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12/Set/2017

L’atrofia ottica può oggi essere contrastata tramite nuove terapie farmacologiche o tramite elettrostimolazione

Nell’atrofia ottica di Leber, così come nell’atrofia ottica dominante, nella neuropatia ottica ischemica ed in generale in tutte le forme di atrofia del nervo ottico si risconta un danno neuronale. In questa patologia la morte o il danno ai neuroni deriva da una mancanza di energia nelle cellule sotto forma di ATP. (acido nucleico che, come l’ossigeno per i polmoni, costitusce il carburante della cellula neuronale).

Sindrome di Leber
Si noti l’atrofia del nervo ottico in un paziente affetto da sidrome di Leber

Terapie sperimentali

Oggi, visto che la terapia genica è ancora lontana dalle mete prefissate, uno dei pochi farmaci attivi per la cura dell’atrofia ottica è l’Idebenone o Raxone; questa sostanza ripristina la funzione mitocondriale distruggendo i radicali acidi che si formano causando la progressiva atrofia.

E’ ormai dimostrato da ricerche cliniche universitarie che dopo sei mesi di terapia nell’atrofia di Leber, il visus può risalire da 1/20 fino a 1-2/10 nel 30% dei pazienti. Gli effetti indesiderati di questo trattamento sono inoltre modesti; essi vanno dalla tosse, a disturbi gastro-intestinali e, più raramente, alla lombalgia.

Il professor Johnsonn dell’Università del Missouri, ha notato durante la fase di sperimentazione del trattamento, che la Levodopa (farmaco normalmente usato per il morbo di Parkinson) può limitare la perdita visiva nella neuropatia ottica ischemica.

Il 40% dei pazienti così trattati ha un miglioramento entro 3 mesi di trattamento, fino a un  paio di decimi.  Probabilmente la levo-dopamina, convertendosi in dopamina (neuro-trasmettitore retinico per le cellule ganglionari) ha effetti positivi sulla cura della patologia.  La dopamina infatti pare essere prodotta dalle cellule amacrine retiniche; l’effetto di tale sostanza e quello di migliorare la comunicazione tra le cellule nervose.

Atrofia ottica con escavazione del nervo ottico in un caso di glaucoma; si noti la nasalizzazione dei vasi

Associando l’idebenone alla levodopa si potrebbe arrivare ad un ripristino, almeno parziale, delle cellule ganglionari; queste cellule poi contribuiscono a formare il nervo ottico. Ciò permettendo alle cellule retiniche di dialogare tramite il mediatore dopamina.

Quando l’NGF della Montalcini sarà disponibile per via endovitreale, probabilmente la sorte per i pazienti affetti da atrofia ottica sarà decisamente migliore; ci saranno casi, presi tempestivamente, in cui si potrebbe ripristinare un’attività significativa.

Altre tecniche sono attualmente in fase di sperimentazione. La stimolazione elettrica del nervo ottico, a bassa potenza, come già dimostrato all’Università di Tubingen, potrebbe avere effetti positivi sugli scotomi (aree di non visione) migliorando il campo visivo dal 15 al 20%.



Dr. Carmine Ciccarini

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