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07/Ott/2021

SINDROME DI WOLFRAN E ATROFIA OTTICA

La sindrome di Wolfram, è una malattia genetica rara, che causa diabete mellito, atrofia ottica, sordità e altri disturbi che variano da soggetto a soggetto.

La sindrome colpisce il sistema nervoso centrale; (in particolare il tronco cerebrale), ne sono state descritte due forme genetiche: nella prima forma la mutazione nel gene WFS1 è caratterizzata da diabete mellito ad esordio infantile, che deriva dal controllo improprio del glucosio a causa della mancanza di insulina e da una graduale perdita della vista causata da atrofia ottica associata a sordità; talvolta può provocare diabete insipido, una condizione in cui i reni non possono conservare l’acqua.

Nella seconda mutazione invece la disfunzione del gene WFS2 a cui si associa la sindrome di Leber è seguita da sordità neurosensoriale che colpisce soprattutto le basse frequenze dello spettro udibile.

L’atrofia ottica compare solitamente, dopo che il diabete si è manifestato, di solito in età infantile e comunque entro i 6 anni, intorno all’età di 11 anni; primi segni sono la perdita della visione dei colori e della visione periferica. La condizione peggiora nel corso del tempo e le persone con atrofia ottica perdono completamente la vista entro 8 anni dei primi sintomi. L’aspettativa di vita delle persone affette da questa sindrome è purtroppo piuttosto bassa, all’incirca di 30 anni.

Tuttavia è da segnalare che essendo una malattia genetica i sintomi e le tempistiche possono variare da persona a persona. Sono stati segnalati diversi casi di pazienti colpiti dalla sindrome di Wolfram in età avanzata in cui solo alcuni dei sintomi si sono manifestati; uno di questi è proprio l’atrofia ottica.

immagine fotografica dell’occhio destro paziente, mostra atrofia ottica senza retinopatia diabetica

Non vi è alcun trattamento diretto noto. Gli sforzi attuali si concentrano sulla gestione delle complicanze della sindrome di Wolfram, come il diabete mellito e diabete insipido e su terapie che conservino almeno una residua possibilità di visus. Di recente alcuni ricercatori giapponesi hanno sviluppato una proteina che sembrerebbe rallentare il progredire della malattia.


01/Dic/2020

A proposito di Sindrome di Leber: nuove cure sperimentali, ottimi risultati

Alcuni risultati derivanti dalla mia esperienza clinica

L’associazione tra Ropinirolo (principio attivo agonista dopaminergico, particolarmente attivo nei confronti dei recettori D2-D3 della dopamina) a basso dosaggio (1 mgr al giorno)  e levodopa e carbidopa, presenti in commercio in combinazione, (300 mgr al giorno) migliora la performance visiva nei pazienti con sindrome di Leber.

Sindrome di Leber
Sindrome di Leber

Dopo l’uso prolungato di questa terapia, da 6 mesi a 1 anno, ho potuto osservare miglioramenti talvolta stupefacenti. Un paziente di 31 anni, bergamasco, e uno di 30 anni di Caserta, sono passati rispettivamente il primo da 1/30 a 4/10 di visus, il secondo da 3 a 6/10.

Combinazioni di principi attivi

Una combinazione ancora più potente si è dimostrata quella di associare a questa terapia l’insulina umanizzata (un farmaco ipoglicemizzante a base di insulina umana utile nel trattamento del diabete mellito, del coma iperglicemico, della chetoacidosi e del diabete gestazionale) per la capacità di quest’ultimo di agire sul ciclo dell’acido glutammico tramite il fattore nerve growth factor insuluno-dipendente IGF1.

 

Una cellula ganglionare retinica nella sua forma visualizzata tramite proteina giallo-fluorescente. (fonte www.dipololab.ca)

Migliorare la funzione dei neuroni e, di conseguenza, delle cellule ganglionari agendo sui due neuro- mediatori dopamina e acido glutammico può portare alla rigenerazione dei neuroni retinici, come dimostrato tra l’altro da alcuni studi condotti dalla Prof.ssa Di Polo di Montreal e il suo stuff (www.dipololab.ca).

