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16/Feb/2022

Il glioma del nervo ottico (astrocitoma di basso grado) è un tumore che appare sulla struttura che trasporta l’input visivo dall’occhio al cervello (astrociti del nervo ottico).

Generalmente il glioma nelle sue forme specialmente se riscontrate nei bambini piccoli, à benigno e facilmente curabile. Alcuni tumori negli adulti, tuttavia, evolvono rapidamente in cancerosi, crescendo in modo aggressivo e diffondendosi a altre parti del cervello e anche ad altri organi.

Il glioma del nervo ottico in entrambe le sue forme può provocare la perdita parziale o totale della vista, nonché mal di testa e contrazioni oculari.

STUDI SCIENTIFICI e CONNESSIONI GENETICHE

Ancora oggi non si comprende pienamente il motivo per cui questi gliomi del nervo ottico compaiano. Alcuni studi suggeriscono che la genetica giochi un ruolo nel loro sviluppo, poiché molti pazienti hanno storie familiari di tumori del tessuto nervoso.

Glioma e Neurofibromatosi di tipo 1

La prestigiosa rivista Cancers ha recentemente pubblicato uno studio relativo alle più moderne conoscenze sulle principali problematiche correlate al glioma del nervo ottico correlato alla Neurofibromatosi di tipo 1.

Tale articolo che ha visto coinvolti i diversi team di ricerca italiani e stranieri; partendo da un riesame della letteratura sull’argomento, sono state esaminate le attuali conoscenze relative al glioma delle vie ottiche evidenziando che questo tumore del sistema nervoso centrale colpisce fino al 20% dei pazienti affetti da neurofibromatosi. Vengono prese in esame la patogenesi, le attuali metodiche diagnostiche, la prognosi e le possibilità di trattamento di questi tumori, che possono provocare una riduzione anche molto importante della vista come anche diversi disturbi neurologici.

Fondamentalmente sono state esaminate le correlazioni genetiche che potranno un giorno consentire di prevedere quali pazienti siano a maggiore rischio di sviluppare tale neoplasia; ciò può portare alla messa a punto di protocolli di screening che permettano l’identificazione precoce del tumore anche in quei pazienti che non presentano sintomi. In questi casi, l’impiego della risonanza magnetica per la caratterizzazione delle lesioni a carico del sistema nervoso centrale e gli esami svolti dall’oculista specialista hanno un ruolo determinante nella diagnosi precoce e nel follow-up in caso di progressione della malattia.

Per quanto riguarda la terapia, accanto alla chemioterapia già in uso, si pone l’accento su alcuni nuovi promettenti farmaci, tuttora in fase di sperimentazione, capaci di interferire con i segnali biologici responsabili della crescita di questi tumori, che nelle prime fasi di sviluppo farmacologico hanno mostrato risultati promettenti, in particolare alcuni specifici inibitori di MEK-1/2.

Il lavoro citato ha analizzato il glioma del nervo ottico da un’ampia prospettiva multidisciplinare, che ha coinvolto numerose figure professionali dedicate alla cura del paziente e alla ricerca in tale ambito, e che mira ad una più completa comprensione dell’ originr e del comportamento di questi tumori come punto di partenza per lo sviluppo di nuove terapie con la speranza che possano avere un impatto significativo sulla vita dei pazienti.

SINTOMATOLOGIA

La maggior parte di questi tumori di natura benigna cresce molto lentamente e potrebbe non causare alcun sintomo fisico per diversi mesi o anni. È possibile che un bambino abbia gliomi su ciascun occhio, sebbene la maggior parte dei pazienti abbia problemi singolari. Le escrescenze maligne invece tendono a svilupparsi rapidamente, diventando cancerose e iniziando a diffondersi entro pochi mesi dal loro inizio.

È probabile che un individuo che soffre di un glioma del nervo ottico si renda conto di un certo grado di compromissione della vista con diminuzione importante del visus. La perdita della vista periferica è più comune, ma un glioma avanzato può interessare tutti gli aspetti della vista. A seconda della pressione esercitata dal tumore sul nervo ottico, l’occhio interessato può sporgere verso l’esterno o contrarsi in modo incontrollabile. Alcuni pazienti manifestano sintomi generalizzati di affaticamento, mal di testa, nausea e deterioramento cognitivo.

Quando si sospetta un glioma del nervo ottico, il paziente deve essere indirizzato da un neurologo che può eseguire scansioni di tomografia computerizzata (TC) e test di risonanza magnetica (MRI) sugli occhi e sul cervello, alla ricerca di segni di masse insolite e cicatrici.

