Attendere prego...



Blog

Pubblicazioni

16/Gen/2024

PARALISI ESTERNA PROGRESSIVA: oppure tecnicamente OFTALMOPLEGIA

L’oftalmoplegia (o paralisi) esterna progressiva è una sindrome di origine genetica caratterizzata da debolezza progressiva dei muscoli degli occhi e delle palpebre, che comporta palpebre cadenti (ptosi) e paralisi dei muscoli oculari. Può inoltre essere presente debolezza dei muscoli degli arti, di gravità variabile. La malattia si manifesta principalmente in età adulta.

Si tratta di una sindrome genetica recessiva o dominante che causa ptosi palpebrale (abbassamento della palpebra) e progressivamente una paralisi dei muscoli oculari con impossibilità all’elevazione, all’abbassamento e alle adduzioni orizzontali.

esempi di pazienti affetti da oftalmoplegia

In certi casi può accompagnare una forma di Parkinson molto aggressiva (paralisi sopranucleare progressiva). Il paziente ha difficoltà scendere le scale e spesso è soggetto a cadute con conseguenze immaginabili.

Eziologia

Questa affezione è dovuta ad una malattia dei mitocondri causata da alterazioni del DNA che si verificano già nell’infanzia; alcuni disturbi possono manifestarsi in età adulta, anche oltre i 660 anni di età.

I geni associati a questa mutazione sono diversi, tra questi il POLG, il POLG2, ANTI1, TNINKLE e altri; l’ereditarietà può presentarsi in forma recessiva (da genitori sani, ma portatori del gene mutato malato) o dominante. Esistono mutazioni spontanee non genetiche, talvolta in soggetti che hanno subito trattamenti chemioterapici.

Terapia

Idebenone ad alti dosaggi ha dato risultati soddisfacenti; un buon risultato è stato riscontrato anche con iniezioni para-bulbari o retro-bulbari con cortisonici iniettati direttamente sul cono muscolare retrorbitale.

 


14/Dic/2023

La rosolia è una tra le più note malattie esantematiche tipiche dell’infanzia. Di solito, il decorso è benigno e la sintomatologia è di lieve entità, senza particolari conseguenze per la salute. Una volta superata, la rosolia lascia un’immunità permanente, pertanto non è più possibile ammalarsi.

Tuttavia, se l’infezione è contratta per la prima volta in gravidanza, il virus della rosolia può superare la barriera placentare raggiungendo il sistema circolatorio fetale, quindi può essere trasmesso all’embrione o al feto in via di sviluppo attraverso la circolazione sanguigna.

Ciò può rivelarsi molto pericoloso per la salute del nascituro; una volta nel sistema circolatorio fetale il virus può moltiplicarsi rapidamente nei tessuti embrionali, provocando danni cromosomici ed alterazioni dell’organogenesi.

Una volta trasmessa dalla madre all’embrione o al feto, l’infezione può provocare aborto spontaneo, morte intrauterina e malformazioni di varia gravità.

Le più comuni manifestazioni fetali della rosolia congenita sono i difetti della vista, la sordità, le malformazioni cardiache ed il ritardo mentale.

La rosolia in gravidanza comporta rischi particolarmente gravi se contratta nei primi 3-4 mesi di gestazione. L’infezione congenita e le possibili conseguenze della malattia sono strettamente connesse al momento in cui la gestante contrae la malattia. In particolare, se la rosolia viene contratta durante le prime 10 settimane di gravidanza, il rischio stimato di conseguenze per il feto è fino al 90%.

Le probabilità che il nascituro sviluppi complicanze si riducono al 30%, se l’infezione avviene tra la 11esima e la 16esima settimana. Nelle infezioni contratte oltre la 17esima settimana di gravidanza, nel neonato è stato registrato prevalentemente un rischio di sordità congenita o problemi all’apparato visivo. Oltre il primo trimestre di gestazione, infatti, la placenta esplica un’azione protettiva, quindi è più raro che si verifichi un’infezione fetale in questo periodo.

Studi recenti condotti al Policlinico Gemelli di Roma hanno riscontrato che il passaggio del virus rubeolico nel periodo sicuramente a rischio per il feto (fino alla fine del 4°mese) non è comunque molto frequente: nell’ esperienza clinica del Gemelli è stato documentato nel 16% dei casi.

