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28/Mar/2023

MALATTIE RARE CON MUTAZIONE DEL GENE ABCR4: STUDI CLINICI E NUOVI ORIZZONTI DI CURA

Malattia di Stargardt: farmaco a base di zafferano sembra bloccare la degenerazione retinica

Uno studio clinico senza precedenti condotto da esperti della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli mostra l’efficacia dello zafferano, per la prima volta su pazienti, come cura per una grave malattia degenerativa della vista, la sindrome di Stargardt, una rara malattia genetica.[1]

Il trattamento è semplice e senza effetti collaterali.

La malattia di Stargardt è una degenerazione ereditaria della macula; i sintomi consistono soprattutto nella riduzione della visione centrale, che inizia durante l’adolescenza o, comunque, in giovane età essendo associata ad una mutazione genetica. Inoltre, i pazienti possono lamentare disturbi nella percezione dei colori (discromatopsia), macchie nere nel campo visivo (scotomi centrali) e intolleranza alla luce (fotofobia). La malattia è causata da mutazioni del gene chiamato ABCA4, il cui malfunzionamento provoca disfunzione e perdita delle cellule retiniche (distrofia dei coni). La malattia compare quando l’individuo ha entrambe le copie del gene con le mutazioni. La progressione della malattia è legata a fenomeni neuro-infiammatori indotti dal crescente stress ossidativo delle cellule retiniche che vengono intaccate dai radicali liberi.

 Nel trial clinico citato, sono stati coinvolti 31 pazienti con Stargardt trattati con 20 milligrammi al giorno di zafferano (Repron, brevetto internazionale) in compresse. I pazienti hanno assunto lo zafferano per sei mesi e poi una sostanza placebo per i successivi sei.

La funzione visiva si è mantenuta stabile durante i sei mesi di trattamento mentre tendeva a deteriorarsi durante l’assunzione del placebo.

Si tratta di una nuova dimostrazione dei potenti effetti terapeutici dello zafferano; in studi meno recenti su modelli animali è stato dimostrato che lo zafferano riduceva la morte cellulare causa della degenerazione retinica, contrastava l’attivazione di processi neuro-infiammatori e manteneva la funzione visiva più a lungo rallentando la progressione del processo neurodegenerativo della retina.

Nell’uomo l’efficacia del trattamento con zafferano è stata dimostrata in pazienti con degenerazione maculare legata all’età (DMLE) in fase iniziale o mediamente avanzata non essudativa [2]

A conclusione della Fase II di sperimentazione, si può dire non solo che il farmaco è stato ben tollerato, ma anche che riesce a rallentare il processo neurodegenerativo della retina, quel processo che nelle persone con Stargardt porta progressivamente alla cecità. La malattia di Stargardt, pur essendo rara, rappresenta la forma più comune di distrofia ereditaria della macula, con una prevalenza di circa 1 caso ogni 8-10mila individui. Nella maggior parte dei pazienti, la patologia è dovuta a mutazione del gene ABCR4; lo studio clinico di Fase II condotto nella malattia di Stargardt, e reso possibile anche grazie al contributo della Fondazione Telethon, sembra aprire la strada alla concreta possibilità di una terapia basata proprio sull’utilizzo dello zafferano.

Il LICOPRENE

Una molecola naturale di uno spiccato potere antiossidante e citoprotettivo

Antiossidanti a contrasto dei radicali liberi

Il licopene è una sostanza naturale presente in alcuni alimenti di origine vegetale. Appartiene al gruppo dei carotenoidi, un insieme di pigmenti di colore giallo-violetto molto diffusi in natura. L’interesse scientifico verso il licopene è dovuto alle sue spiccate proprietà antiossidanti.

In quanto carotenoide, il licopene è contenuto soprattutto in alcuni alimenti del regno vegetale. Se consideriamo il contenuto di licopene nei vari cibi, il pomodoro è sicuramente l’alimento principe (ne contiene da 3 a 40 mg per kg di prodotto fresco). Altre fonti minori sono rappresentate da vegetali come pompelmo rosa, arance rosse, carote, albicocche e cocomeri.

Negli ultimi anni, l’integrazione con licopene ha assunto un grande rilievo, sia clinico che sperimentale. Diverse sono le attività biologiche del licopene e le conseguenti utilità cliniche attribuitegli.
Attualmente al licopene vengono ascritte:

  • Proprietà antiossidanti, importanti nel contrastare l’azione lesiva delle specie reattive dell’ossigeno sulle strutture cellulari e nel prevenire l’ossidazione del colesterolo LDL;
  • Proprietà antiaterogene e cardioprotettive, legate sia all’azione inibitrice nei confronti dell’enzima HMG-CoA reduttasi (coinvolto nella sintesi endogena di colesterolo), sia alla capacità di indurre l’espressione di recettori per le LDL sulla superficie dei macrofagi;
  • Proprietà antitumorali, dirette soprattutto nei confronti del tumore alla prostata, e preziose per la capacità di preservare la funzionalità di geni coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare.
  • Al licoprene si riconoscono soprattutto proprietà antiossidanti a contrasto dei radicali liberi e quindi la sostanza risulta efficace come coadiuvante nel trattamento delle sindromi degenerative della retina legate all’accumulo di sostanze di scarto (lipofruscina).

 

Il mio punto di vista

Per quanto concerne il mio parere professionale ritengo che questo studio sia estremamente rilevante nella cura di questa tipologia di patologie; dal punto di vista clinico sto attualmente utilizzando per alcuni miei pazienti una dose doppia (40mg di Repron) di zafferano in associazione ad un agente antiossidante mitocondriale, soprattutto in quei pazienti affetti da neuropatie ottiche di base genetica (sindrome ereditaria di Leber), o nelle molteplici forme di degenerazioni retiniche spesso non classificabili dove si osservano mutazioni del materiale genetico dei mitocondri.

 

 

[1] Quanto esposto nell’articolo è emerso da uno studio pubblicato sulla rivista “Nutrients” coordinato dal professor B.Falsini, professore associato dell’Istituto di Oftalmologia all’Università Cattolica e specialista presso l’UOC di Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, insieme alla professoressa S.Bisti dell’Università degli Studi dell’Aquila.

[2] Secondo quanto emerso dal trial condotto dal  professor Falsini e confermato in altri trial clinici di altre università e Paesi.

 


31/Gen/2023

Occhio e palpebra: il coloboma

Il coloboma è un difetto di sviluppo dell’occhio o della palpebra. Presente sin dalla nascita, questa anomalia congenita implica l’assenza di tessuto in una o più strutture oculari, come cornea, iride, corpo ciliare, cristallino, retina, coroide e disco ottico.