Una volta scoperto un tumore, si può scegliere di estrarre un piccolo campione di tessuto per analisi di laboratorio per rivelare se la massa è cancerosa, benigna o segno di un’altra patologia cerebrale più grave.

TRATTAMENTO

I tumori piccoli e benigni possono spesso essere rimossi chirurgicamente, anche se potrebbe essere necessario trattare una massa cancerosa con una combinazione di chemioterapia e radiazioni.

La chirurgia di solito può essere eseguita su un piccolo glioma del nervo ottico per asportare la massa e alleviare la pressione sul nervo. Se l’intervento chirurgico non ha successo o il cancro ha già iniziato a diffondersi, un paziente potrebbe dover sottoporsi a diversi cicli di radioterapia o chemioterapia.

Ai pazienti vengono in genere prescritti farmaci antidolorifici e viene chiesto loro di riposare gli occhi il più possibile durante il recupero. Il trattamento per i tumori benigni spesso porta al completo recupero della vista, anche se è probabile che i problemi maligni si traducano in una perdita permanente della vista.

 

 


12/Gen/2022

Astrocitoma: tumore benigno a carico del sistema nervoso che si riscontra spesso in età pediatrica

Possono interessare anche il nervo ottico con effetti sul visus

Un astrocitoma è un tumore del sistema nervoso centrale e fa parte di un gruppo di tumori chiamati gliomi. Il sistema nervoso centrale è composto dai neuroni, cellule che ricevono, elaborano e trasmettono gli impulsi nervosi, e da cellule di supporto: le cellule gliali. Esistono quattro tipi di cellule gliali: gli astrociti, gli oligodendrociti, le cellule ependimali e le cellule della microglia. Gli astrociti, che sono le più abbondanti di numero, prendono questo nome dalla loro caratteristica forma “a stella”.

La loro funzione è quella di fornire sostegno e nutrimento ai neuroni; esse intervengono nella riparazione del tessuto nervoso. Può però accadere che una cellula gliale sana inizi a moltiplicarsi in modo incontrollato dando origine ad una forma tumorale detta glioma. Se la cellula in questione è un astrocita il tumore che si forma è detto astrocitoma.

Gli astrocitomi pilocitici costituiscono il più comune tumore benigno che può essere riscontrato nei pazienti pediatrici; questo gruppo di tumori include la maggior parte degli astrocitomi cerebellari, una regione nella porzione più inferiore del cervello che controlla i movimenti e l’ equilibrio; gliomi del nervo ottico, tumori che originano dalle cellule di supporto del nervo ottico; e diversi altri tipi di tumori benigni.

Dal momento che la maggior parte degli astrocitomi pilocitici sono tumori cistici a lenta crescita che non tendono a diffondere ad altre parti del corpo, la prognosi dei pazienti pediatrici trattati per questa patologia è molto buona se non ottima.

Sintomi

Gli astrocitomi pilocitici possono causare cefalea, nausea, vomito, che di norma sono il risultato di uno stato di aumentata pressione all’interno del cranio. Inoltre, a seconda della loro localizzazione, questi tumori possono causare altri sintomi: un tumore a carico del cervelletto, può causare debolezza, difficoltà alla deambulazione e incoordinazione, mentre i gliomi a carico del nervo ottico possono causare calo del visus sino alla perdita dello stesso e protrusione del bulbo oculare. Disturbi più rari e severi, possono includere crisi convulsive, disturbi a carico del linguaggio, del comportamento e dell’umore oltre che disturbi a carico della memoria.

Diagnosi

Le indagini diagnostiche per immagini tramite mezzi di contrasto sono una componente essenziale nella diagnosi degli atrocitomi pilocitici. La Risonanza Magnetica e la TC sono utilizzati per fornire dettagli di immagine del tumore e delle strutture ad esso vicine. In considerazione della localizzazione del tumore, si può scegliere il più delle volte di utilizzare la Risonanza Magnetica.

Trattamento

Dal momento che l’astrocitoma pilocitico è il tumore cerebrale più benigno nella popolazione pediatrica, alcuni possono essere tenuti sotto controllo periodico con RM e non essere sottoposti a trattamento neurochirurgico.