Un neonato che ha contratto l’infezione durante lo sviluppo intrauterino può rimanere infettivo anche per mesi dopo la nascita.

 

I problemi alla vista più frequenti causati dal virus della rosolia possono essere:

  • cataratta congenita: si presenta subito come un’opacità del cristallino che è presente alla nascita o poco dopo la nascita. Essa si presenta spesso come bilaterale e densa. La diagnosi è clinica e talvolta mediante imaging. La terapia consiste nell’asportazione chirurgica precoce della cataratta, solitamente tra le 4-10 settimane di età.

 

  • microftalmia (ridotto sviluppo oculare nel corso della vita intrauterina): si manifesta alla nascita come difficoltà ad aprire la palpebra, talvolta anche il diametro dell’iride è più piccolo. Non esiste un trattamento curativo vero e proprio, l’utilizzo di protesi di diverse dimensioni permette di ingrandire a poco a poco la cavità orbitaria, favorendone uno sviluppo più armonico. Il loro posizionamento, necessario fin dai primi mesi di vita, può però rivelarsi molto difficoltoso.

 

  • glaucoma congenito o glaucoma infantile primario è una rara anomalia per cui l’umor acqueo non defluisce correttamente dalla camera anteriore dell’occhio. L’ostruzione aumenta la pressione all’interno dell’occhio e può persino danneggiare il nervo ottico e causare la cecità completa se non viene trattata tempestivamente in primis con colliri che hanno l’obiettivo di far diminuire la pressione intraoculare e successivamente con opportuni trattamenti laser.

 

  • corioretinite risposta infiammatoria anche severa che colpisce la zona posteriore dell’occhio con origine infettiva. Danneggiando il nervo ottico in maniera non reversibile, può portare ad importanti danni al visus

 

  • retinite pigmentosa: distrofia retinica, caratterizzata dalla graduale perdita dei fotorecettori e dalla disfunzione dell’epitelio pigmentato. Questo significa che la retina riduce progressivamente la propria capacità di trasmettere le informazioni visive al cervello tramite il nervo ottico; anche in questo caso la natura è congenita ed infettiva provocata da rubivirus.

09/Ott/2023

ANCORA A PROPOSITO DI PATOLOGIE RARE: Ulcera di Mooren

L’ulcera di Mooren, anche chiamata ulcera rodente, è una rara forma di cheratite (infiammazione della cornea) cronica, che si localizza inizialmente alla periferia della cornea per poi spostarsi circonferenzialmente e centripetamente. È una condizione rara ma piuttosto grave, la causa è autoimmune.

La patologia di Mooren colpisce principalmente il sesso femminile e le razze asiatiche ed africane, ma si presentano alcuni casi anche in Europa.

In base alle caratteristiche cliniche, ai reperti fluor-angiografici e alla risposta al trattamento sono stati riconosciuti 3 diversi tipi di patologie:

  • Ulcerazione Monolaterale che colpisce principalmente pazienti anziani di razza bianca di solito di sesso femminile: i segni sono dati da un’ulcera progressiva accompagnata da forte dolore e associata ostruzione vascolare superficiale.
  • Ulcerazione aggressiva bilaterale la quale si presenta per lo più nei pazienti giovani di sesso maschile di origine Indiana; essa è meno dolorosa rispetto al tipo monolaterale ed è data da ulcerazione progressiva della circonferenza con diffusione centripeta tardiva. L’angiografia con fluoresceina mostrano la neo vascolarizzazione con infiltrazione che si estende alla base dell’ulcera.
  • Ulcera bilaterale non dolorosa che colpisce di solito i pazienti di mezza età di origine indiana malnutriti. I segni sono dati da formazione progressiva di un solco periferico fastidioso con una risposta infiammatoria minima che spesso si risolve spontaneamente.

 

SINTOMATOLOGIA

I segni comuni a tutte le forme di Ulcera di Mooren in ordine di comparsa sono: infiltrazione corneale periferica 2-3 mm dal limbus; ulcera corneale semilunare caratterizzata dall’estesa erosione al di sopra dell’infiltrato; diffusione su tutta la circonferenza centrale.

Lo stato riparativo è caratterizzato da assottigliamento, vascolarizzazione e cicatrizzazione. È possibile la comparsa di cataratta secondaria. Se la sclera non è coinvolta la perforazione è rara.