Il coloboma può manifestarsi isolatamente o come parte di differenti malattie genetiche e sindromi neurologiche; può essere un’anomalia isolata, in soggetti altrimenti normali, o verificarsi come parte di sindromi genetiche che colpiscono anche altri distretti del corpo e determinano malformazioni multisistemiche

Le conseguenze sulla visione variano in base alla localizzazione e all’estensione della malformazione oculare. Ad esempio, un coloboma limitato all’iride non determina problemi di vista, mentre un difetto esteso al nervo ottico o alla retina può compromettere, anche gravemente, la funzione visiva.

A volte, l’occhio può essere di dimensioni ridotte (microftalmia) o possono essere presenti altre anomalie oculari come: cataratta, glaucoma, nistagmo (movimenti oculari involontari), fotofobia o strabismo.

Un coloboma dell’iride può essere evidente a causa di una piccola porzione mancante, che conferisce un aspetto ovale alla pupilla.

Un piccolo o grande difetto di sviluppo nelle strutture più profonde di uno o di entrambi gli occhi, invece, può essere diagnosticato solo quando viene esaminato il fondo oculare durante un esame oculistico di routine.

Il coloboma corioretinico ad esempio si può presentare in età adulta, con la perdita della vista associata al distacco della retina.

Il coloboma della palpebra è dovuto alla mancanza di una piccola porzione alla quasi totale assenza del tessuto palpebrale. Più comunemente, la condizione colpisce la palpebra superiore.

Esempio di coloboma dell’iride

Cause

Il coloboma dell’occhio è causato da una chiusura difettiva della fessura coroide durante le prime fasi dello sviluppo prenatale, intorno alla 5a-7a settimana di gestazione. Questo evento provoca una malformazione nel tessuto di una o più strutture oculari, che può essere unilaterale o bilaterale (cioè colpire uno od entrambi gli occhi).

Il coloboma delle palpebre può avere diverse cause non correlate ad anomalie del globo dell’occhio. La malattia insorge a causa di una fusione difettosa delle pieghe palpebrali, a circa 7-8 settimane di gestazione. Diversi fattori genetici (anomalia cromosomica)) e/o ambientali (sindrome alcolica fetale, carenza di vitamina A, farmaci, toxoplasmosi, citomegalovirus) possono concorrere a determinarne l’insorgenza.

Trattamento

Attualmente, non esiste un trattamento universale per la disabilità visiva causata dal coloboma.

I dispositivi per correggere gli errori di rifrazione possono contribuire a migliorare l’acuità visiva. Inoltre, lo specialista può raccomandare trattamenti particolari per gestire altri problemi associati alla malformazione, come la cataratta, la crescita di nuovi vasi sanguigni nella parte posteriore dell’occhio, lo strabismo e l’ambliopia (se il coloboma è unilaterale).

In caso di una grave microftalmia (uno o entrambi i bulbi oculari sono anormalmente piccoli), può essere applicata una protesi per assistere lo sviluppo simmetrico del viso.

Altri possibili interventi si possono identificare a seconda del tipo di coloboma:

  • Coloboma dell’iride: per correggere l’aspetto dell’iride, i pazienti con coloboma possono indossare lenti a contatto colorate o ricorrere alla riparazione chirurgica.
  • Coloboma corioretinico: un intervento chirurgico può essere necessario per trattare o prevenire il distacco della retina.
  • Coloboma delle palpebre: il difetto lascia parte della cornea scoperta. Questo può indurre una secchezza oculare eccessiva, dovuta all’evaporazione delle lacrime. L’occhio, di solito, necessita di una lubrificazione supplementare e di un intervento chirurgico riparativo.

 


31/Gen/2023

Patologie della cornea: leucoma

Il leucoma è una patologia della cornea che si presenta come un’opacità biancastra più o meno estesa. Quest’alterazione della superficie dell’occhio risulta da un processo di cicatrizzazione con la formazione di tessuto connettivo fibroso e può dipendere da varie cause (es. infezioni, ferite, ulcerazioni ecc.).

Il leucoma comporta una perdita della trasparenza della cornea, quindi la visione risulta impedita a seconda dell’entità dell’opacità e della posizione rispetto alla pupilla.

 

Il leucoma è di fatto una cicatrice che si forma sulla superficie dell’occhio in seguito ad abrasione meccanica o chimica, infezioni e danneggiamento della cornea.

La cornea è composta da diversi strati: solo il primo di questi, l’epitelio corneale, è capace di rigenerarsi senza sequele. Quando la cornea cerca di ripristinare una lesione più profonda, il processo di cicatrizzazione crea delle opacità. Chiaramente, un leucoma in posizione centrale disturba più di un’opacità paracentrale o periferica della cornea.

Patologie associate

Il leucoma compare come esito cicatriziale di processi patologici diversi, tra cui rientrano:

  • Traumi e lesioni accidentali della cornea (penetrazione di corpi estranei, abrasione corneale, uso non adeguato delle lenti a contatto);
  • Ulcera corneale;
  • Cheratite infiammaroria;
  • Sindrome dell’occhio secco;
  • Ustioni (chimiche o da luce ultravioletta);
  • Cheratocono;
  • Complicanze post-chirurgiche: un leucoma corneale può presentarsi come complicanza d’interventi di chirurgia refrattiva, cross-linking o altre procedure che prevedano il laser ad eccimeri.

 

Leucoma Corneale: molto importante la valutazione dell’estensione e della posizione rispetto alla pupilla della “macchia biancastra”

Sintomi e Complicazioni

Il leucoma si manifesta come un’opacizzazione della cornea, più o meno estesa. I sintomi variano da persona a persona, a seconda dell’entità dell’opacità e del punto in cui è collocata rispetto alla pupilla, ma la presenza si ripercuote chiaramente sulla vista, ostacolandola. A seconda dell’evento causale, il leucoma corneale può interessare uno o entrambi gli occhi.

I sintomi più frequenti sono dolore e bruciore agli occhi e alle palpebre, che può peggiorare con il movimento dei muscoli extraoculari e la luce intensa, fotofobia, lacrimazione eccessiva, offuscamento della vista o alterazione della visione sensazione di corpo estraneo all’interno dell’occhio, mal di testa.

Diagnosi

In caso di sospetto leucoma corneale,  è necessario consultare il prima possibile l’oculista di riferimento per una corretta diagnosi.