Se il tumore subisce modifiche, il trattamento può comunque divenire necessario. Se questo si verifica, il tumore viene di solito rimosso chirurgicamente o, in caso di tumori difficili da raggiungere, trattato con radioterapia. La rimozione neurochirurgica di un astrocitoma pilocitico fornisce praticamente sempre una guarigione. Il successivo trattamento radioterapico, a causa dei possibili effetti avversi, viene di norma utilizzato raramente e comunque solo nei casi di rimozione non completa.

In aggiunta, alcuni tumori di dimensioni più ridotte che possono essere difficili da raggiungere, possono essere oggi trattati efficacemente mediante la radiochirurgia stereotassica, che utilizza un fascio di radiazioni ad elevatissima precisione che coinvolge direttamente le cellule tumorali risparmiando il tessuto cerebrale sano circostante; ciò spesso accade in caso di astrocitoma localizzato nel nervo ottico.


07/Dic/2021

Il melanoma oculare è un tumore raro che si sviluppa dai melanociti, cellule presenti in alcune parti dell’occhio. Nei casi di melanoma oculare è opportuno innanzitutto distinguere tra tumore primario, ovvero che ha origine direttamente dalle cellule dell’occhio, e tumore secondario, ovvero metastasi di altri tumori che hanno raggiunto l’occhio.

I Melanomi oculari primitivi dell’adulto più frequenti sono quelli che originano dall’uvea, dove sono presenti le cellule che producono melanina. Rappresentano il 2% di tutti i tumori oculari e si dividono in melanomi uveali:

  • della Coroide (85% dei casi)
  • dei Corpi Ciliari (10% dei casi)
  • dell’Iride (5% dei casi)

Cause

Le cause dei Melanomi oculari sono in gran parte sconosciute, ma pelle e occhi chiari sono i fattori comuni più rilevati nei pazienti con melanoma intraoculare. Anche alcune condizioni ereditarie possono influire sulla comparsa di melanomi oculari, come ad esempio:

  • Sindrome del Nevo Displastico
  • Melanocitosi Oculodermica (o Nevo di Ota)

Inoltre sono in fase di valutazione alcuni fattori di rischio che possono favorire l’insorgenza di questo tipo di tumore, come ad esempio:

  • Eccessiva esposizione al sole, in particolare ai raggi UVA e UVB
  • Contatto con sostanze chimiche potenzialmente nocive

melanoma oculare ed eccessiva esposizione al sole

Sintomi

Il Melanoma oculare è spesso asintomatico: i sintomi, che interessano la vista, compaiono talvolta quando la malattia è già in fase avanzata. Tra questi è possibile riscontrare:

  • Vista offuscata
  • Visione doppia
  • Comparsa di macchie nere
  • Lampi di luce all’interno del campo visivo
  • Riduzione del campo visivo
  • Improvvisa perdita della vista
  • Presenza di una macchia scura all’interno dell’iride
  • Cambiamento di dimensione e/o di forma della pupilla
  • Cambiamento della posizione dell’occhio e/o del suo modo di muoversi
  • Presenza di un’area particolarmente vascolarizzata
  • Dolore (molto raramente)

I sintomi del Melanoma oculare sono simili ad altre patologie per cui alla comparsa dei sintomi è necessaria una visita oftalmologica per valutarne la natura.

occhio affetto da melanoma dell’iride

La diagnosi di Melanoma agli occhi necessita di una visita specialistica oftalmologica da parte di un oculista specialista, la biopsia invece viene utilizzata molto raramente per scongiurare il rischio di danneggiamento dell’occhio.

Una volta diagnosticato il melanoma oculare è necessario effettuare altri esami volti a verificare se il tumore si è diffuso in altre zone dell’organismo, pertanto sarà necessario effettuare ulteriori indagini (radiografie, tomografie computerizzate, risonanze magnetiche)

Il melanoma oculare viene classificato utilizzando la classificazione proposta dal Collaborative Ocular Melanoma Study Group (COMS) o  quella proposta dall‘ AJCC (settima edizione) che prende in considerazione spessore, diametro maggiore del tumore associato ad eventuale estensione del tumore in altre sedi oculari.

Trattamento dei Melanomi oculari

Il trattamento dei melanomi oculari dipende da una serie di fattori come la sede del tumore, lo stadio della malattia e le condizioni del paziente. Non è raro inoltre che il trattamento possa comprendere più di un’opzione terapeutica.

La chirurgia è ad oggi una scelta meno diffusa rispetto al passato, mentre la radioterapia è un trattamento che viene spesso utilizzato grazie alla sua capacità di distruzione delle cellule tumorali ad estrema precisione, limitando eventuali danni alla vista.