 

TRATTAMENTO

Il trattamento dell’ulcera di Mooren si differenzia a seconda di quale caso tra quelli sopra descritti della patologia viene individuato durante la diagnosi:

Nel caso di ulcerazione monolaterale il trattamento è difficile a causa della scarsa risposta all’immunoterapia sia topica che sistemica della patologia; anche risultati del trapianto di cornea non sono soddisfacenti con recidive corneali e possibile recidiva dell’ulcerazione del lembo.

Per l’ulcerazione aggressiva bilaterale il trattamento si avvale dell’utilizzo di Metilprednisolone per via endovenosa eseguiti da steroidi topici sistemici o agenti citotossici. Inoltre può anche essere utilizzata la ciclosporina topica o sistemica. I risultati sono abbastanza soddisfacenti dal punto di vista clinico.

Nella terza sintomatologia che in realtà è la meno grave e quella legata ad una particolare etnia geografica dove se ne riconosce la diffusione prevalente, Il trattamento prevede il miglioramento della dieta e la risoluzione delle infezioni associate.

Come prima linea di terapia inoltre, un regime immunosoppressivo aggressivo e personalizzato sulla base della sua gravità, migliora le possibilità di controllo della malattia anche in casi di patologia molto aggressiva.

Studi hanno invece evidenziato che la resezione coniugale e l’applicazione della colla di cianoacrilato non sono efficaci nell’evitare le ricorrenze e fermare la progressione della malattia.

 

APPROFONDIMENTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  1. Br J Ophthalmol. 2013 Nov  – “Immunosuppression for Mooren’s ulcer: evaluation of the stepladder approach–topical, oral and intravenous immunosuppressive agents.” – Ashar JN, Mathur A, Sangwan VS. Cornea and Anterior Segment Services, L V Prasad Eye Institute, Hyderabad, Andhra Pradesh, India
  2. Br J Ophthalmol. 2016 Jul  –  “Efficacy of conjunctival resection with cyanoacrylate glue application in preventing recurrences of Mooren’s ulcer.” –  Lal I, Shivanagari SB, Ali MH, Vazirani J. Cornea and Anterior Segment Services, LV Prasad Eye Institute, GMRV Campus, Visakhapatnam, Andhra Pradesh, India

 


07/Set/2023

La corioretinite è un’infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio: in particolare coroide, retina e corpo vitreo.

Si parla allo stesso modo di corioretinite,  coroidite, retino-coroidite (l’infiammazione ha inizio a livello retinico e successivamente colpisce la coroide) e vasculite retinica, ma la differenza è in realtà più teorica che pratica: la nomenclatura varia principalmente a seconda della localizzazione iniziale dell’infiammazione.

Una distinzione va fatta invece con la corioretinopatia sierosa centrale che è caratterizzata da un distacco sieroso del neuroepitelio al polo posteriore, causato dal passaggio di fluido dalla coroide nello spazio sotto-retinico attraverso un difetto dell’epitelio pigmentato; non è però caratterizzato dal processo infiammatorio caratteristico delle corioretiniti.

 

CAUSE

Le corioretiniti possono essere distinte in quelle con causa infettiva e non infettiva. Più in particolare:

  • infettiva (batteri, virus, miceti, parassiti): provocate da tubercolosi, sifilide, toxoplasmosi, toxocariasi, infezioni erpetiche, candidosi e rosolia. Nei pazienti con immunodepressione primaria (malattie autoimmuni) o acquisita (malati di AIDS) è frequente la corioretinite da Citomegalovirus, Hystoplasma e Criptococco;
  • non infettiva: più frequentemente provocate da sarcoidosi, malattia di Behçet (SD) e sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada.

 

PRINCIPALI SINTOMI e DIAGNOSI della CORIORETINITE

Generalmente il sintomo principale è la riduzione della vista sia a causa   dell’infiammazione che del conseguente intorbidamento del corpo vitreo.

È caratterizzata dalla presenza di focolai infiammatori sulla superficie della retina. La malattia può essere a focolaio unico, a focolai multipli e disseminati (CORIORETINITE MULTIFOCALE) oppure diffusa. Si può presentare in forma purulenta o essudativa. La prima forma è causata da agenti infettivi (batteri, virus, funghi, parassiti), mentre quella essudativa è rara, di origine ignota e si presenta in età giovanile, con emorragie retiniche seguite da fenomeni degenerativi.