Durante l’esame della vista, il medico specialista rivolgerà al paziente alcune domande circa le attività quotidiane svolte, le possibili cause della lesione, i sintomi avvertiti, la presenza di altre malattie oculari o disturbi pregressi, come il glaucoma.

Per diagnosticare con precisione il leucoma, innanzitutto, è previsto l’esame con lampada a fessura con colorazione con fluoresceina. In pratica, vengono instillate alcune gocce oculari contenenti fluoresceina (giallo-arancio) in combinazione con una luce filtrata cobalto-blu, che esalta la porzione corneale danneggiata o abrasa che risulterà evidente per la colorazione verde che assume.

Per comprendere quanto la posizione del tessuto cicatrizzato renda grave e invalidante il disturbo per la capacità visiva, occorrere approfondire con:

Topografia corneale (mappatura della cornea): questa indagine diagnostica  genera la mappa topografica della superficie anteriore dell’occhio. Uno strumento ottico computerizzato viene utilizzato per proiettare pattern luminosi sulla cornea e misurarne lo spessore. Quando il cheratocono è nelle sue fasi iniziali, la topografia corneale mostra le eventuali distorsioni o cicatrici sulla cornea. In alternativa, può essere utilizzata una tomografia a coerenza ottica (OCT).

Pachimetria corneale: serve per misurare lo spessore della cornea. L’esecuzione della pachimetria è utile per diagnosticare e valutare l’evoluzione di alcune patologie oculari, come il cheratocono, l’edema corneale o il glaucoma. L’esame consente, inoltre, di studiare la superficie anteriore dell’occhio per la programmazione di interventi di chirurgia corneale o di correzione refrattiva. Durante l’esame, una sonda – chiamata pachimetro – viene delicatamente posta in prossimità oppure a contatto con la cornea, per misurare il suo spessore.

Trattamento

Il trattamento dipende dalla posizione e dalla gravità del leucoma corneale. In linea generale, più il tessuto danneggiato si avvicina al foro della pupilla, più il disturbo comprometterà la vista.

Per gli esiti cicatriziali sulla cornea che non interferiscono sulla visione – ad esempio, piccoli e periferici – non sempre è indispensabile una terapia.

Per i leucomi superficiali, invece, è possibile intervenire tramite l’ablazione del tessuto cicatriziale con il laser ad eccimeri. Questo genere d’approccio può migliorare la regolarità e la trasparenza della cornea.

Altre opzioni terapeutiche per il leucoma sono l’iridectomia ottica (creazione di una pupilla artificiale in un punto trasparente della cornea) e la cheratoplastica lamellare che consiste in un trapianto di cornea parziale, dove solo una parte della superficie viene sostituita e lo strato interno è preservato (endotelio).

Se il leucoma è molto grave, cioè altera a tutto spessore la superficie corneale, il medico può consigliare un trapianto tradizionale (o cheratoplastica perforante). La procedura comporta la rimozione di un’intera porzione della cornea, per sostituirla con il tessuto di un donatore sano, nella speranza di ripristinare la vista e prevenire la cecità. Condizione necessaria per la buona riuscita dell’intervento è che le cornee vengano espiantate entro cinque ore dalla morte del donatore. Al completamento della procedura, alcune suture consentono di mantenere in posizione la cornea trapiantata. Dopo una cheratoplastica perforante, può essere necessario fino a un anno per recuperare una buona visione. Il trapianto di cornea consente di alleviare i sintomi del leucoma, ma non può ripristinare una perfetta visione. Nella maggior parte dei casi, infatti, al paziente potrebbero essere prescritti occhiali e lenti a contatto per un miglior comfort.

 


31/Gen/2023

Con anisocoria si indica in medicina la presenza di pupille di dimensioni diverse

L’anisocoria è un sintomo di molte patologie, ma non è una patologia a sé stante. L’anisocoria fisiologica è il tipo di anisocoria più comune.

L’anisocoria fisiologica è presente in circa il 20% delle persone; in questo caso però la differenza tra le dimensioni della pupilla è tipicamente ≤ circa 1 mm.

Molti disturbi sono accompagnati da anisocoria causata da disfunzioni iridee o neurologiche, ma solitamente si manifestano con altri sintomi più fastidiosi (ad esempio uveite, ictus, emorragia subaracnoidea, glaucoma acuto da chiusura d’angolo).

esempio di anisocoria

Valutazione 

Valutare in maniera immediata l’anisocoria è molto importante visto che, come detto, può essere avvisaglia di patologie molto più gravi.

L’obiettivo della valutazione dello specialista è quello di chiarire il meccanismo fisiologico che genera anisocoria. Identificando alcuni meccanismi (sindrome di Horner – disfunzione del sistema nervoso cervicale – , paralisi del III nervo cranico), è spesso possibile diagnosticare una grave malattia occasionale occulta che si manifesta con l’anisocoria.

Se la durata dei sintomi è breve, la natura di questi può essere associata ad un evento traumatico a carico del cranio o dell’occhio. In questo caso la sintomatologia si risolve trattando l’evento che l’ha generata.

Avendo escluso l’evento traumatico e disturbi oculari noti (uveite acuta o glaucoma), interventi chirurgici o assunzione di alcuni farmaci o droghe, occorre valutare sintomi che possono suggerire una causa; difetti di nascita o anomalie cromosomiche (difetti congeniti); palpebre cadenti, tosse, dolore toracico o dispnea (sindrome di Horner); lesioni genitali, adenopatie, eruzioni cutanee o febbre (sifilide); e mal di testa o altri sintomi neurologici (paralisi del III nervo cranico).

La dimensione della pupilla e le risposte alla luce devono essere esaminate in ambienti luminosi e bui. L’accomodazione e i movimenti extraoculari devono essere testati. Le strutture oculari vengono ispezionate utilizzando una lampada a fessura o con altri metodi di ingrandimento per identificare anomalie strutturali e ptosi (abbassamento della palpebra superiore).  Altri sintomi oculari sono valutati dallo specialista tramite visita oculistica approfondita soprattutto indagando, anche tramite ad esempio immagini precedenti del paziente, la presenza di anisocoria in passato.