L‘adroterapia con protoni ha guadagnato un largo consenso nella comunità scientifica poiché è stato dimostrato che i risultati terapeutici sono sovrapponibili a quelli ottenuti con l’enucleazione (cioè l’asportazione del bulbo oculare e la sua sostituzione con una protesi bio-compatibile che riproduce le caratteristiche dell’occhio non malato). Il controllo locale con preservazione d’organo è il più importante obiettivo del trattamento con protoni.

L’impiego della protonterapia nel trattamento del melanoma oculare trova il suo razionale nella possibilità di erogare una dose curativa al tumore preservando al meglio i tessuti limitrofi. I risultati in termini di controllo locale di malattia, disponibili in letteratura, hanno dimostrato un’evidente superiorità di questa tecnica rispetto alle forme convenzionali di radioterapia con fotoni.

Pazienti con melanomi di dimensioni medio-piccole possono essere curati con una terapia conservativa che preserva la visione dell’occhio. Dalla casistica di alcuni centri specializzati emerge che la conservazione d’organo è stata ottenuta in più del 90% dei pazienti trattati, e in questi pazienti la funzione visiva dell’occhio trattato è assicurata in più del 70% dei casi


19/Nov/2021

Ancora sulla malattie rare della retina: la distrofia dei coni

La distrofia dei coni e dei bastoncelli (CRD) è una malattia ereditaria rara e isolata della retina, di origine genetica, caratterizzata dalla degenerazione primaria dei coni, associata ad un marcato interessamento secondario dei bastoncelli, con aspetto variabile del fondo oculare. I segni clinici caratteristici comprendono la riduzione dell’acuità visiva, lo scotoma centrale, la fotofobia e l’alterazione della visione dei colori, seguiti dalla cecità notturna e dalla perdita della visione periferica.

La patologia rientra nell’ambito delle distrofie retiniche ereditarie ed ha una incidenza, soprattutto in Europa, di 1 individuo ogni 40.000 Dal punto di vista genetico la patologia può presentarsi nella forma autosomica dominante, autosomica recessiva o recessiva legata al cromosoma X

La CRD è caratterizzata da un interessamento primario dei coni è, più raramente, dalla perdita sia dei coni sia dei bastoncelli, il che spiega i principali sintomi della malattia: riduzione dell’acuità visiva, anomalie della visione dei colori, fotofobia e riduzione della sensibilità nella parte centrale del campo visivo, seguite dalla perdita progressiva della visione periferica e dalla cecità notturna.

L’aspetto del fondo dell’occhio è variabile:

da normale nelle prime fasi della malattia (si nota solo un lieve pallore del nervo ottico sul lato temporale, la migrazione e l’atrofia del pigmento maculare o una maculopatia ad occhio di bue), fino, con la progressione della malattia, all’atrofia dell’epitelio pigmentato retinico periferico, alla riduzione delle arteriole e al pallore del disco ottico. In genere il decorso clinico di questa sindrome è più grave e rapido rispetto ad altre distrofie retiniche congenite ed evolve più precocemente nella cecità e nella disabilità.

La diagnosi differenziale si pone con le altre malattie ereditarie dei coni (acromatopsia e sindromi collegate da disfunzione dei coni e malattia di Stargardt), con la distrofia dei bastoncelli e dei coni, nota anche come retinite pigmentosa, che differisce per la sequenza con la quale vengono interessati i fotorecettori (inizialmente i fotorecettori dei bastoncelli e solo successivamente quelli dei coni).

così si presenta all’esame OCT un paziente affetto da distrofia dei coni

Non esistono cure efficaci per la cura della malattia se non terapie che cercano di bloccarne o almeno rallentarne l’avanzamento; un orizzonte possibile di cura, come per molte malattie rare a trasmissione ereditaria è costituito dalla terapia genica attualmente in fase di sperimentazione.

 


19/Nov/2021

Visual snow o “sindrome della neve”:

Come può apparire la visione di un paziente affetto dalla “sindrome della neve”

Il visual snow, o “sindrome della neve” è un disturbo visivo identificato e definito soltanto negli ultimi anni. Come dice il nome stesso, è caratterizzato da una visione viziata da una serie di puntini intermittenti che si sovrappongono all’immagine in parte o in tutto il campo visivo del paziente affetto. Chi è affetto dalla sindrome percepisce le immagini alterate da questo effetto. I puntini sono solitamente neri e bianchi, ma non mancano descrizioni di puntini grigi, semitrasparenti, colorati.

