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13/Lug/2023

Malattie genetiche rare

LE RETINOPATIE LEGATE AL CROMOSOMA X

Le retinopatie legate al cromosoma X rappresentano un gruppo di malattie ereditarie della retina, che costituiscono un’importante causa di cecità soprattutto nei bambini.

Trattandosi di un gruppo eterogeneo di malattie, anche i meccanismi patogenetici alla base di queste patologie possono essere differenti tra loro. Tuttavia, le retinopatie legate al cromosoma X sono solitamente causate da mutazioni genetiche che provocano una perdita della funzione di alcune proteine e, per questo, rappresentano un ottimo target per le strategie di terapia genica.

Molte delle retinopatie legate al cromosoma X vengono trasmesse alla progenie da madri portatrici sane (cioè che non sviluppano la malattia, ma possono trasmetterla) e questo, nel tempo, ha aiutato i medici a conoscere sempre meglio le modalità di trasmissione ereditaria di queste patologie.

Dati pubblicati di recente dal Center for Hereditary Retinal Degenerations della University of Pennsylvania hanno riscontrato una base genetica nel 52% dei pazienti con retinopatia e, di questi, il 17% aveva una retinopatia legata al cromosoma X.

In primo luogo la RETINITE PIGMENTOSA

La retinite pigmentosa è una degenerazione lentamente progressiva e bilaterale della retina e dell’epitelio pigmentato retinico, causata da varie mutazioni genetiche. I sintomi comprendono emeralopia e riduzione del campo visivo periferico. La diagnosi si basa sull’esame del fondo oculare, che mostra pigmentazione a forma di spicole ossee nella retina equatoriale, restringimento delle arteriole retiniche, pallore cereo del disco ottico, cataratta sottocapsulare posteriore e cellule nel vitreo. L’elettro-retinogramma è utile per confermare la diagnosi. La vitamina A palmitato, acidi grassi omega-3 e luteina più zeaxantina possono contribuire a rallentare la progressione della perdita della vista.

La retinite pigmentosa sembra essere causata da un gene anomalo che codifica per le proteine retiniche; sono stati identificati parecchi geni. La trasmissione può essere autosomica recessiva, autosomica dominante o, raramente, legata al cromosoma X. Può rientrare nell’ambito di una sindrome (p. es., bassen-Kornzweig, Laurence-Moon). Una di queste sindromi comprende pure la perdita congenita dell’udito (sindrome di Usher).

L’ereditarietà legata al cromosoma X e le modalità genetiche di trasmissione delle retinopatie

Le malattie causate da variazioni di sequenza nei geni presenti sul cromosoma X sono note come malattie “X-linked”.

I cromosomi X e Y sono detti cromosomi sessuali, perché determinano il sesso del nascituro (XX per le donne e XY per gli uomini). Il cromosoma X contiene circa 1000 geni, rispetto ai circa 70 presenti sul cromosoma Y. Per equilibrare questa grande differenza, uno dei due cromosomi X, nelle donne, va incontro a un fenomeno detto “inattivazione”. Si tratta di un processo fisiologico che causa il silenziamento casuale di uno dei due cromosomi X, i cui geni, di conseguenza, non vengono espressi.

È stato dimostrato che alcuni dei geni legati al cromosoma X, che sono stati individuati tra le cause di malattie retiniche, come i geni RPGRRP2 e CACNA1F (associati alla retinite pigmentosa e ad altre retinopatie) subiscono tutti una completa inattivazione.

Alcuni geni legati allo sviluppo di retinopatie

Come detto, le forme di retinopatie legate a mutazioni o inattivazione dei geni presenti sul cromosoma X sono molteplici. Tra queste, alcune delle più frequenti, sono legate ai seguenti geni:

  • RPGR

RPGR (retinitis pigmentosa GTPase regulator) è stato il primo gene identificato come causa della retinite pigmentosa legata al cromosoma X.

Le mutazioni di RPGR sono responsabili di diversi tipi di malattia, tra cui la distrofia dei bastoncelli-coni (70%), la distrofia dei coni-bastoncelli (6-23%) e la distrofia dei coni (7%). (degenerazione primaria dei bastoncelli/coni, associata ad un marcato interessamento secondario dei coni/bastoncelli, con aspetto variabile del fondo oculare)

La retinite pigmentosa (RP) mostra un’ereditarietà legata al cromosoma X nell’8-16% dei pazienti con una prevalenza di maschi affetti di circa 1:15.000-1:26.000.