Segni d’allarme

Durante la visita oculistica possono destare preoccupazione i seguenti sintomi:

  • Ptosi (palpebra cadente)
  • Anidrosi (abbassamento parziale o completo delle palpebre superiori o inferiori, dovuta alla assenza di sudorazione)
  • Pupille che reagiscono più all’accomodazione che alla luce
  • Compromissione dei movimenti oculari

Se la differenza di dimensioni è maggiore in condizioni di oscurità, la pupilla più piccola è anormale (perché la pupilla dovrebbe dilatarsi al buio per far entrare più luce). Le cause più comuni comprendono la sindrome di Horner e l’anisocoria fisiologica.  Le due condizioni possono essere distinte perché la piccola pupilla nella sindrome di Horner non si dilata dopo l’instillazione di una goccia oculare di midriatico (p. es., cocaina 10%). In caso di anisocoria fisiologica, la differenza di dimensioni della pupilla può anche essere uguale in chiaro e scuro.

Quando i la differenza di dimensioni pupillari è maggiore alla luce, la pupilla più grande è anormale (perché la pupilla dovrebbe restringersi alla luce per far entrare meno luce). Nel caso in cui i movimenti extra-oculari sono alterati, in particolare con ptosi, è probabile la paralisi del III nervo cranico. Se i movimenti extraoculari sono intatti, lo specialista può ulteriormente distinguere tra varie cause instillando una goccia di un costrittore pupillare (p. es., pilocarpina 0,1%). Se la pupilla grande si restringe, la causa è probabilmente la pupilla tonica di Adie (pupilla che risponde più lentamente agli stimoli luminosi che può essere sintomo di una malattia neurologica); se la pupilla di grandi dimensioni non si restringe, la causa è probabilmente farmacologica o un danno strutturale (p. es., traumatico, chirurgico) all’iride.

Per i disturbi clinicamente sospetti. I pazienti con sindrome di Horner o paralisi del III nervo cranico solitamente la patologia può essere approfondita tramite RM e TC cerebrale e, con la sindrome di Horner, TC toracica.

Non è necessario alcun trattamento per l’anisocoria in sé stessa, occorre individuarne la causa patologica e trattarla opportunamente.

 


31/Gen/2023

Eterocromia nell’uomo: iridi di colori diversi

L’eterocromia è una caratteristica nella quale due parti omologhe del corpo di un individuo assumono una differente colorazione. In medicina, questo termine è riferito generalmente alle iridi. Nella maggior parte dei casi, l’eterocromia iridea non riveste un significato patologico. Il motivo di tale manifestazione è da attribuire alla diversa quantità di melanina nei due occhi: se il pigmento è poco concentrato si andrà incontro ad una colorazione azzurra, mentre nel caso opposto l’iride virerà verso i toni del marrone.

L’eterocromia può essere presente alla nascita (quindi è congenita e se ne riconosce un’origine genetica) o acquisita in seguito a particolari eventi e patologie.

Occhi di colore diverso possono manifestarsi, ad esempio, in seguito a traumi, reazioni avverse ad alcuni farmaci e malattie oculari: tra queste l’iridociclite eterocromica di Fuchs, la sindrome di Horner e il glaucoma pigmentario.

Se l’eterocromia è dovuta ad una patologia dell’occhio, il trattamento deve essere diretto alla causa del fenomeno

Il colore degli occhi è determinato principalmente dalle cellule pigmentate presenti nell’iride, che le conferiscono una sfumatura cromatica variabile: verde, azzurra, marrone, nocciola, grigia; in pratica, quanta più melanina è presente nell’iride, tanto gli occhi più sono scuri.

Questo tratto somatico dipende dall’interazione di più geni: alcuni di questi intervengono per fornire lo spettro dei colori, altri possono determinare il pattern ed il posizionamento del pigmento nell’iride. Fattori ambientali o acquisiti possono alterare questi tratti ereditati. Il modello di ereditarietà che ne consegue è, quindi, molto complesso.

Normalmente, le due iridi di un individuo sono dello stesso colore. Nell’eterocromia, l’occhio può essere iperpigmentato (più scuro o ipercromico) o ipopigmentato (più leggero o ipocromico) rispetto all’altro.

L’eterocromia viene definita completa (o totale) quando la variazione di colore tra un’iride e l’altra è netta (cioè ogni occhio presenta un colore distinto, che si osserva nella totalità delle iridi).

L’eterocromia è detta parziale (o settoriale) quando solo una parte o le metà dell’iride hanno un colore diverso dal resto dello stesso occhio.

Eterocromia congenita presente alla nascita

Cause e Fattori di Rischio

Nella maggior parte dei casi, l’origine dell’eterocromia dell’iride è genetica e si manifesta come una caratteristica somatica presente dalla nascita: è genetica e non risulta associata a nessun’altra anormalità oculare o sistemica. Questa condizione è nota semplicemente come eterocromia iridea congenita.

Talvolta però, l’eterocromia congenita presente al parto o poco dopo la nascita può essere causata anche da una sindrome ereditaria (neurofibromatosi di tipo 1, sindrome di Horner) o da una lesione intrauterina e/o perinatale è associata a una sindrome ereditaria.  Se l’eterocromia si sviluppa dopo la nascita potrebbe però essere la spia di una malattia oculare o di un’altra condizione patologica. Pertanto, il neonato che presenta questo segno, deve essere subito valutato: esami del sangue o test cromosomici sono utili a confermare eventuali sospetti clinici.

L’eterocromia non è sempre congenita, ma può apparire anche nel corso della vita come risultato di condizioni patologiche che coinvolgono l’occhio o altri distretti dell’organismo.

Le possibili cause dell’eterocromia acquisita includono:

  • Ferite, lesioni o traumi oculari (penetrazione di un corpo estraneo, emorragia, grave infiammazione dell’iride, anche secondarie a malattie come: tubercolosi, herpes simplex e sarcoidosi);
  • Reazioni a farmaci (tra cui le prostaglandine, colliri anti-glaucomatosi che possono causare una decolorazione dell’iride non simmetrica nei due occhi);
  • Malattie oculari, come nel caso di:
    • Iridociclite eterocromica di Fuchs (infiammazione che colpisce, di norma, un solo occhio, causando una perdita del pigmento irideo);
    • Glaucoma pigmentario (particolare forma di glaucoma causato dall’abrasione del pigmento dell’iride che viene liberato nell’occhio e che può distribuirsi in maniera diversa nei due occhi);
    • Nevo di Ota (o melanoma oculare congenito, è un tumore molto raro, che conferisce una tipica ipercolorazione dell’iride, che fa apparire l’occhio coinvolto molto scuro);
    • Alcune forme di uveite.