Nella mia esperienza con alcuni pazienti affetti dalla sindrome ho notato che, anche solo dopo sei mesi di terapia, all’esame OCT  lo spessore delle cellule ganglionari risulta aumentato, in alcuni casi, anche del 30-40%.

Questa terapia, purtroppo non compresa da molti medici, è in realtà attualmente, a mio parere e per la mia esperienza clinica, l’unica possibilità di migliorare quadri clinici piuttosto gravi causati non solo dalle otticopatie congenite; la Leber in primis, ma anche da quelle acquisite come nelle neuro-mieliti, nella sclerosi a placche e nelle neuropatie ottiche ischemiche (NAION).


28/Nov/2018

La dopamina può essere utilizzata per la cura delle neuropatie ottiche per la sua azione di neurotrasmettitore delle cellule ganglionari.

Recentemente negli Stati Uniti è stata scoperta una proteina chiamata G prodotta dall’epitelio pigmentato e definita GPR143 dall’ingegneria molecolare che viene attivata dalla dopamina.

Questo recettore GPR143, ha una funzione primaria nella salvaguardia neurosensoriale delle cellule ganglionari retiniche; sia della macula che del nervo ottico. L’attivazione di questo recettore è fondamentale per combattere malattie che coinvolgano quindi le cellule ganglionari. In affezioni come la neuropatia ottica ischemica non arteritica che rappresenta la f0rma più eclatante di danno delle cellule ganglionari, l’uso di dopamina sotto forma di levodopa, ha permesso di restituire anche diversi decimi di visus a pazienti che sarebbero diventati sicuramente ciechi nonostante l’uso in bolo di cortisonici e di anticoagulanti.

Studi del 2016 effettuati da istituti universitari statunitensi, hanno dimostrato l’effetto protettivo dalla dopamina e dal suo precursore levodopa, dalle maculopatie degenerative legate all’età, sia nelle forme umide che secche, e la sua efficacia sulle neuropatie ottiche ischemiche. Già nel 2000 il professor Johnsonn aveva dimostrato come questo neurotrasmettitore fosse capace in una percentuale importante di pazienti con neuropatia ottica ischemica, specie se trattati precocemente nelle prime settimane, un recupero dell’attività visiva altrimenti compromessa.

Anche l’uso associato di farmaci antiVEGF per via endovitreale pare sia capace di decongestionare le fibre ganglionari della testa del nervo ottico specie nei dischi ottici più piccoli che soffrono di una specie di intasamento vascolare.

Esperienza clinica

Ho potuto notare, nella mia esperienza clinica, come pazienti affetti da morbo di Parkinson, che utilizzavano la levodopa (il precursore della dopamina) risultavano meno soggetti ad ammalarsi di maculopatia legata all’età rispetto a pazienti normali. Lo stesso dato fornito dall’Università del Missouri su 40000 pazienti testati. Inoltre altro dato che ho notato, seppure su una piccola percentuale di pazienti, quelli che venivano colpiti da episodi di neuropatia ottica ischemica, avevano un quadro clinico oculare decisamente meno devastante rispetto a pazienti che non sono trattati con levodopa conservando un visus spesso intorno a 1/10 con difetti campimetrici altitudinali meno gravi.

deficit altitudinale inferiore tipico delle neuropatie ottiche ischemiche specie posteriori

 

Edema della papilla ottica con interessamento della regione maculare. Si osservino emorragie peripapillari e maculari

Fluorangiogafia di un caso di neuropatia ottica ischemica con edema del lato temporale della papilla ottica ed enorme congestione vascolare.