Diagnosi

Dato che il visual snow è un disturbo soggettivo, chi ne è affetto ha difficoltà a descriverlo; di contro chi ascolta ha difficoltà a comprendere un problema così strano, tanto che spesso il paziente può essere ritenuto come affetto da una sindrome ansiosa, depresso o addirittura simulatore. Ad avvalorare questa diagnosi errata è il fatto che, alla visita oculistica, l’esame del campo visivo e l’acuità visiva sono spesso nella norma.

Il paziente affetto dal disturbo il più delle volte non presenta patologie concomitanti (a volte la sindrome è invece associata a cefalea), né tanto meno trattato con farmaci che possano essere individuati come una possibile causa del disturbo.

Le peculiarità di questa problematica sono state descritte e caratterizzate per la prima volta in uno studio del 2014 (uscito su Brain – Peter Goadsby), dove la sindrome è stata distinta dall’aura visiva emicranica, disturbo visivo transitorio associato ad attacchi di emicrania, in quanto molti soggetti non soffrivano di mal di testa e comunque le caratteristiche del disturbo erano diversi da quelli dall’aura classica.

La patologia è stata poi descritta in associazione con altri sintomi visivi peculiari, anch’essi non particolarmente diffusi tra cui:

  • Mosche volanti (miodesopsie), ovvero piccoli corpuscoli fluttuanti che seguono lo sguardo
  • Fotopsia: lampi di luce
  • Fotofobia: fastidio per la luce
  • Palinopsia: persistenza di una immagine anche quando questa è scomparsa, che si manifesta anche sotto forma di scie.
  • Nictalopia: riduzione della visione notturna

Cause

Le cause non sono note, considerando anche la sua recente descrizione; è possibile che il disturbo sia il risultato di una ipereccitabilità della corteccia cerebrale, con conseguente peggioramento del rapporto segnale-rumore. I meccanismi fini, comunque, non sono stati ancora caratterizzati. Le indagini radiologiche e neuroradiologiche (TC e RM cerebrale) sono scarsamente indicative e in genere negative.

Terapia

Il visual snow di solito non richiede particolari terapie, dato che raramente risulta invalidante. Può diventare, però, particolarmente frustrante per chi ne è colpito. L’unico approccio terapeutico in casi particolarmente gravi prevede il ricorso a farmaci anticonvulsivanti per ridurre l’ipereccitabilità cerebrale.

 

 


12/Ott/2021

La congiuntivite virale è un’infezione congiuntivale acuta estremamente contagiosa causata generalmente da un adenovirus. I sintomi oculari comprendono irritazione, fotofobia e secrezione acquosa

La congiuntivite può associarsi al raffreddore comune e ad altre infezioni virali sistemiche (in particolare morbillo, ma anche varicella, rosolia e parotite). Una congiuntivite virale localizzata senza manifestazioni sistemiche è solitamente causata da adenovirus (fino al 90% delle congiuntiviti virali), e talvolta da enterovirus o herpes simplex virus (1,3-4,8% delle congiuntiviti virali).

La cherato-congiuntivite epidemica è solitamente causata da adenovirus e tende a causare grave congiuntivite.

Un caso particolarmente grave è la febbre faringo-congiuntivale; epidemie di congiuntivite emorragica acuta, una rara congiuntivite associata ad infezione da enterovirus, si sono verificate in Africa e Asia. Le infezioni da virus Ebola e da SARS-CoV-2 (che sono associate alle contagiose e potenzialmente fatali febbre emorragica da Ebola e COVID-19 , rispettivamente) possono manifestarsi con iperemia congiuntivale bilaterale, lacrimazione e sintomi sistemici.

In questi casi soprattutto si devono usare cautela e dispositivi di protezione individuale appropriati quando si esaminano pazienti con congiuntivite, sintomi sistemici e che hanno viaggiato in regioni ad alto rischio.

Sintomi della congiuntivite virale

Dopo un periodo di incubazione di circa 5-12 giorni, l’iperemia congiuntivale, la secrezione acquosa e l’irritazione oculare di solito iniziano in un occhio, e poi si diffondono rapidamente nell’altro occhio. Sulla congiuntiva palpebrale possono essere presenti follicoli. Un linfonodo preauricolare (dietro l’orecchio) spesso si ingrandisce e diviene dolente.