Le sindromi congenite che possono essere caratterizzate da eterocromia includono:

  • Sindrome di Waardenburg: condizione genetica che può causare perdita dell’udito con anomalie della pigmentazione di occhi, capelli e pelle;
  • Sindrome di Horner: è una patologia congenita, ma non è genetica, nel senso che è dovuta a danni cerebrali intrauterini o complicanze perinatali. Queste lesioni coinvolgono l’innervazione del sistema nervoso simpatico di un occhio. Sul lato affetto, la pupilla è piccola, la palpebra è cadente e l’iride è più chiara;
  • Sindrome di Sturge-Weber: è una malattia congenita rara, caratterizzata da una macchia “a vino di Porto” lungo il decorso del nervo trigemino sul viso e malformazioni vascolari all’occhio, che esitano in anomalie oculari e neurologiche di grado variabile;
  • Neurofibromatosi di tipo 1: è una malattia genetica neuro-cutanea caratterizzata da disordini della melanina, noduli iridei di Lisch, lentiggini a livello delle ascelle o dell’inguine e neurofibromi multipli;
  • Sindrome di Posner-Schlossman: o crisi glaucomatociclitica, è una rara uveite che si accompagna ad ipertono oculare e ipocromia di un’iride;
  • Sindrome da dispersione del pigmento: è una condizione caratterizzata dalla presenza di granuli di melanina che vengono rilasciati nell’umor acqueo e si vanno ad accumulare in differenti strutture del segmento anteriore, compresa la superficie dell’iride, facendola scurire. Quando i granuli si accumulano nel trabecolato, possono causare un aumento della pressione intraoculare.

19/Dic/2022

L’endoftalmite è un’infezione all’interno dell’occhio; questa patologia è da ritenersi un’emergenza medica, in quanto la prognosi per la vista è direttamente correlata al tempo che trascorre dall’insorgenza al trattamento.

Raramente, le infezioni intraoculari non trattate si estendono oltre i confini dell’occhio e coinvolgono l’orbita e il sistema nervoso centrale.

L’infezione che caratterizza l’endoftalmite può essere causata da un intervento chirurgico, un trauma oculare o un’infezione del flusso sanguigno.

L’endoftalmite causa tipicamente dolore oculare intenso e riduzione della vista. I segni comprendono Intensa iperemia congiuntivale e infiammazione intraoculare nella camera anteriore e nel vitreo, perdita del riflesso rosso e, anche se occasionalmente, edema palpebrale; i sintomi possono includere anche un forte arrossamento della sclera, eccessiva sensibilità alla luce intensa.

Diagnosi dell’endoftalmite

  • Valutazione medica dell’occhio
  • Coltura di campioni dell’occhio
  • Talvolta emocoltura e urinocoltura

La diagnosi di endoftalmite si basa sui sintomi, su una valutazione dell’occhio e talvolta su esami colturali per identificare l’organismo che causa l’infezione. Le colture possono essere prelevate dall’umor acqueo (liquido della camera anteriore dell’occhio, detto anche corpo acqueo) e dall’umor vitreo (sostanza gelatinosa che riempie il fondo del bulbo oculare, detta anche corpo vitreo) per stabilire quale organismo sta causando l’infezione e quali farmaci sono più attivi. Potrebbero anche essere necessarie emocolture e urinocolture.

L’esecuzione delle colture dei liquidi oculari ha lo scopo di somministrare nel minor tempo possibile gli antibiotici specifici. Anche con un trattamento precoce e appropriato, la prognosi per la visione spesso è negativa.

L’endoftalmite è rara. È causata dai microrganismi giunti all’occhio per via ematica, attraverso un’incisione chirurgica o un trauma al bulbo oculare o meno spesso, attraverso il flusso sanguigno. L’infezione nel flusso sanguigno ha molte cause possibili, come procedure odontoiatriche, abuso di droghe per via endovenosa, ascesso (una tasca di pus), ulcere cutanee, infezioni come polmonite o sepsi o un intervento chirurgico in qualsiasi parte del corpo. Generalmente l’infezione è dovuta a batteri (come Staphylococcus aureus), ma può essere causata anche da funghi o protozoi. Anche i virus possono determinare diffuse infezioni oculari, che di solito non sono definite endoftalmiti.

Valutazione clinica

Test microbiologico (p. es., colorazione di Gram e coltura di aspirati derivanti dall’endoftalmite endogena, emocoltura e urinocoltura)

La diagnosi richiede una grande prudenza in pazienti a rischio, soprattutto quelli con recente intervento o trauma all’occhio. La colorazione di Gram e l’esame colturale degli aspirati dalla camera anteriore e dal vitreo sono procedure standard. I pazienti con sospetta endoftalmite endogena devono anche essere sottoposti a esami colturali del sangue e delle urine.

 

Trattamento

Il trattamento immediato con antibiotici spesso è necessario per preservare la vista e proteggere la salute dell’occhio. Un ritardo di anche poche ore può causare una perdita irreversibile della vista nei casi estremi. Vengono somministrati antibiotici scelti in base all’organismo riconosciuto responsabile dell’endoftalmite. Gli antibiotici possono essere iniettati nell’occhio, somministrati per via endovenosa o entrambi.

 

Antibiotici intravitreali

Per l’endoftalmite endogena, antibiotici sia per via intravitreale che EV. La terapia iniziale comprende antibiotici ad ampio spettro somministrati per via intravitreale, il più delle volte vancomicina e ceftazidima. I pazienti con endoftalmite endogena devono ricevere antibiotici sia per via intravitreale che EV. La terapia deve essere adattata sulla base dei risultati della coltura e dell’antibiogramma

Nei casi più gravi, è possibile effettuare vitrectomia e corticosteroidi intraoculari; i soggetti con visione molto compromessa quando si recano dal medico possono ricevere corticosteroidi o essere sottoposti a un intervento chirurgico. Dopo l’iniezione di antibiotici, è possibile somministrare per qualche giorno corticosteroidi per via orale oppure, più raramente, mediante iniezione oculare. La chirurgia è necessaria per l’asportazione del tessuto infetto dall’interno dell’occhio e può aumentare le possibilità di bloccare l’infezione.

La prognosi visiva è spesso infausta, anche con un trattamento precoce e adeguato. I pazienti la cui visione all’esordio è bassa o molto bassa devono essere considerati per la vitrectomia e l’uso di corticosteroidi intraoculari e possibilmente sistemici.

Nell’endoftalmite fungina, tuttavia, i corticosteroidi sono controindicati.


