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26/Feb/2018

Il mondo medico-scientifico ha recentemente aperto la strada ad una concreta speranza per i malati di retinite pigmentosa; nel gennaio scorso l’ impianto di un microchip biocompatibile (biomembrana) è stato effettuato all’Ospedale San Raffaele di Milano su una paziente affetta dalla patologia con risultati incoraggianti.

L‘occhio bionico è un dispositivo elettro-ottico con compatibilità biologica, quindi una biomembrana,  che può consentire a non vedenti, malati di retinite pigmentosa allo stadio avenzato o coroideremia (atrofia della retina), il parziale recupero della visione centrale in bianco e nero e con un campo visivo limitato (15-20°). Ciò a patto però che la retina ed il nervo ottico abbiano conservato un minimo di vitalità.

Impianto subretinico biocompatibile

La protesi retinica biocompatibile è costituita da una sorta di retina elettronica su cui si trovano dei sensori artificiali realizzati tramite una semiconduttore composto da un polimero organico i cui componenti sono in grado di sostituire dal punto di vista della sensibilità alla luce i fotoricettori naturali (coni e bastoncelli) dell’occhio che sono stati danneggiati dalla patologia.

Questi recettori artificiali, organizzati in una sorta di matrice di pixel, sono in grado di trasmettere segnali elettrici (derivanti dalla stimolazione luminosa) al nervo ottico. Per questo è necessario, perché l’impianto abbia effetto, che il nervo ottico abbia conservato la propria integrità funzionale; in caso contrario la trasmissione degli impulsi fino alla corteccia celebrale è inibita e l’impianto non darà il risultato atteso. Inoltre, è necessaro che la retina naturale abbia conservato un minimo di vitalità.

Biomembrana subretinica – il futuro della sperimentazione

La luce è l’unico “veicolo” dell’informazione visiva: tutto si basa su una sorta di micro-sistema fotovoltaico; le celle di carbonio presenti nel semiconduttore biocompatibile convertono la luce in impulso elettrico;  allo stesso modo dei fotoricettori naturali dell’occhio sano. L’occhio bionico funziona in sostanza come uno “stimolatore retinico”.

Principio di funzionamento

Nell’occhio affetto da retinite pigmentosa o maculopatia degenerativa, i fotoricettori retinici non reagiscono più alla luce creando così un “buco buio” nell’mmagine percepita; come in un puzzle.  Maggiore è il numero delle cellule danneggiate dalla malattia, maggiore la quantità di tasselli mancanti per ricostruire l’immagine. L’idea su cui si basa il lavoro dei ricercatori è proprio quello di realizzare una membrana artificiale (biomembrana), il più sensibile possibile, che posta sotto la retina sostituisca la retina danneggiata per aiutare il cervello a ricostruire l’immagine integra.

Allo stato attuale dell’evoluzione tecnico-scientifica, è possibile, nel migliore dei casi, recuperare parte della visione centrale (massimo 15/20°); le immagini si presentano per flash successivi e sono composte da quadratini in bianco e nero (pixel), come tanti mosaici in sequenza per una visione in tonalità di grigio.

Impianto epiretinico Argus II

Sperimentazioni in corso

Le attuali sperimentazioni hanno condotto allo sviluppo di 2 protesi retiniche; l’impianto subretinico Alpha AMD, sviluppato inizialmente in Germania come Alpha AMS, che è attualmente ben tollarato è permette di ripristinare funzioni limitate in pazienti ciechi e affetti da degenerazioni della retina esterna. Questo è il tipo di chip a biomembrana impiantato nella paziente cinquantenne al San Raffaele. [1].

Una seconda sperimentazione prevede l’utilizzo di un chip denominato Argus II; composto da 60 pixel (6×10) esso costituisce una protesi epiretinica.(utilizzato dal 2014 su alcuni pazienti in Toscana – Careggi – e Veneto – Camposampietro – ). Protesi retiniche di questo genere, tra l’altro già disponibili e in fase di miglioramento fino a raggiungere i 240 elettrodi, sono senza dubbio più invasive e di minor compatibilità biologica, quindi soggette a rigetto, essendo costituiti da semiconduttori inorganici come il silicio.

Si tratta di occhiali a lenti scure dotati di una microtelecamera; questa cattura ed invia le immagini ad un computer portatile grande come uno smartphone e indossato dal paziente.  Dal microcomputer le informazioni sono elaborate e poi trasmesse in comunicazione wireless, al microchip epiretinico, i cui elettrodi stimolano i neuroni trasferendo le immagini al cervello. Con questo tipo di intervento pazienti che hanno perso la vista a causa di forme severe di retinite pigmentosa possono tornare a riconoscere sagome e ombre.

Limiti tecnologici

Componenti del sistema Argus

Uno dei limiti dell’impianto epiretinico, oltre alla necessità di utilizzare microcamera e ricevitore esterni, è quello che l’aquità visiva riacquistata è legata ai movimenti del collo, che determinano il puntamento della microcamera sull’occhiale, e non ai movimenti dell’occhio, come nel caso dell’impianto sottoretinico. In quest’ultimo infatti le microsaccadi, cioè i rapidi movimenti oculari spontanei, consentono anche la stimolazione delle cellule retiniche vitali residue aumentandone il ripristino funzionale. Per ovviare al limite del sistema Argos II è stato recentemente proposto di integrare il sistema con un inseguitore oculare allo scopo di migliorare la capacità di localizzazione del visus del paziente. [2].

Conclusioni

In conclusione è attualmente prematuro parlare di visione artificiale simile a quella naturale;  si può dire che la microingegneria e la bioingegneria, nonché lo studio dei polimeri organici biocompatibili stanno gettando le basi per migliorare la qualità della vita di pazienti affetti da malattie rare degenerative della retina.

Approfondimenti

[1] K.Stingl et alt. – Centre for Ophthalmology; University of Tuebingen, Germany; – “Interim Results of a Multicenter Trial with the New Electronic Subretinal Implant Alpha AMS in 15 Patients Blind from Inherited Retinal Degenerations” ;- Frontiers in Neuroscience – August 2017

[2] Avi Caspi et alt. – Jerusalem College of Technology; Jerusalem, Israel – “Eye Movement Control in the Argus II Retinal-Prosthesis Enables Reduced Head Movement and Better Localization Precision”; – Eye Movements, Strabismus, Amblyopia and Neuro-Ophthalmology – December 2017



Dr. Carmine Ciccarini

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