Il gene RPGR è responsabile di oltre il 70% di questi casi. La RP legata al cromosoma X tende ad avere un fenotipo più grave e si presenta spesso durante l’infanzia (in media a 5 anni di età).

  • RP2

Il gene della retinite pigmentosa RP2 è stato il secondo gene identificato come causa di RP legata al cromosoma X. Le mutazioni di questo gene sono responsabili di circa il 10-20% dei casi di RP legata al cromosoma X. I pazienti presentano caratteristiche tipiche della RP, tra cui cecità notturna, costrizione del campo visivo e conseguente riduzione dell’acuità visiva.

  • CHM

Varianti del gene CHM sono responsabili della degenerazione corioretinica nella coroideremia (degenerazione progressiva dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) e della coroide con prognosi sfavorevole per la vista nella quasi totalita’ dei casi).

La coroideremia colpisce da 1:50.000 a 1:100.000 persone, con un’alta prevalenza in Finlandia. I maschi sviluppano sintomi di nictalopia nella prima decade di vita, seguiti da una costrizione del campo visivo progressiva. È stato anche riportato che i pazienti con coroideremia hanno una riduzione generalizzata della visione dei colori, evidente già all’inizio della malattia.

La coroideremia è solitamente una malattia retinica isolata, tuttavia sono state osservate anche associazioni sindromiche. In questi casi la patologia è associata a perdita dell’udito, deterioramento cognitivo, labbro leporino e palatoschisi, deformità scheletriche, acrocheratosi.

  • RS1

La retinoschisi legata al cromosoma X è una condizione che colpisce approssimativamente 1:15000-1:30.000 individui maschi, che tipicamente presentano sintomi di riduzione della visione centrale in età scolare, strabismo o anisometropia. La prognosi è spesso relativamente buona nell’infanzia, a meno che non si verifichino distacco di retina o emorragia del vitreo, che sono associati a una prognosi infausta. Circa il 50% dei pazienti presenta anche alterazioni retiniche periferiche. Un sottogruppo di pazienti presenta una retinoschisi bollosa, che tende a presentarsi nell’infanzia con strabismo, riduzione significativa della vista, nistagmo, mosche volanti secondarie a emorragia del vitreo o pupilla di forma irregolare.

Terapie geniche sperimentali

Attualmente per le retinopatie sono in fase di sperimentazione clinica una serie di nuove terapie, che probabilmente verranno ulteriormente sviluppate nei prossimi anni. Gli approcci terapeutici possono essere classificati in due tipi: quelli che mirano a rallentare il tasso di degenerazione e ridurre al minimo la perdita della funzione visiva e quelli che puntano a ripristinare la funzione visiva nella malattia allo stadio terminale.

La terapia genica è l’approccio terapeutico più avanzato per le varianti che causano una perdita di funzione ed è già disponibile un trattamento di sostituzione genica autorizzato per la malattia autosomica recessiva associata al gene RPE65.

Altri metodi sono impiegati in diverse fasi di sviluppo e non sono stati ancora applicati alle retinopatie legate al cromosoma X, ma sembrano promettenti. Questi includono gli oligonucleotidi antisenso (che sono piccole molecole che alterano l’espressione dell’RNA), l’editing genetico (ad esempio la tecnica di recente sviluppo CRISPR/cas-9) e l’editing dell’RNA.

Altri approcci includono farmaci locali o sistemici, volti a migliorare la sopravvivenza cellulare.

 

Bibliografia

Samantha R.De Silva et al., The X-linked retinopathies: Physiological insights, pathogenic mechanisms, phenotypic features and novel therapies, Progress in Retinal and Eye Research

 

 

 


14/Giu/2023

FOCUS MALATTIE RARE CON SINTOMI OFTALMOLOGICI:

Questo articolo vuole illustrare due malattie rare di trasmissione genetica che presentano distinti sintomi oftalmologici: se non correttamente valutate possono essere confuse con altre patologie.