10/Nov/2022

20 novembre Giornata Mondiale dell’Infanzia

Trattamento delle ipermetropie nei bambini

L’ipermetropia è il difetto refrattivo più comune nell’infanzia e può insorgere con disturbi della motilità oculare. Solitamente l’esotropia (occhio deviato all’interno) o esoforia (strabismo intermittente) che comportano uno strabismo convergente.

Secondo una ricerca dell’organizzazione Prevent Blindness sulla diffusione dei disturbi visivi tra i bambini statunitensi, colpisce circa il 21% dei bambini tra i 6 mesi e i 6 anni e circa il 13% dei bambini tra i 5 e i 17 anni.

I valori possono variare da alcune diottrie (1.5/2), che rientrano in un ambito fisiologico, fino a ipermetropie estreme che in casi eccezionali possono raggiungere anche valori superiori alle 30 diottrie (negli occhi microftalmici); comunemente il difetto refrattivo, se associato ad esotropia, si attesta su valori fra le 3 e le 7 diottrie.

Il bambino può talvolta non presentare strabismo nei primi mesi, ma svilupparlo dopo il primo anno di vita. In questi casi si esegue una visita in dilatazione utilizzando il retinoscopio che permette di stabilire il difetto refrattivo senza usare l’autorefrattometro per la scarsa collaborazione dei piccoli pazienti sotto i 4 anni.

Cause dell’ipermetropia nei bambini

L’ipermetropia è considerata una condizione altamente ereditabile. Importanti studi scientifici hanno infatti dimostrato che la genetica è causa del 50% dei casi; tuttavia complicanze in corso di gravidanza o nella prima infanzia, come alcune malattie che influenzano la crescita e lo sviluppo, oppure traumi alla vista, aumentano il rischio di ipermetropia. Contribuiscono all’ipermetropia anche particolari fattori ambientali, come ad esempio la malnutrizione.

Sintomi e diagnosi dell’ipermetropia nei bambini

I primi sintomi della presenza di ipermetropia nei bambini sono mal di testa frequente, visione sfocata quando si concentra la vista su oggetti a breve distanza, affaticamento e sfregamento degli occhi, problemi di lettura e strabismo.

Altro evidente sintomo dell’ipermetropia nei bambini è l’esotropia accomodante, ovvero gli occhi incrociati, che si verifica quando un occhio sta cercando di compensare l’errore di rifrazione dell’altro, portando gli occhi ad incrociarsi.

Un test della vista e un esame oculistico completo, utilizzando attrezzature specializzate ed eseguito da un professionista qualificato, è in grado di diagnosticare l’ipermetropia nei bambini. Generalmente, gli esami oculistici vengono eseguiti sui bambini a 6 mesi, 3 anni e almeno ogni 2 anni a scuola. Una volta diagnosticata l’ipermetropia, è opportuno sottoporre regolarmente i bambini a visita oculistica, poiché potrebbe essere necessario cambiare le prescrizioni con la crescita.

in ragione della diagnosi precoce di difetti infantili anche di natura congenita e del loro tempestivo trattamento, si ribadisce l’importanza della visita oculistica in età pediatrica

 

Trattamento dell’ipermetropia nei bambini

La correzione ottica deve essere totale rispetto al difetto refrattivo se c’è uno strabismo convergente manifesto che solitamente è alternante. Nei difetti di intensità meno grave (2/3 diottrie) a volte è sufficiente la sola correzione ottica per arrivare nel corso di anni ad una ottima correzione del difetto ortottico. Nei difetti di entità più elevata occorrono anni, a volte fino alla pubertà, per avere un raddrizzamento degli occhi utilizzando talvolta prismi a base esterna che, spostando l’immagine degli oggetti, causano una sorta di esercizio dei muscoli retti orizzontali specialmente del retto esterno che potenziandosi, tende a raddrizzare l’occhio.

Utili sono anche esercizi di ortottica che rappresentano un esercizio per i muscoli retti, in particolare per il retto laterale oltre che a ristabilire una corrispondenza retinica adeguata.

Nei casi più ostinati, o particolarmente elevati, con esotropie che superano le 45 diottrie prismatiche fino ad arrivare alle 60 diottrie, si richiede spesso l’intervento chirurgico che consiste nel ridurre la potenza del retto mediale (muscolo che spinge all’interno l’occhio) ed il potenziamento del retto laterale che ha azione di spingere l’occhio verso l’esterno. Questo tipo di intervento tecnicamente viene definito con il termine recessione del retto mediale (che porta all’indebolimento del muscolo) associato a resezione del retto laterale con suo potenziamento; questa tecnica raddrizza l’occhio anche se spesso non in maniera totale tanto da poter richiedere un secondo un secondo intervento di aggiustamento.

Negli strabismi convergenti (esotropie) congeniti è necessario ricorrere all’intervento in fase precoce, a volte anche nel primo anno di vita. Gli interventi eseguiti negli adulti possono comportare una diplopia (visione doppia) ed è questo uno dei limiti all’esecuzione dell’intervento in età adulta; tuttavia questa possibilità non esclude a priori l’intervento anche se bisogna edurre il paziente di questa possibilità che in ogni caso, comporta un notevole raddrizzamento degli occhi e, qualora comparisse un senso di sdoppiamento, questo potrebbe essere corretto con lente prismatica se si rimane entro le 5/6 diottrie, altrimenti è necessario reintervenire.

Riguardo all’occlusione oculare con bendaggio, questa metodologia si effettua nei casi in cui uno dei due occhi abbia meno capacità visiva (ambliopia): è buona norma, rispetto a quanto si facesse nei decenni scorsi, di occludere l’occhio migliore non troppo a lungo, specie nelle esotropie monolaterali, per evitare che l’occhio bendato troppo a lungo si scompensi in un’esotropia acuta.

Talvolta lo strabismo convergente può accentuarsi come valore prismatico specialmente nella visione da vicino: ad esempio il bambino può avere un difetto per distanza di 30 diottrie prismatiche, che nella visione per vicino si incrementa a 45 diottrie prismatiche. In questi casi può essere necessario l’utilizzo di lenti bifocali con correzione per la lettura superiore al valore della correzione da lontano.

 


10/Nov/2022

La sindrome di Cogan è una malattia rara infiammatoria di natura probabilmente autoimmune, caratterizzata principalmente da cheratite interstiziale e disfunzioni audio-vestibolari.

La Sindrome di Cogan è una rara patologia probabilmente autoimmune caratterizzata da infiammazione ricorrente della cornea e spesso febbre, affaticamento e perdita di peso, episodi di vertigini, acufeni e perdita dell’udito. Può portare a sordità e/o cecità se non trattata.