I disturbi dipendono dalla localizzazione dei focolai infiammatori sulla retina. Infatti, se si localizzano a livello della macula (centro della retina) o si presentano in maniera diffusa, la funzione visiva è gravemente compromessa. Inoltre, se vi è un interessamento infiammatorio del vitreo (corpo vitreo torbido) si ha la comparsa di miodesopsie (corpi mobili filiformi o puntiformi presenti all’interno del vitreo che proiettano sulla retina la loro ombra) e sintomi legati alla retinite concomitante: sensazioni luminose come fosfeni (lampi di luce), metamorfopsie (distorsione delle immagini) e micropsie (rimpicciolimento delle immagini).

La diagnosi si esegue con l’esame del fondo oculare. I focolai infiammatori di corioretinite possono essere isolati o confluenti fra loro e, all’esame oftalmoscopico, appaiono come chiazze bianco-grigiastre a bordi sfumati, che spiccano sul restante fondo rosso. Il vitreo sovrastante è di solito lievemente torbido. Nella forma essudativa attiva si riscontra la presenza di un focolaio infiammatorio che ha l’aspetto di un nodulo sfumato biancastro con vitreo sovrastante torbido. All’esame oculistico può essere evidenziata l’infiammazione all’interno del bulbo oculare (camera vitrea), talvolta così intensa da rendere impossibile l’esplorazione della retina retrostante. Molto spesso si riscontra una vasculite retinica: i vasi si infiammano, si possono restringere fino all’occlusione.

A guarigione avvenuta, ossia il focolaio si spegne, la lesione si cicatrizza e assume l’aspetto di un’area retinica con pigmentazione irregolare e vitreo sovrastante rischiarato.

Altri esami di approfondimento includono la fluoroangiografia, ed esami del sangue che mirano a individuare eventuali agenti patogeni.

La vasculite può essere responsabile di complicanze anche invalidanti per la funzione visiva come, ad esempio, l’edema papillare (del nervo ottico), la maculopatia cistoide, il distacco di retina e le endoftalmiti.

 

TERAPIA

A prescindere dalla causa alla base dell’infiammazione, la terapia si avvale fondamentalmente di cinque categorie di farmaci: i corticosteroidi, i midriatici e i cicloplegici, gli immunosoppressori, gli antinfiammatori non steroidei e antibiotici.

I cortisonici rappresentano il cardine del trattamento antiuveitico. Possono essere somministrati per via locale (colliri o pomate), sistemica (orale, intramuscolo o endovena) e per via perioculare (iniezioni dietro al bulbo oculare). Ovviamente per le uveiti causate da determinati agenti patogeni (come sifilide, toxoplasmosi e tubercolosi) sarà necessario effettuare terapie specifiche e mirate alla cura dell’infezione primaria.


13/Lug/2023

Malattie genetiche rare

LE RETINOPATIE LEGATE AL CROMOSOMA X

Le retinopatie legate al cromosoma X rappresentano un gruppo di malattie ereditarie della retina, che costituiscono un’importante causa di cecità soprattutto nei bambini.

Trattandosi di un gruppo eterogeneo di malattie, anche i meccanismi patogenetici alla base di queste patologie possono essere differenti tra loro. Tuttavia, le retinopatie legate al cromosoma X sono solitamente causate da mutazioni genetiche che provocano una perdita della funzione di alcune proteine e, per questo, rappresentano un ottimo target per le strategie di terapia genica.

Molte delle retinopatie legate al cromosoma X vengono trasmesse alla progenie da madri portatrici sane (cioè che non sviluppano la malattia, ma possono trasmetterla) e questo, nel tempo, ha aiutato i medici a conoscere sempre meglio le modalità di trasmissione ereditaria di queste patologie.

Dati pubblicati di recente dal Center for Hereditary Retinal Degenerations della University of Pennsylvania hanno riscontrato una base genetica nel 52% dei pazienti con retinopatia e, di questi, il 17% aveva una retinopatia legata al cromosoma X.

In primo luogo la RETINITE PIGMENTOSA

La retinite pigmentosa è una degenerazione lentamente progressiva e bilaterale della retina e dell’epitelio pigmentato retinico, causata da varie mutazioni genetiche. I sintomi comprendono emeralopia e riduzione del campo visivo periferico. La diagnosi si basa sull’esame del fondo oculare, che mostra pigmentazione a forma di spicole ossee nella retina equatoriale, restringimento delle arteriole retiniche, pallore cereo del disco ottico, cataratta sottocapsulare posteriore e cellule nel vitreo. L’elettro-retinogramma è utile per confermare la diagnosi. La vitamina A palmitato, acidi grassi omega-3 e luteina più zeaxantina possono contribuire a rallentare la progressione della perdita della vista.