LA SINDROME DI KEARNS – SAYRE

La sindrome di Kearns-Sayre (KSS) è una malattia rara (1/120.000 soggetti) generata da un raro errore congenito del metabolismo; essa è caratterizzato da oftalmoplegia esterna progressiva (PEO – con questo acronimo si intende una delle manifestazioni cliniche più comuni delle malattie mitocondriali; caratteristiche fondamentali di questa sindrome sono la ptosi palpebrale e la progressiva debolezza dei muscoli che governano i movimenti degli occhi) e retinite pigmentosa e per questo confusa appunto con la PEO progressiva.

La differenza tra le due patologie è che la prima esordisce in giovane età, la seconda invece colpisce soggetti adulti tra i 60 e gli 80 anni.

Entrambe le sindromi causano ptosi palpebrale (palpebra cadente) con paralisi dei muscoli oculari, con sguardo del paziente fisso e impossibilità di movimento degli occhi.

Altri sintomi associati spesso alla sindrome sono la presenza di retinite pigmentosa e diversi sintomi di natura neurologica: difficoltà nella parola, deficit cognitivo, cardiopatia, sordità e atassia cerebellare, non necessariamente presenti insieme.

La trasmissione genetica della sindrome di Kearns-Sayre avviene per via materna essendo trasmessa dalla cellula uovo; si tratta di una malattia mitocondriale, colpiscono cioè il mitocondrio che è il fornitore dell’energia del neurone. I geni coinvolti nella mutazione sono multipli e rappresentano la causa di anomalie multiple del DNA mitocondriale. La trasmissione può essere sia dominante che recessiva.

DIAGNOSI

La diagnosi genetica prevede il sequeziamento (tramite materiale raccolto con biopsia muscolare) del DNA mitocondriale e dei geni nucleari che permette di diagnosticare la mutazione.

Esistono comunque varianti della sindrome (es. sindrome di Melas e sindrome di Merrf) che associano altri sintomi come perdita totale di vista e udito e forme di epilessia.

TERAPIA

Le cure per la sindrome di Kearns-Savre sono essenzialmente sintomatiche.

Buoni risultati si possono ottenere somministrando Idebenone, per salvaguardare la vita delle cellule mitocondriali, in associazione a zafferano ad alti dosaggi che riduce gli eventi infiammatori che sono alla base di tutte le patologie degenerative.

Al momento non esistono terapie geniche, ma sono in corso studi a questo proposito in molti laboratori di ricerca.

 

LA SINDROME KIF2IA     

Sindrome genetica estremamente rara che comporta fibrosi congenita dei muscoli extra-oculari. Fin dalla nascita i neonati presentano subito una ptosi palpebrale e oftalmoplegia (alterazione della motilità oculare). I bambini non sembrano più in grado di gestire i muscoli interessati tanto che talvolta presentano atteggiamenti di esotropia o exotropia con impossibilità nei movimenti oculari.

Questa mutazione risulta molto più diffusa nelle popolazioni di origine libanese, siriana o marocchina; i rarissimi casi che si osservano in Italia sono quasi sempre in bambini con genitori naturali di questa provenienza (immigrati o adottati).

Per gli effetti legati alla grave ptosi i piccoli pazienti si presentano con il mento sollevato (effetto chin-up), ma per il resto la visione risulta assolutamente normale lo stesso si evidenzia sia per le funzioni cognitive che motorie.

La sindrome presente nel cromosoma K causa un danno della kinesina, una proteina necessaria ad un perfetto funzionamento neuro-vascolare. La malattia è trasmessa in eterozigosi, ma anche in forma dominante; esistono anche casi di ambliopia, coloboma del nervo ottico, glaucoma e cataratta.

TERAPIA

La terapia è di natura esclusivamente chirurgica e consiste nell’intervento sulla ptosi palpebrale congenita.

Alcuni pensano che intervenendo con neurochirurgia o chirurgia maxillo-facciale sulla fibrosi dei muscoli retrobulbari si possa avere un miglioramento nella motilità oculare, ma al momento nessuno ha mai effettuato questo trattamento sperimentale.

 

malattia di Vogt-Koyanagi-Harada

La malattia di Vogt-Koyanagi-Harada è una patologia sistemica molto rara, l’incidenza è stimata in circa 1/400.000 casi l’anno, le donne tra i 20 e i 30 anni sono colpite di più degli uomini

La sindrome si manifesta con una panuveite granulomatosa diffusa, cronica, bilaterale, caratterizzata dal distacco della retina di tipo essudativo, spesso associata a alterazioni neurologiche (meningite), dell’udito e della cute.