Si tratta di una patologia poco studiata, a causa soprattutto della sua bassa incidenza, ma difficile da curare soprattutto a per la sua sintomatologia varia e aspecifica.

Sono stati descritti circa 300 casi della patologia, essa colpisce principalmente la razza caucasica adulta, ma non è noto se ci siano prevalenze o predilezioni di sesso.

La sindrome colpisce prevalentemente i giovani adulti, con un’età d’esordio compresa tra venti e trent’anni; solo raramente colpisce i bambini. Il quadro clinico è molto variabile. I segni clinici caratteristici sono la cheratite interstiziale, cioè un’infiammazione cronica, non ulcerativa degli strati intermedi della cornea, caratterizzata da fotofobia, dolore, lacrimazione e offuscamento della vista e i sintomi cocleo-vestibolari con sordità neurosensoriale mono- o bilaterale, vertigini e acufeni.

QUADRO CLINICO

L’occhio appare di colore bianco-giallognolo che in un certo senso, sembra un gerontoxon (anello, formato da sostanze grasse lipidiche, che compare intorno alla cornea dell’occhio o di fronte alla periferia dell’iride). L’anello può essere di diversi colori: bianco, grigio chiaro o blu) diffuso non solo sulla periferia corneale, ma anche su tutta la cornea, con deposito a tutto spessore di materiale lipidico.

Di solito tra l’esordio dei sintomi oculari e di quelli audio-vestibolari trascorrono meno di due anni.

Il quadro clinico viene definito atipico in presenza di un interessamento oculare inusuale (uveite, congiuntivite cronica o ricorrente, sclerite, edema del disco ottico e vasculite retinica) e di sintomi audio-vestibolari, oppure quando trascorrono più di due anni tra l’interessamento dei due apparati.

Almeno un terzo dei pazienti presenta un quadro clinico sistemico, in particolare nella forma atipica, caratterizzato da sintomi non specifici come la febbre, la cefalea, la perdita di peso, e/o segni indicativi di un coinvolgimento degli organi, in particolare dell’apparato cardiovascolare, che spesso porta ad insufficienza aortica e cardiaca, del sistema nervoso al quale a volte si associano afasia da ischemie transitorie, e l’apparato gastrointestinale che può presentare diarrea e dolore addominale.

Si ritiene che la patologia sia causata da una reazione autoimmunitaria. Gli autoanticorpi diretti contro gli antigeni dell’orecchio interno e le strutture della cornea, detti peptidi Cogan, di solito sono presenti, anche se non possono essere considerati come biomarcatori sierologici specifici per la sindrome.

Cheratite interstiziale periferica nella sindrome di Cogan: da notare il cospicuo deposito lipidico intorno all’iride

DIAGNOSI

La diagnosi si basa per lo più sull’esame obiettivo e sull’esclusione di infezioni con sintomi simili (in primis la sifilide e la malattia di Lyme), e sulla buona risposta al trattamento a base di corticosteroidi. Non esistono test diagnostici specifici, ma le analisi di laboratorio, l’audiogramma e le immagini diagnostiche sono utili per supportare la diagnosi ed escludere altre potenziali cause.

 

 

TRATTAMENTO E PROGNOSI

Il trattamento standard consiste nella somministrazione di corticosteroidi per via topica e sistemica.

I glucocorticoidi topici associati ai cicloplegici possono essere utilizzati per il trattamento della patologia oculare lieve e isolata mentre, quando il coinvolgimento oculare è più grave, l’udito è compromesso e sono presenti sintomi sistemici, si raccomanda l’uso dei corticosteroidi per via sistemica ad alto dosaggio.

La terapia sistemica previene la sordità e mostra benefici nell’arco di 2-3 settimane. Tuttavia, i corticosteroidi portano benefici a breve termine e comportano il rischio di gravi effetti collaterali; di conseguenza, nei pazienti con malattia refrattaria o dipendente dagli steroidi si raccomanda di considerare un trattamento di seconda linea con gli immunosoppressori, anche se gli immunosoppressori convenzionali (metotressato, ciclofosfamide, azatiotropina o ciclosporina A) hanno scarsa efficacia.

Cresce il numero dei casi documentati di risposta positiva all’infliximab, un inibitore del fattore di necrosi tumorale alfa. I pazienti trattati con infliximab hanno mostrato un miglioramento dei sintomi cocleo-vestibolari che ha permesso una riduzione graduale del dosaggio dei corticosteroidi, con una differenza significativa rispetto ai pazienti trattati solo con steroidi.

L’uso precoce di questo trattamento come prima linea nei casi più gravi sembra avere un’efficacia ancora maggiore.

Gli impianti cocleari rappresentano un’opzione chirurgica utile nei pazienti con grave sordità neurosensoriale, che non rispondono al trattamento intensivo con gli immunosoppressori, mentre per il recupero delle capacità visive l’unica soluzione efficace rimane il trapianto di cornea

La prognosi dipende prevalentemente dal rischio di cecità e/o sordità permanente e di complicanze cardiovascolari, in particolare di insufficienza aortica.


17/Ott/2022

Il glaucoma nella sindrome pseudoesfoliativa

Il glaucoma che deriva dalla sindrome pseudoesfoliativa è un glaucoma ad angolo aperto che si sviluppa in occhi affetti da sindrome da pseudoesfoliatio capsulae ed è caratterizzato dalla specifica tendenza a progredire in senso peggiorativo in tempi particolarmente rapidi; si tratta di una forma di glaucoma “cronico” che necessita del trattamento più tempestivo ed aggressivo rispetto al normale glaucoma ad angolo aperto.

tipica immagine di glaucoma con sindrome pseudoesfoliativa

La sindrome da cui ha origine è una situazione clinica caratterizzata dalla produzione di un materiale furfuraceo da parte probabilmente della superficie del cristallino, che si deposita su tutte le superfici intraoculari; a lungo andare questo materiale intasa il trabecolato; il che determina un aumento cospicuo della pressione intra oculare cui consegue il glaucoma vero e proprio.

Il materiale esfoliativo si deposita a livello dell’angolo irido-corneale, intasando il trabecolato, riducendo l’eliminazione dell’umore acqueo, e di conseguenza, aumentando la pressione intra oculare.

Gli occhi affetti da questo tipo di glaucoma, per definizione glaucoma ad angolo aperto, sviluppano in circa il 20% dei casi un glaucoma ad angolo stretto/chiuso; è quindi buona norma assicurarsi sempre del grado di apertura dell’angolo irido-corneale, perché è necessario che il trattamento tenga conto di questo aspetto.