La retinite pigmentosa sembra essere causata da un gene anomalo che codifica per le proteine retiniche; sono stati identificati parecchi geni. La trasmissione può essere autosomica recessiva, autosomica dominante o, raramente, legata al cromosoma X. Può rientrare nell’ambito di una sindrome (p. es., bassen-Kornzweig, Laurence-Moon). Una di queste sindromi comprende pure la perdita congenita dell’udito (sindrome di Usher).

L’ereditarietà legata al cromosoma X e le modalità genetiche di trasmissione delle retinopatie

Le malattie causate da variazioni di sequenza nei geni presenti sul cromosoma X sono note come malattie “X-linked”.

I cromosomi X e Y sono detti cromosomi sessuali, perché determinano il sesso del nascituro (XX per le donne e XY per gli uomini). Il cromosoma X contiene circa 1000 geni, rispetto ai circa 70 presenti sul cromosoma Y. Per equilibrare questa grande differenza, uno dei due cromosomi X, nelle donne, va incontro a un fenomeno detto “inattivazione”. Si tratta di un processo fisiologico che causa il silenziamento casuale di uno dei due cromosomi X, i cui geni, di conseguenza, non vengono espressi.

È stato dimostrato che alcuni dei geni legati al cromosoma X, che sono stati individuati tra le cause di malattie retiniche, come i geni RPGRRP2 e CACNA1F (associati alla retinite pigmentosa e ad altre retinopatie) subiscono tutti una completa inattivazione.

Alcuni geni legati allo sviluppo di retinopatie

Come detto, le forme di retinopatie legate a mutazioni o inattivazione dei geni presenti sul cromosoma X sono molteplici. Tra queste, alcune delle più frequenti, sono legate ai seguenti geni:

  • RPGR

RPGR (retinitis pigmentosa GTPase regulator) è stato il primo gene identificato come causa della retinite pigmentosa legata al cromosoma X.

Le mutazioni di RPGR sono responsabili di diversi tipi di malattia, tra cui la distrofia dei bastoncelli-coni (70%), la distrofia dei coni-bastoncelli (6-23%) e la distrofia dei coni (7%). (degenerazione primaria dei bastoncelli/coni, associata ad un marcato interessamento secondario dei coni/bastoncelli, con aspetto variabile del fondo oculare)

La retinite pigmentosa (RP) mostra un’ereditarietà legata al cromosoma X nell’8-16% dei pazienti con una prevalenza di maschi affetti di circa 1:15.000-1:26.000.

Il gene RPGR è responsabile di oltre il 70% di questi casi. La RP legata al cromosoma X tende ad avere un fenotipo più grave e si presenta spesso durante l’infanzia (in media a 5 anni di età).

  • RP2

Il gene della retinite pigmentosa RP2 è stato il secondo gene identificato come causa di RP legata al cromosoma X. Le mutazioni di questo gene sono responsabili di circa il 10-20% dei casi di RP legata al cromosoma X. I pazienti presentano caratteristiche tipiche della RP, tra cui cecità notturna, costrizione del campo visivo e conseguente riduzione dell’acuità visiva.

  • CHM

Varianti del gene CHM sono responsabili della degenerazione corioretinica nella coroideremia (degenerazione progressiva dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) e della coroide con prognosi sfavorevole per la vista nella quasi totalita’ dei casi).

La coroideremia colpisce da 1:50.000 a 1:100.000 persone, con un’alta prevalenza in Finlandia. I maschi sviluppano sintomi di nictalopia nella prima decade di vita, seguiti da una costrizione del campo visivo progressiva. È stato anche riportato che i pazienti con coroideremia hanno una riduzione generalizzata della visione dei colori, evidente già all’inizio della malattia.

La coroideremia è solitamente una malattia retinica isolata, tuttavia sono state osservate anche associazioni sindromiche. In questi casi la patologia è associata a perdita dell’udito, deterioramento cognitivo, labbro leporino e palatoschisi, deformità scheletriche, acrocheratosi.