È particolarmente diffusa tra i soggetti di origine asiatica, indiana, nei discendenti degli indiani d’America e negli Ispanici, ad essa è infatti riconosciuta una base genetica che si ipotizza sia legata all’alterazione di alcune proteine motrici denominate chinesine; tale alterazione genera una risposta autoimmune contro normali costituenti dell’organismo, nello specifico contro i melanociti, cellule contenenti melanina, localizzate nel tratto uveale, nella cute, nell’orecchio interno e nelle meningi.

SINTOMATOLOGIA

L’esordio della malattia è di solito sistemico ed aspecifico: febbre, cefalea, indolenzimento, ma subito dopo sintomi neurologici tendono a manifestarsi precocemente e comprendono acufeni, abbassamento dell’udito, vertigini, cefalea e meningismo. I riscontri cutanei compaiono spesso più tardi e comprendono vitiligine a chiazze (particolarmente frequente su palpebre, regione lombare e natiche), poliosi (una chiazza localizzata di capelli bianchi, che può coinvolgere le ciglia) e alopecia.

La fase oftalmologica compare pochi giorni dopo; il paziente lamenta visione offuscata, dolore ai globi oculari e scotoma centrale (bilaterale nell’80% dei casi). Spesso si verifica un distacco della retina, bilaterale, di tipo essudativo, edema del disco ottico e coroidite.

Le uveiti ricorrenti caratterizzano l’ultimo stadio, la fase cronica. Altre complicanze sono la comparsa di cataratta, glaucoma, fibrosi sottoretinica, e neo-vascolarizzazione coroideale.

 

TRATTAMENTO

Il trattamento precoce comprende corticosteroidi locali e sistemici e un farmaco cicloplegico-midriatico (che agisce dilatando la pupilla). Molti pazienti rispondono inoltre al trattamento con immunosoppressori non-steroidei.

Utilizzando un trattamento precoce ed aggressivo la prognosi di solito è favorevole, anche se possono recidivare i disturbi acuti alla vista e all’udito.


26/Mar/2019

Farmaci anti-VEGF e retinite pigmentosa: due casi.

Nella retinite pigmentosa l’uso dei farmaci anti-VEGF è sottovalutato e vi sono poche sperimentazioni a proposito oppure si utilizzano in pazienti con malattia in stadi molto avanzati.

La retinite pigmentosa è una patologia neuro-degenerativa, che può talvolta essere accompagnata da neovascolarizzazione coroideale e conseguente edema maculare cistoide; in casi simili i pazienti vengono trattati con farmacia anti-VEGF anche se in realtà non esistono relazioni a lungo termine sull’uso di questi farmaci nei pazienti con retinite pigmentosa.

Due casi clinici significativi

Ho avuto, nella mia esperienza clinica, tra tutti quelli che ho incontrato  nel corso degli anni,  due casi di pazienti con questa malattia che ritengo molto  significativi. Un paziente con coroidite sierosa centrale proveniente dall’Albania dell’età di 38 anni con una retinite pigmentosa diagnosticata all’età di 24 anni; un secondo un giovane di 25 anni a cui era stata diagnosticata la malattia da pochi anni (3), ma con un campo visivo ridotto alla percezione di soli 15 punti luminosi centrali su 120 inviati dallo strumento.

Il secondo paziente era in condizioni disperate; immaginando un futuro di vita e lavorativo tutt’altro che roseo.

In entrambi i casi ho somministrato, era il 2008, Avastin che all’epoca veniva utilizzato largamente in Italia e nel mondo senza eccessive restrizioni. Il mio protocollo era di un ciclo l’anno con tre iniezioni intravitreali di farmaco al dosaggio di 2,5mg; come avevo visto eseguire nello studio di un noto oculista newyorkese. In Italia allora si utilizzavano dosaggio molto più bassi, di 1 / 1,25mg per iniezione intravitreale.