 

 

 

 

Caratteristiche di questo tipo di glaucoma sono:
  • pressione intra oculare piuttosto elevata (anche > 40 mmHg);
  • marcata fluttuazione giornaliera della pressione oculare;
  • glaucoma aggressivo che evolve più rapidamente;
  • difficoltà a dilatare farmacologicamente la pupilla;
  • indebolimento dell’apparato sospensorio del cristallino;
  • maggiore rischio di cataratta nucleare;
  • patologia bilaterale anche se spesso la PEX è visibile in un solo occhio.

 

TRATTAMENTO

il trattamento è lo stesso del glaucoma ad angolo aperto, ma deve essere più tempestivo ed aggressivo; il trattamento laser (trabeculoplastica) è una buona opzione, perché nei pazienti affetti da questa patologia l’efficacia è spesso buona, anche se non duratura. Il trattamento chirurgico (trabeculectomia), va eseguito quanto prima, non appena il trattamento medico o quello con laser dimostrino di essere inefficaci

La facoemulsificazione, tecnica chirurgica utilizzata per l’estrazione della cataratta; va comunque eseguita in tempi più rapidi possibili in un simile quadro clinico; sempre quando è presente la cataratta, anche se iniziale, spesso anche quando il cristallino si presenta ancora trasparente perché nei casi con PEX tale intervento può indurre un significativo abbassamento della pressione e perché l’intervento è decisamente più sicuro per l’occhio

Infatti operare quando la pupilla non si dilata più a sufficienza in seguito alla sindrome si aumenta il rischio intra-operatorio, inoltre gli occhi con PEX hanno spesso la necessità, come sopra illustrato, di un intervento per glaucoma, la cui esecuzione risulta decisamente più sicura se il cristallino è già stato eliminato (facoemulsificato). Per contro, In un piccolo numero di casi, si può sviluppare un ipertono intrattabile se non chirurgicamente; ciò si può verificare in casi con PEX presente da molto tempo oppure in occhi con cataratta avanzata; in questo caso l’intervento va approntato con attenzione ed eseguito da chirurghi esperti.

Il paziente in cura affetto da questa patologia va comunque sotto posto a controlli periodici accurati e ravvicinati; 3/6 mesi a discrezione dello specialista, facendo attenzione che i controlli siano eseguiti anche quando l’occhio sia stato operato apparentemente con successo, perché la produzione di materiale esfoliativo continua per tutta la vita, e bisogna quindi essere sicuri che il quadro clinico nel tempo non si scompensi di nuovo.

Alcuni integratori alimentari a base di vitamina A e omega3 possono facilitare la riduzione della produzione e l’eliminazione del materiale esfoliativo tipico della patologia.

 


17/Ott/2022

TECNICHE INNOVATIVE

Nuova tecnica di avanguardia per il trattamento del cheratocono

Teragnostica in oculistica

 Il cheratocono è la causa principale del trapianto di cornea nei giovani adulti. Questa patologia riconosce cause genetiche, infiammatorie (associate a psoriasi o dermatite psoriasica o atopica) e geografiche ed è maggiormente diffusa nei paesi caldi.

Solitamente l’età di insorgenza della patologia è tra i 15 e i 20 anni, ma ci sono casi che possono insorgere più precocemente. La tecnica utilizzata nel trattamento del cheratocono è il cross linking che include l’applicazione sulla cornea di riboflavina, con successiva irradiazione con luce UV, che innesca una reazione chimica che conduce all’irrigidimento della cornea.

Molto importante è una perfetta focalizzazione dell’irradiazione poiché anche una minima imperfezione può comportare un’eccessiva irradiazione dell’iride causando processi infiammatori come effetto collaterale, responsabili dell’iridociclite o di infiammazioni corneali con pieghe della Descemet, legate ad edema corneale, e cheratiti.

Nella tecnica tradizionale la procedura chirurgica consiste nel rimuovere l’epitelio corneale irradiando la cornea disepitelizzata per 30 minuti; questo comporta dolenzia oculare post operatoria che può perdurare per settimane, spesso con visione offuscata che continua a presentarsi per settimane o mesi.

Nella nuova tecnica messa a punto l’epitelio corneale non viene asportato e, dopo aver imbevuto la cornea con riboflavina per 20 minuti seguendo un dosaggio stabilito, si applica una irradiazione di 9 minuti con un sistema di centraggio corneale computerizzato in modo che l’energia radiante sia messa perfettamente a fuoco sulla cornea.

Il trattamento richiede che la pachimetria (misura dello spessore corneale) del cheratocono sia di almeno 370 micron.

La stabilizzazione avviene in questo caso nel giro di alcune settimane e, nel 70% dei casi trattati, si ottengono miglioramenti non solo della struttura della cornea che non porta peggioramenti della patologia, ma anche a riduzioni dell’astigmatismo variabili da 1 diottria fino a 4 diottrie, naturalmente condizionate dalla precocità dell’intervento e dalla struttura dello stesso cheratocono.

L’emissione radiante ha un diametro di 7mm centrato perfettamente sul cheratocono avendo come riferimento la mappa corneale del paziente precedentemente ottenuta. Il decorso post operatorio è assolutamente ridotto rispetto alla tecnica cross linking off e si configura come una tecnica di cross linking on con una minore esposizione alla radiazione UV, una migliore centratura del fascio applicato e quindi con fenomeni infiammatori enormemente ridotti tanto che già dopo pochi giorni il paziente operato può condurre una vita normale.

occhio affetto da cheratocono

Questo processo migliorativo è dovuto ad una metodica di teragnostica (integrazione di un metodo diagnostico con uno specifico intervento terapeutico) guidata per immagini dal terminale che permette la valutazione precisa della concentrazione di riboflavina nella cornea del paziente operato oltre che di avere informazioni sull’irrigidimento del tessuto corneale e conseguentemente dell’efficacia del trattamento molto più rapido e sicuro per i pazienti.
Trattamento del Cheratocono Toscana Siena – Arezzo

Il trattamento innovativo per la cura del cheratocono è stato ideato e sperimentato da dott. Marco Lombardo con la preziosa collaborazione del suo team ed in particolare il fratello ingegnere, con i quali il dott. Ciccarini collabora cercando sempre nuove tecniche per l’approccio a questo tipo di patologie.
Trattamento del Cheratocono Marche – Ancona – Pesaro – Macerata

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Dr. Carmine Ciccarini

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