  • RS1

La retinoschisi legata al cromosoma X è una condizione che colpisce approssimativamente 1:15000-1:30.000 individui maschi, che tipicamente presentano sintomi di riduzione della visione centrale in età scolare, strabismo o anisometropia. La prognosi è spesso relativamente buona nell’infanzia, a meno che non si verifichino distacco di retina o emorragia del vitreo, che sono associati a una prognosi infausta. Circa il 50% dei pazienti presenta anche alterazioni retiniche periferiche. Un sottogruppo di pazienti presenta una retinoschisi bollosa, che tende a presentarsi nell’infanzia con strabismo, riduzione significativa della vista, nistagmo, mosche volanti secondarie a emorragia del vitreo o pupilla di forma irregolare.

Terapie geniche sperimentali

Attualmente per le retinopatie sono in fase di sperimentazione clinica una serie di nuove terapie, che probabilmente verranno ulteriormente sviluppate nei prossimi anni. Gli approcci terapeutici possono essere classificati in due tipi: quelli che mirano a rallentare il tasso di degenerazione e ridurre al minimo la perdita della funzione visiva e quelli che puntano a ripristinare la funzione visiva nella malattia allo stadio terminale.

La terapia genica è l’approccio terapeutico più avanzato per le varianti che causano una perdita di funzione ed è già disponibile un trattamento di sostituzione genica autorizzato per la malattia autosomica recessiva associata al gene RPE65.

Altri metodi sono impiegati in diverse fasi di sviluppo e non sono stati ancora applicati alle retinopatie legate al cromosoma X, ma sembrano promettenti. Questi includono gli oligonucleotidi antisenso (che sono piccole molecole che alterano l’espressione dell’RNA), l’editing genetico (ad esempio la tecnica di recente sviluppo CRISPR/cas-9) e l’editing dell’RNA.

Altri approcci includono farmaci locali o sistemici, volti a migliorare la sopravvivenza cellulare.

 

Bibliografia

Samantha R.De Silva et al., The X-linked retinopathies: Physiological insights, pathogenic mechanisms, phenotypic features and novel therapies, Progress in Retinal and Eye Research

 

 

 


13/Lug/2023

Studi e terapie innovative

USO DELL’ INSULINA NELLA CURA DEL GLAUCOMA AD ANGOLO APERTO E DI ALTRE PATOLOGIE A CARICO DELLA RETINA

Il glaucoma, una delle principali cause di cecità irreversibile in tutto il mondo; è caratterizzato da una perdita permanente delle cellule gangliari della retina, un gruppo di neuroni del sistema nervoso centrale che trasmettono le informazioni visive dalla retina al cervello attraverso terminazioni nervose dette assoni.

Clinicamente, il danno assonale in questa patologia provoca una perdita del campo visivo e può portare alla cecità. Attualmente, la riduzione della pressione oculare rimane l’unico obiettivo delle terapie comprovate per il glaucoma. Tuttavia, molti pazienti continuano a perdere la vista anche quando vengono attuati interventi standard.

I dendriti sono tipicamente ramificazioni neuronali che determinano come questi ultimi ricevono e integrano le informazioni. La retrazione dei dendriti e la rottura delle sinapsi sono segni precoci di diversi disturbi neuro/degenerativi. I neuroni hanno una capacità estremamente limitata di rigenerarsi dopo una lesione.

Recentemente l’insufficiente segnalazione dell’insulina è stata implicata in malattie caratterizzate da patologia dendritica, in particolare il morbo di Alzheimer e il glaucoma. l’insulina infatti attraversa la barriera emato-encefalica e influenza numerosi processi cerebrali.

Studi recenti hanno dimostrato che la somministrazione di insulina dopo la lesione del nervo ottico ha provocato una robusta ricrescita dendritica, la sopravvivenza delle cellule gangliari della retina e il salvataggio delle risposte retiniche, fornendo la prima prova di una rigenerazione dendritica riuscita nei neuroni dei mammiferi. Una ricerca [1] convalida la terapia insulinica come un potente farmaco per ripristinare la funzione dendritica nel glaucoma, formando la base per l’utilizzo dell’insulina come trattamento del glaucoma negli esseri umani.