Per evitare ipertensioni oculari, che possono presentarsi con simili dosaggi, preparavo i pazienti con Diamox 250mg la sera prima dopo cena e la mattina tre ore prima dell’iniezione intravitreale associano contemporaneamente Iserocytol (neurovasculaire supposte) che mi aveva suggerito anni prima il dott. Di Bella di Modena. Ho potuto avvalermi di questa procedura fino a quando l’Avastin non è stato messo di fatto fuori legge; sostituito con il Lucentis.

Risultati ottenuti

Oggi, a distanza di 11 anni, il  paziente albanese ha un visus di 10/10 in un occhio e 8/10 nell’altro; il campo visivo, anche se non perfetto, è di circa 40°/50°.  Basti pensare che il paziente ora svolge la professione di tassista.

Il secondo paziente, quello più giovane che aveva iniziato con un campo visivo a micro-cannocchiale, oggi ha un visus di 10/10 bilaterali e percepisce a campo visivo standard della Humprey, 90 spot luminosi su 120; questo poiché nel frattempo si era creato uno scotoma su un occhio nel nasale inferiore estremamente fastidioso. Ho prescritto Idebenone come si trattasse di una sindrome di Leber, avendo questo farmaco una potente azione antiossidante mitocondriale che impedisce alle cellule ganglionari di morire “di fame” per deficit di ATP.

Schema della retina con cellule ganglionari

Se si aggiunge inoltre un dosaggio di dopamina “Levodopa” utilizzato normalmente per il Parkinson, ma dotato dello straordinario potere di essere il neuromediatore responsabile delle cellule retiniche, si può pensare con buone possibilità che in un periodo di circa un anno o meno parte dello scotoma venga riassorbito come ho  avuto modo di vedere in molte otticopatie genetiche e non. (molte malattie del nervo ottico non sono ancora state classificate geneticamente in un numero enorme di casi).

Tutto questo dimostra che l’attesa di una terapia genetica a largo raggio è ancora lunga a divenire (ci vorranno decenni), mentre i danni procedono implacabili nel tempo se non si interviene prontamente.

 

Osservazioni

Ho sempre sostenuto che l’unico farmaco che potrebbe essere prontamente, comunque nel giro di alcuni anni, è l’NGF intravitreale; l’effetto di tale principio attivo è quello di bloccare la morte dei neuroni in larga scala. Purtroppo questo farmaco non è attualmente disponibile. La casa farmaceutica ha pensato di farne un collirio risparmiandosi, al momento, un utilizzo intravitreale. Questo sarebbe stato, a mio avviso, più importante viste le numerose malattie che coinvolgono in neurone retinico e, per conseguenza, il nervo ottico.

Schema di iniezione intra-vitreale

Le stesse case produttrici di farmaci anti-VEGF in realtà non conoscono i più profondi meccanismi biologici di effetto sul neurone e sulla sostanza inter-neuronale di questi farmaci. Gli anticorpi monoclonali, usati quasi tutti inizialmente per malattie tumorali o autoimmuni, sono una pietra fondamentale per costruire protocolli terapeutici di larga efficacia se abbinati a farmaci che sicuramente verranno resi disponibili negli anni a venire.

Questo articolo, sicuramente sui generis, vuole però essere un manifesto per la libertà terapeutica del medico; attualmente altri tipi di interesse spesso possono essere purtroppo non del tutto affini al bene dei pazienti.

Un esempio

Un esempio pratico è stato il caso della talidomide. Questo farmaco, usato negli anni 60 come antinausea per la donne in gravidanza, provocava la focomelia cioè una deformazione che portava i bambini a nascere con arti superiori poco sviluppati.

Lo stesso farmaco, che solo a nominarlo si sfiorava l’eresia, oggi si impiega in oncologia per il suo potenziale ruolo anti-angiogenetico; nel trattamento di tumori solidi come glioma, melanoma, carcinomi renali e prostatici, tumore della  mammella, sarcoma di Kaposi, lupus e  altre patologie. Da queste osservazioni si può affermare che spesso per comprendere la reale efficacia ed il campo di applicabilità di un principio attivo possono servire decenni.

I farmaci anti-VEGF hanno sicuramente una possibilità di utilizzo efficace in molte malattie che attualmente non conosciamo; a volte terapie efficaci sono state formulate da medici che nulla avevano a che fare con case farmaceutiche che spesso condizionano la sanità pubblica.

Queste osservazioni derivano dalla mia esperienza clinica.

 



Dr. Carmine Ciccarini

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