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11/Apr/2019

Il nervo ottico, fondamentale parte del sistema nervosi centrale, collega il bulbo oculare direttamente al cervello. È grazie a questo che risulta possibile trasformare gli impulsi ricevuti della retina, di cui è naturale prolungamento, in percezione e, dunque, visione. Le patologie che affliggono il nervo ottico sono molte.
Una delle più gravi è, senza dubbio, la cosiddetta atrofia del nervo ottico. Questa può essere definita come la morte dei tessuti nervosi, incaricati di trasformare in immagini le stimolazioni registrate dall’occhio.
Si tratta di un danno neuronale in grado di provocare un oscuramento della vista, comportando un danno irreversibile. Le nuove prospettive terapeutiche in materia stanno riscuotendo un enorme successo, tanto da riattivare la speranza di un miglioramento per alcune particolari condizioni.

Cause e sintomi

Le cause dell’atrofia del nervo ottico possono essere molte. Tra queste, la più comune è sicuramente quella relativa ad uno scorretto apporto di sangue, tale da generare un processo ischemico. Questa particolare causa è facilmente riscontrabile in persone che hanno superato una certa soglia di età. A tal proposito si ricorda che lo stesso glaucoma, malattia dell’occhio molto comune, può provocare l’atrofia. Inoltre, qualsiasi tipo di evento imprevisto, come, ad esempio, un trauma dovuto ad un urto o un accidentale contatto con sostanze tossiche può comportare la medesima spiacevole conseguenza.

Le moderne prospettive

Da sempre, si dice che il danno da atrofia del nervo ottico sia irreversibile. Per questo motivo è essenziale un intervento tempestivo, che ponga rimedio alla malattia di base, così da eliminare o limitare eventuali danni. L’aiuto di esperti del settore, insieme a dei regolari controlli, possono, dunque, rivelarsi fondamentali. Le nuove tecniche sperimentate, però, forniscono dati sostanzialmente positivi. Esistono, infatti, dei farmaci in grado di eliminare alcune sostanze responsabili della progressiva atrofia del nervo.
Alcuni recenti studi hanno dimostrato che, dopo mesi di trattamento, alcuni dei pazienti sottoposti a terapia presentano incoraggianti miglioramenti. La somministrazione, inoltre, presenta effetti collaterali lievi o, addirittura, assenti. Sono notizie che fanno ben sperare, perché aprono la strada a nuove prospettive terapeutiche che potranno migliorare l’approccio della medicina a tale particolare affezione.
Per saperne di più sull’argomento, rivolgiti al Dottor Carmine Ciccarini, oculista specializzato in numerose patologie dell’occhio.


30/Giu/2017

L’atrofia ottica è trasmessa geneticamente e comporta l’atrofia delle cellule ganglionari della retina e di conseguenza porta all’atrofia del nervo ottico.

L’atrofia ottica dominante, o atrofia di Kjer, è una malattia genetica e così come la sindrome si Leber, è progressiva e porta in ambedue gli occhi all’atrofia del nervo ottico.

Nella patologia in questione l’età di esordio è precoce; dall’età prescolare ai 6/7 anni. Il bambino in poco tempo, a volte giorni o settimane, subisce un rapido calo del visus. Di solito i primi ad accorgersi del disagio sono gli insegnanti; spesso il disturbo viene scambiato per deficit di attenzione, dislessia o deficit visus-temporale. In realtà un’attenta anamnesi permette di orientarsi verso l’atrofia ottica dominante perché spesso in famiglia esistono, o sono esistiti, altri casi.

Schema di trasmissione genetica della atrofia ottica dominante

Quello mi sento spesso ripetere è “Avevamo uno zio (nipote, nonno) cieco”. In questa affezione esiste una mutazione del gene OPA1 che codifica una proteina mitocondriale responsabile dei fattori di respirazione cellulare.

Un genitore affetto ha una probabilità del 50% di trasmettere la malattia ai propri figli.

 

Diagnosi

Il bambino affetto arriva alla visita specialistica con i dischi ottici con un visus, spesso differente tra i due occhi, fra 2 e 6/10 anche se ci sono casi più drammatici in cui il visus; probabilmente per un ritardo verso la comprensione del problema, può essere anche molto più compromesso.

Al campo visivo si osserva uno scotoma centrale che spesso si allarga verso la macchia cieca (centro ciecale) o che coinvolge il campo visivo inferiore, come a simulare una sorta di emianopsia altitudinale (mancanza di 1/2 campo visivo in orizzontale).

Al test per la visione cromatica solitamente si evidenziano deficit per la distinzione dell’asse blu/giallo (tritanopia), ma anche di quello rosso/verde (protanopia).

Talvolta possono essere associati anche disturbi dell’udito.

Esami clinici

Il laboratorio di genetica stabilisce il deficit del gene OPA1 per avere la diagnosi definitiva della sidrome.

Altro esame importante è l’esame dei potenziali evocati visivi (PEV) da pattern; (si mette il bambino di fronte ad uno schermo con scacchi bianchi e neri in cui a scatti l’immagine viene invertita mentre degli elettrodi vengono posti nella regione occipitale al di sopra della nuca per monitorare il segnale elettrico che arriva alla corteccia visiva); i risultati nel caso di atrofia ottica sono nulli; (la variazione dell’immagine non viene rilevata) o nei casi di semi-atrofia  si osserva una forte riduzione nell’ampiezza del segnale rilevato.

Un altro esame elettro-fisologico è ERG da pattern (o PERG) nel quale l’elettrodo a foglia dorata è appoggiato direttamente sulla cornea; il segnale rilevato è espressione dello strato retinico interno.

Questa forma ha un’incidenza di 1/50.000; quello che differenza la sindrome di Leber e l’atrofia ottica dominante è che la prima comporta una riduzione visiva in alcune settimane verso i 30 anni o poco prima, mentre la seconda compare in età infantile. Le donne affette da sindrome di Leber possono talvolta manifestare la malattia anche dopo i 40 anni.

Terapia

Un farmaco che può avere un’azione positiva è l’idebenone o raxone; inizialmente utilizzato nella sindrome di Alzheimer, nell’atassia di Frededich e nella distrofia di Duchenne dove non ha ottenuto risultati significativi.

L’azione di questo principio attivo, che agisce come antiossidante della cellula,  è quella di trasportare elettroni per i mitocondri che producono l’ATP (Adenosine Tri-Phosfato) che è la sorgente di energia dei cicli organici della cellula e inibisce la formazione dell’ipeperossido che è un acido di scarto nocivo per la cellula.

Il problema principale dell’idebenone è che viene assorbito enormenente dal fegato; solo l’1% raggiunge la circolazione, per questo occorre usare dosaggi elevati e migliorarne l’assorbimento assumendolo con cibo grasso; personalmente utilizzo preparazioni galeniche magistrali che contengono olio di oliva.

Se vogliamo potenziare ulteriormete l’azione antiossidativa dobbiamo associare l’ubichinone o coenzima Q e l’acido lipoico.

Come terapia nella fase acuta, quando il nervo ottico si presenta con bordi edematosi, è consigliabile ricorrere a cortisonici; spesso questi riducono l’edema papillare.

In conclusione la terapia sopra riportata non ha chiaramente lo scopo di portare a guarigione malattie genetiche rare; l’obiettivo è quello di salvaguardare il più possibile le strutture nervose implicate nella speranza che la ricerca genetica approdi entro tempi ragionevoli all’applicazione clinica.



Dr. Carmine Ciccarini

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Tel. 075 5007094 – Tel. 339 2248541

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