Nelle congiuntiviti adenovirali gravi, i pazienti possono lamentare fotofobia e sensazione di corpo estraneo dovute al coinvolgimento corneale. Pseudomembrane di fibrina e cellule infiammatorie sulla congiuntiva, infiammazione corneale focale o entrambe possono provocare annebbiamento della vista. Anche dopo che la congiuntivite si è risolta, possono rimanere visibili con la lampada a fessura residue opacità corneali subepiteliali (multiple, coniformi, del diametro di 0,5-1,0 mm) fino a 2 anni. Le opacità corneali occasionalmente possono provocare una riduzione della vista e aloni e bagliori significativi.

Valutazione clinica

Caratteristiche che possono contribuire a distinguere tra congiuntiviti virali e batteriche comprendono secrezione oculare purulenta, presenza di linfoadenopatia preauricolare e, nella cheratocongiuntivite epidemica, chemosi congiuntivale. È necessario colorare con fluoresceina le cornee di pazienti con fotofobia ed esaminarle con la lampada a fessura. La cheratocongiuntivite epidemica può causare colorazione corneale puntiforme. È molto rara un’infezione batterica secondaria nella congiuntivite virale. Tuttavia, se i segni suggeriscono una congiuntivite batterica (p. es., secrezione purulenta), colture o altri esami possono essere utili.

Misure di supporto

La congiuntivite virale è altamente contagiosa, e si devono osservare precauzioni per evitarne la trasmissione.

Per evitare di trasmettere infezioni, i medici devono

  • Usare il disinfettante per le mani o lavarsi le mani correttamente
  • Disinfettare l’attrezzatura dopo aver esaminato i pazienti

pazienti devono fare quanto segue:

  • Usare disinfettante per le mani e/o lavarsi accuratamente le mani dopo aver toccato gli occhi o le secrezioni nasali
  • Non di toccare l’occhio non infetto dopo aver toccato l’occhio infetto
  • Evitare di condividere asciugamani o cuscini
  • Evitare di nuotare nelle piscine

Gli occhi devono essere continuamente puliti dalle secrezioni e scoperti. È necessario che i bambini piccoli con congiuntivite restino a casa e non vadano a scuola per evitare di diffondere l’infezione.

La congiuntivite virale è autolimitante e dura 1 settimana nei casi lievi, e fino a 3 settimane nei casi gravi. Richiede solo impacchi freddi per il sollievo dei sintomi. Tuttavia, i pazienti con grave fotofobia o con deficit visivo possono trarre beneficio da corticosteroidi topici. I corticosteroidi, se prescritti, devono solitamente essere prescritti da un oculista.

La cheratite da herpes simplex deve essere esclusa prima (mediante colorazione con fluoresceina ed esame con la lampada a fessura), perché può essere esacerbata dai corticosteroidi. I colliri topici a base di ciclosporina A sono complessivamente meno efficaci, ma sono utili se l’uso di gocce di corticosteroidi è limitato da effetti avversi.


07/Ott/2021

SINDROME DI WOLFRAN E ATROFIA OTTICA

La sindrome di Wolfram, è una malattia genetica rara, che causa diabete mellito, atrofia ottica, sordità e altri disturbi che variano da soggetto a soggetto.

La sindrome colpisce il sistema nervoso centrale; (in particolare il tronco cerebrale), ne sono state descritte due forme genetiche: nella prima forma la mutazione nel gene WFS1 è caratterizzata da diabete mellito ad esordio infantile, che deriva dal controllo improprio del glucosio a causa della mancanza di insulina e da una graduale perdita della vista causata da atrofia ottica associata a sordità; talvolta può provocare diabete insipido, una condizione in cui i reni non possono conservare l’acqua.

Nella seconda mutazione invece la disfunzione del gene WFS2 a cui si associa la sindrome di Leber è seguita da sordità neurosensoriale che colpisce soprattutto le basse frequenze dello spettro udibile.

L’atrofia ottica compare solitamente, dopo che il diabete si è manifestato, di solito in età infantile e comunque entro i 6 anni, intorno all’età di 11 anni; primi segni sono la perdita della visione dei colori e della visione periferica. La condizione peggiora nel corso del tempo e le persone con atrofia ottica perdono completamente la vista entro 8 anni dei primi sintomi. L’aspettativa di vita delle persone affette da questa sindrome è purtroppo piuttosto bassa, all’incirca di 30 anni.