Se poi aggiungevo 900mgr di idebenone come in una comune sindrome di Leber, nel corso di 4/8 mesi in una percentuale del 50% ho notato un miglioramento. Questo protocollo è off-label essendo la levodopa destinata al solo morbo di Parkinson e l’Idebenone alla Sindrone di Leber; esistono comunque appositi moduli per richiedere il consenso informato anche se molti farmaci orfani o off label con il tempo si sono mostrati utili in malattie diverse rispetto a quelle per cui erano state concepite.

E’ il caso della Talidomite, usata negli anni 50-60 come antiemetico per le donne gravide, poi censurata per gli effetti teratogeni e alla fine riutilizzata brillantemente per il Mieloma multiplo, per il morbo di Crohn, per la malattia di Behcet e altre affezioni anche tumorali. Lo stesso dicasi per molti farmaci anti VEGF inizialmente usati in malattie tumorali e poi rivelatesi straordinarie per le maculopatie umide.

Considerazioni

E’ una mia considerazione, ma credo che questi ultimi farmaci abbiano efficacia anche su malattie sulle quali non sono state testate. Un esempio è stato l’uso su due pazienti giovani con retinite pigmentosa con edema maculare. Trattati con un ciclo di farmaci antiVEGF circa dieci anni fa, hanno avuto un netto miglioramento del visus e del campo visivo. Per alcuni colleghi è stata fortuna, ma intanto oggi uno fa il tassista ed un altro il direttore commerciale e guidano l’automobile giorno e notte. Il segreto è in tutte le patologie quello di intervenire subito.

La dopamina ad esempio deve essere utilizzata nelle neuropatie ottiche entro tre settimane. Lo stesso vale per l’uso di cortisonici come il triamcinolone che possono essere usati per via intravitreale; nelle prime settimane di una papillite o di una neuropatia ottica ischemica funzionano con molta efficacia. Se poi aggiungiamo la levodopa proteggiamo le cellule ganglionari in modo sostanziale.

Altro effetto positivo nelle neuropatie di qualsiasi origine è l’uso di stimolazione elettrica transcorneale che incrementa le possibilità delle cellule ganglionari di sopravvivere. In questo articolo assolutamente basato su effetti visti nei miei ambulatori, ho voluto solo cercare di far capire che a volte le soluzioni esistono ma non le vediamo e che finche’ l’ingegneria genetica non avrà scoperto le centinaia di genotipi che sono dietro molte otticopatie genetiche e non apriremo la mente su quelle acquisite, rifugiandoci dietro schemi terapeutici convenzionali ma inefficaci, vedremo aumentare a dismisura il numero di pazienti diventati ciechi.

Conclusioni

Per concludere volevo accennare qualcosa riguardo l’associazione tra idebenone, farmaco antiossidante mitocondriale utilizzato nella Leber, e la stimolazione elettrica delle cellule ganglionari; come dimostrato dall’Università di Tubingen che usa elettrostimoli per aumentare il campo visivo in pazienti affetti da retinite pigmentosa.

Spesso se facciamo un OCT dopo circa 6-8 mesi notiamo in un buon numero di pazienti un aumento del diametro delle fibre ganglionari (RFNL). Naturalmente spesso capitano pazienti che arrivano in visita dopo anni di malattia e con uno schema di terapia che include il solo idebenone. Ebbene, i risultati da me visti sono molto scadenti e quasi nessuno arriva a 1/10 di vista.

Quelli che hanno eseguito stimolazione elettrica spesso autoprescritta, o hanno utilizzato levodopa, hanno spesso avuto risultati migliori. L’unica problematica è il dosaggio e il fatto che questo farmaco non può essere utilizzato cronicamente, controllando con attenzione se dovessero subentrare effetti collaterali.

Anche nelle neuropatie ottiche ischemiche l’utilizzo di questo trattamento ha prodotto risultati di rilievo.


15/Nov/2017

Di seguito sono presentati alcuni casi clinici non diagnosticati di atrofie ottiche anomale che ho incontrato nella mia esperienza professionale.

Le atrofie ottiche su base genetica non sempre si manifestano in modo convenzionale (anomale) riguardo ad età e manifestazioni cliniche. Mi è accaduto spesso di visitare pazienti che, all’esame del fundus, manifestavano un nervo ottico atrofico o sub-atrofico, con progressiva perdita del visus.

