terapie, che probabilmente verranno ulteriormente sviluppate nei prossimi anni. Gli approcci terapeutici possono essere classificati in due tipi: quelli che mirano a rallentare il tasso di degenerazione e ridurre al minimo la perdita della funzione visiva e quelli che puntano a ripristinare la funzione visiva nella malattia allo stadio terminale.

La terapia genica è l’approccio terapeutico più avanzato per le varianti che causano una perdita di funzione ed è già disponibile un trattamento di sostituzione genica autorizzato per la malattia autosomica recessiva associata al gene RPE65.

Altri metodi sono impiegati in diverse fasi di sviluppo e non sono stati ancora applicati alle retinopatie legate al cromosoma X, ma sembrano promettenti. Questi includono gli oligonucleotidi antisenso (che sono piccole molecole che alterano l’espressione dell’RNA), l’editing genetico (ad esempio la tecnica di recente sviluppo CRISPR/cas-9) e l’editing dell’RNA.

Altri approcci includono farmaci locali o sistemici, volti a migliorare la sopravvivenza cellulare.

 

Bibliografia

Samantha R.De Silva et al., The X-linked retinopathies: Physiological insights, pathogenic mechanisms, phenotypic features and novel therapies, Progress in Retinal and Eye Research

 

 

 



Dr. Carmine Ciccarini

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