Tuttavia è da segnalare che essendo una malattia genetica i sintomi e le tempistiche possono variare da persona a persona. Sono stati segnalati diversi casi di pazienti colpiti dalla sindrome di Wolfram in età avanzata in cui solo alcuni dei sintomi si sono manifestati; uno di questi è proprio l’atrofia ottica.

immagine fotografica dell’occhio destro paziente, mostra atrofia ottica senza retinopatia diabetica

Non vi è alcun trattamento diretto noto. Gli sforzi attuali si concentrano sulla gestione delle complicanze della sindrome di Wolfram, come il diabete mellito e diabete insipido e su terapie che conservino almeno una residua possibilità di visus. Di recente alcuni ricercatori giapponesi hanno sviluppato una proteina che sembrerebbe rallentare il progredire della malattia.


24/Set/2021

GLAUCOMA A BASSA PRESSIONE: MA ESISTE DAVVERO?

Dopo un’attività professionale di quasi quarant’anni mi sono convinto che quello che impropriamente molti colleghi definiscono glaucoma a bassa pressione, sia in realtà una neuropatia ottica ischemica dove processi infiammatori comportano una degenerazione delle cellule dendritiche che costituiscono il nervo ottico. Non è casuale che, all’esame del campo visivo computerizzato,

La figura mostra una tipica emianopsia altitudinale

in queste forme compaiano delle emianocsie altitudinali già nelle prime fasi della malattia, mentre nei glaucomi cosiddetti “normali” il deficit riguarda un aumento della macchia cieca ed una riduzione del campo visivo nasale.

 

Talvolta, in un 20/30% dei casi alla patologia descritta, si può associare un iper-tono oculare che può arrivare anche oltre i 30 mmHg che non regredisce all’uso anche massivo di colliri anti-glaucomatosi associati, ma che spesso, specie all’esame OCT del nervo ottico, all’analisi delle cellule gangliari non rivela modificazioni se non in maniera minima. In questi casi il paziente viene normalmente operato di trabeculectomia o utilizzando sistemi valvolari anti-glaucomatosi; nonostante tutto il processo evolve rapidamente verso una cecità o semi-cecità con campo visivo che nel giro di circa un anno peggiora dall’emianopsia ad un campo visivo del tutto nero per l’incapacità del paziente di percepire qualsiasi tipo di illuminazione durante l’esame.

In questi casi bisognerebbe avere il coraggio di eseguire retrobulbari di calciparine a basso peso molecolare; utilizzando contemporaneamente cortisonici, idebenone (antiossidante mitocondriale usato nelle neuropatie congenite) e insulina ingegnerizzata per collirio.

In taluni casi ho assistito, rispetto ad una certezza di cecità, ad un recupero visivo che nei casi più fortunati può passare da 1/20 fino ad 1 o 2 decimi, spiegando al paziente che la terapia dovrà essere prolungata per ristabilire un corretto funzionamento delle sinapsi ed una rigenerazione delle cellule gangliari.

Esame OCT per glaucoma a bassa pressione: si evidenzia grave danno delle cellule ganglionari con loro assottigliamento.

A volte, specie in pazienti tra i 40 e 50 anni, sorge il dubbio che l’atrofia o sub-atrofia del nervo ottico possa essere una manifestazione di neuropatia ottica congenita, tipo Leber o atrofia ottica dominante. Sebbene molti genotipi di queste patologie non sono stati attualmente individuati; il mio consiglio per questi pazienti è spesso quello di consultare i centri Theleton per eseguire le ricerche genetiche approfondite che escludano queste patologie.

Anche l’uso di anticoagulanti inibitori del fattore “Xa” ha la loro utilità, superiore all’uso degli antiaggreganti, poiché questi pazienti presentano una forte predisposizione a sviluppare negli anni ischemie celebrali e/o infarti superiore alla norma. In ogni caso, per concludere, la terapia deve essere sempre individualizzata, prendendo in considerazione l’anamnesi clinica del paziente per valutare sempre l’approccio clinico più adatto.


24/Set/2021

NUOVI ORIZZONTI NELLA CURA NELLE MALATTIE RARE DELL’OCCHIO:

l’insulina come fattore di crescita nelle patologie dei nervi ottici

In tutte le patologie che interessano il nervo ottico, dal glaucoma alla neuropatia ottica ischemica, alle neuriti ed a forme secondarie come patologie vascolari o tumorali, le cellule gangliari subiscono un grave danno con retrazione

delle stesse che può portare a gravi disturbi delle sinapsi fino alla morte delle cellule interessate.