Questi casi li classificavamo genericamente come “atrofie ottiche di n.d.d.” o come “sospetta neuropatia ottica ischemica” specie se insorgevano acutamente. Oggi posso affermare che in realtà molti di questi casi erano la conseguenza di geni “OPA” tipico dell’atrofia ottica dominante o di altri geni affiliati alla sindrome di Leber.

Asse ereditario dell’atrofia ottica dominante

A tal proposito riporto il caso di un paziente marchigiano di 57 anni venuto in visita per un progressivo abbassamento del visus a 1/2 decimi. Il campo visivo che mostrava lesioni molto estese.  Sospettai immediatamente che si trattasse di un’atrofia legata a fattori genetici.  Per contrastare il decorso della malattia prescrissi alti dosaggi di Idebenone, Levodopa e acido Ittioico.

Dopo soli 4 mesi di trattamento, il paziente si recava in un centro specializzato per le atrofie congenite e il noto primario riscontrò un visus di 4/10 nell’occhio peggiore e a 5/10 nell’altro.

L’esame del campo visivo eseguito con il solito strumento degli esami precedenti mostrava un netto miglioramento.

Ciò dimostra che l’associazione dei tre principi attivi è risultata molto valida.

Levodopa

Vorrei poi raccontare di molti casi che mi sono capitati della cosiddetta otticopatia ischemica acuta che tuttora vengono curate con cortisonici e calciparine senza alcun risultato se non la cecità. Personalmente in casi simili usavo la levodopa. Il trattamento ha mostrato, in circa il 30% dei casi, una riacquisizione di un paio di decimi di vista rispetto ad una sicura cecità.

Un giorno lessi uno studio del prof. Johnson dell’Università del Missouri del 2016; nell’articolo si utilizzava la stessa terapia con risultati sovrapponibili; tutto questo non nasce per caso, ma dalla considerazione che la levodopa, trasformandosi in dopamina a livello retinico, determina una stimolazione ed una riconnessione tra le cellule ganglionari della retina. Esse permettono la visione e costituiscono il nervo ottico.

Chimica della trasformazione della Levodopa in Dopamina. Nel caso specifico la reazione avviene a livello retinico

Dopamina

Vorrei poi parlare della sindrome di Leber nelle sue varianti.

Nel 1987 visitai  una paziente risultata poi portatrice del gene della Leber trasmesso alle due figlie e due nipoti. La donna, che presentava  un visus di 10/10 bilaterali, nel giro di pochi anni arrivò ad una cecità assoluta.

In quel caso, non riuscendo a capire l’anomalia, pensai si trattasse di una neuropatia ischemica insorta acutamente.

Vent’anni dopo la nipote della stessa paziente, che fino ai 43 anni aveva un ottimo visus, si presentò con una riduzione visiva di 1/20. (conta delle dita a 50cm). Il figlio di questa donna, attualmente sedicenne, è in cura per atrofia ottica di Leber diagnosticata dalla clinica oculistica di Siena dall’età di 6 anni. In entrambi i casi ho eseguito la stessa terapia.

Il figlio è passato da 1-2/10 a 5-6/10.  La madre, dopo 5 mesi di trattamento con levodopa – che si trasforma in dopamina – associato a stimolazione del nervo ottico – e quindi del neurotrasmettitore dopamina stesso – ha visto risalire il visus a 3/10.

Conclusioni

Quanto illustrato fino a questo punto è frutto chiaramente della mia esperienza professionale; i casi che negli anni ho affrontato mi hanno portato a formulare ipotesi cliniche e a sperimentare nuove terapie.

Tutte queste esperienze ci fanno capire che i modelli che ci siamo creati nel corso degli anni sulle atrofie ottiche (anomale) probabilmente vanno riveduti. Sono convinto che molti casi di perdita della vista per sospette atrofie ottiche siano in realtà la conseguenza di mutazioni anomale del DNA; queste possono essere simili ai geni OPA o alle mutazioni tipiche della Leber, ma anche mostrare delle differenze che talvolta le rendono anomale.