Una insulina ricombinante ingegnerizzata, somministrata come gocce oculari, può pro

muovere una rigenerazione dei dendriti e migliorare le riconnessioni pre-sinaptiche agendo su siti post-sinaptici o sulle cellule gangliari retiniche, e quindi indirettamente sui dendriti del nervo ottico, risvegliando cellule non funzionali ma ancora vive come fossero in uno stato di quiescenza di tipo comatoso.

Sembra che l’insulina sia in grado di regolare processi infiammatori mediati, attivi anche nelle degenerazioni delle cellule tumorali, in modo da evitare la liberazione di sostanze chimiche nocive che conducono alla morte della cellula interessata modificandone la struttura proteica. In definitiva si arriverebbe alla conclusione che processi infiammatori che sono alla base di molte neoplasie si ripetano nelle patologie neurodegenerative e, nel caso specifico, nelle patologie del nervo ottico, qualunque sia la causa.

1- Degenerazione delle cellule neuronali in fase di rigenerazione dopo uso di insulina ingegnerizzata

L’uso di insulina ingegnerizzata più volte al giorno è in grado di rigenerare i neuroni retinici danneggiati trasformando gli astrociti e gli oligodendrociti, che usualmente sono cellule di supporto ai neuroni, regolando l’afflusso sanguigno e creando una barriera protettiva tramite queste cellule. Quindi, anche nelle patrologie retiniche, un uso prolungato di tale sostanza ha effetti positivi portando spesso ad un aumento dello spessore della retina in patologie retiniche favorendo in secondo luogo la rigenerazione di cellule sane (i dendriti) che alla fine portano all’incremento delle fibre nervose del nervo ottico.

Le considerazioni sopra esposte traggono origine da intuizioni e ricerche ultraventennali della Prof.ssa Di Polo di Montreal (fonte: https://www.dipololab.ca/glaucoma-research/)


01/Dic/2020

A proposito di Sindrome di Leber: nuove cure sperimentali, ottimi risultati

Alcuni risultati derivanti dalla mia esperienza clinica

L’associazione tra Ropinirolo (principio attivo agonista dopaminergico, particolarmente attivo nei confronti dei recettori D2-D3 della dopamina) a basso dosaggio (1 mgr al giorno)  e levodopa e carbidopa, presenti in commercio in combinazione, (300 mgr al giorno) migliora la performance visiva nei pazienti con sindrome di Leber.

Sindrome di Leber
Sindrome di Leber

Dopo l’uso prolungato di questa terapia, da 6 mesi a 1 anno, ho potuto osservare miglioramenti talvolta stupefacenti. Un paziente di 31 anni, bergamasco, e uno di 30 anni di Caserta, sono passati rispettivamente il primo da 1/30 a 4/10 di visus, il secondo da 3 a 6/10.

Combinazioni di principi attivi

Una combinazione ancora più potente si è dimostrata quella di associare a questa terapia l’insulina umanizzata (un farmaco ipoglicemizzante a base di insulina umana utile nel trattamento del diabete mellito, del coma iperglicemico, della chetoacidosi e del diabete gestazionale) per la capacità di quest’ultimo di agire sul ciclo dell’acido glutammico tramite il fattore nerve growth factor insuluno-dipendente IGF1.

 

Una cellula ganglionare retinica nella sua forma visualizzata tramite proteina giallo-fluorescente. (fonte www.dipololab.ca)

Migliorare la funzione dei neuroni e, di conseguenza, delle cellule ganglionari agendo sui due neuro- mediatori dopamina e acido glutammico può portare alla rigenerazione dei neuroni retinici, come dimostrato tra l’altro da alcuni studi condotti dalla Prof.ssa Di Polo di Montreal e il suo stuff (www.dipololab.ca).

Nella mia esperienza con alcuni pazienti affetti dalla sindrome ho notato che, anche solo dopo sei mesi di terapia, all’esame OCT  lo spessore delle cellule ganglionari risulta aumentato, in alcuni casi, anche del 30-40%.

Questa terapia, purtroppo non compresa da molti medici, è in realtà attualmente, a mio parere e per la mia esperienza clinica, l’unica possibilità di migliorare quadri clinici piuttosto gravi causati non solo dalle otticopatie congenite; la Leber in primis, ma anche da quelle acquisite come nelle neuro-mieliti, nella sclerosi a placche e nelle neuropatie ottiche ischemiche (NAION).



Dr. Carmine Ciccarini

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