Concludo con una domanda che spesso mi pongo: ma esiste la neuropatia ottica ischemica? oppure ci troviamo di fronte ad anomalie genetiche curabili, se riconosciute, ma altrimenti incurabili? Ci auguriamo che siano condotti sempre più studi sperimentali per dare risposte a queste domande.

 


12/Set/2017

L’atrofia ottica può oggi essere contrastata tramite nuove terapie farmacologiche o tramite elettrostimolazione

Nell’atrofia ottica di Leber, così come nell’atrofia ottica dominante, nella neuropatia ottica ischemica ed in generale in tutte le forme di atrofia del nervo ottico si risconta un danno neuronale. In questa patologia la morte o il danno ai neuroni deriva da una mancanza di energia nelle cellule sotto forma di ATP. (acido nucleico che, come l’ossigeno per i polmoni, costitusce il carburante della cellula neuronale).

Sindrome di Leber
Si noti l’atrofia del nervo ottico in un paziente affetto da sidrome di Leber

Terapie sperimentali

Oggi, visto che la terapia genica è ancora lontana dalle mete prefissate, uno dei pochi farmaci attivi per la cura dell’atrofia ottica è l’Idebenone o Raxone; questa sostanza ripristina la funzione mitocondriale distruggendo i radicali acidi che si formano causando la progressiva atrofia.

E’ ormai dimostrato da ricerche cliniche universitarie che dopo sei mesi di terapia nell’atrofia di Leber, il visus può risalire da 1/20 fino a 1-2/10 nel 30% dei pazienti. Gli effetti indesiderati di questo trattamento sono inoltre modesti; essi vanno dalla tosse, a disturbi gastro-intestinali e, più raramente, alla lombalgia.

Il professor Johnsonn dell’Università del Missouri, ha notato durante la fase di sperimentazione del trattamento, che la Levodopa (farmaco normalmente usato per il morbo di Parkinson) può limitare la perdita visiva nella neuropatia ottica ischemica.

Il 40% dei pazienti così trattati ha un miglioramento entro 3 mesi di trattamento, fino a un  paio di decimi.  Probabilmente la levo-dopamina, convertendosi in dopamina (neuro-trasmettitore retinico per le cellule ganglionari) ha effetti positivi sulla cura della patologia.  La dopamina infatti pare essere prodotta dalle cellule amacrine retiniche; l’effetto di tale sostanza e quello di migliorare la comunicazione tra le cellule nervose.

Atrofia ottica con escavazione del nervo ottico in un caso di glaucoma; si noti la nasalizzazione dei vasi

Associando l’idebenone alla levodopa si potrebbe arrivare ad un ripristino, almeno parziale, delle cellule ganglionari; queste cellule poi contribuiscono a formare il nervo ottico. Ciò permettendo alle cellule retiniche di dialogare tramite il mediatore dopamina.

Quando l’NGF della Montalcini sarà disponibile per via endovitreale, probabilmente la sorte per i pazienti affetti da atrofia ottica sarà decisamente migliore; ci saranno casi, presi tempestivamente, in cui si potrebbe ripristinare un’attività significativa.

Altre tecniche sono attualmente in fase di sperimentazione. La stimolazione elettrica del nervo ottico, a bassa potenza, come già dimostrato all’Università di Tubingen, potrebbe avere effetti positivi sugli scotomi (aree di non visione) migliorando il campo visivo dal 15 al 20%.


06/Mar/2017

Otticopatia ereditaria mitocondriale che si manifesta generalmente fra 15 e 30 anni con un esordio solitamente aggressivo, forte riduzione del visus a carattere subacuto nella maggior parte dei casi, bilaterale anche se possono passare anche mesi fra l’esordio di un occhio e l’altro. ...



Dr. Carmine Ciccarini

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