Attualmente, l’insulina è largamente utilizzata nella cura del diabete. Gli eventi avversi comprendono ipoglicemia, ipokaliemia, lipodistrofia, allergie, aumento di peso, edema periferico e interazioni farmacologiche. L’uso sperimentale di insulina topica oculare è stato testato in piccole coorti di individui sani e pazienti diabetici, senza riportare eventi avversi significativi. Tuttavia, questi protocolli variavano nella posologia dell’insulina e gli eventi avversi sono stati solo accennati brevemente, indicando la necessità di caratterizzare meglio il profilo di sicurezza di tale uso off-label dell’insulina prima della sua applicazione come trattamento neuroprotettivo e rigenerativo per il glaucoma.

In questo studio, i ricercatori ipotizzano che l’insulina oculare topica (fino a 500 U/ml) una volta al giorno sia sicura nei pazienti con glaucoma ad angolo aperto.

Natura sperimentale del farmaco: trattamento

Secondo lo studio a cui stiamo riferendoci, applicazione topica di insulina con concentrazioni di 100 U/ml [2] e 500 U/ml [3] una volta al giorno agli occhi con diagnosi di glaucoma ad angolo aperto. (entrambi i prodotti di insulina sono approvati da Health Canada per uso sottocutaneo ed endovenoso per il trattamento del diabete mellito). La via di somministrazione proposta e l’indicazione dell’uso di insulina in questo studio sono di natura off-label, ma vuole dimostrare che l-uso dell’insulina oculare topica (fino a 500 U/ml) una volta al giorno è sicura nei pazienti con glaucoma ad angolo aperto, questo documentando e segnalando eventuali eventi avversi oculari e/o sistemici associati a colliri insulinici topici.

 

Bibliografia

[1] – Sicurezza delle gocce di insulina per uso topico per il glaucoma ad angolo aperto – 4 aprile 2023 – Centre hospitalier de l’Université de Montréal (CHUM) Registro degli studi clinici negli Stati Uniti – Sperimentazione clinica NCT04118920

[2] –  Humulin R U-100, Eli Lilly Canada, St-Laurent, Quebec, Canada

[3] – Entuzity, Eli Lilly Canada, St-Laurent, Quebec, Canada

 

 

 


14/Giu/2023

FOCUS MALATTIE RARE CON SINTOMI OFTALMOLOGICI:

Questo articolo vuole illustrare due malattie rare di trasmissione genetica che presentano distinti sintomi oftalmologici: se non correttamente valutate possono essere confuse con altre patologie.

LA SINDROME DI KEARNS – SAYRE

La sindrome di Kearns-Sayre (KSS) è una malattia rara (1/120.000 soggetti) generata da un raro errore congenito del metabolismo; essa è caratterizzato da oftalmoplegia esterna progressiva (PEO – con questo acronimo si intende una delle manifestazioni cliniche più comuni delle malattie mitocondriali; caratteristiche fondamentali di questa sindrome sono la ptosi palpebrale e la progressiva debolezza dei muscoli che governano i movimenti degli occhi) e retinite pigmentosa e per questo confusa appunto con la PEO progressiva.

La differenza tra le due patologie è che la prima esordisce in giovane età, la seconda invece colpisce soggetti adulti tra i 60 e gli 80 anni.

Entrambe le sindromi causano ptosi palpebrale (palpebra cadente) con paralisi dei muscoli oculari, con sguardo del paziente fisso e impossibilità di movimento degli occhi.

Altri sintomi associati spesso alla sindrome sono la presenza di retinite pigmentosa e diversi sintomi di natura neurologica: difficoltà nella parola, deficit cognitivo, cardiopatia, sordità e atassia cerebellare, non necessariamente presenti insieme.

La trasmissione genetica della sindrome di Kearns-Sayre avviene per via materna essendo trasmessa dalla cellula uovo; si tratta di una malattia mitocondriale, colpiscono cioè il mitocondrio che è il fornitore dell’energia del neurone. I geni coinvolti nella mutazione sono multipli e rappresentano la causa di anomalie multiple del DNA mitocondriale. La trasmissione può essere sia dominante che recessiva.

DIAGNOSI

La diagnosi genetica prevede il sequeziamento (tramite materiale raccolto con biopsia muscolare) del DNA mitocondriale e dei geni nucleari che permette di diagnosticare la mutazione.

Esistono comunque varianti della sindrome (es. sindrome di Melas e sindrome di Merrf) che associano altri sintomi come perdita totale di vista e udito e forme di epilessia.

TERAPIA

Le cure per la sindrome di Kearns-Savre sono essenzialmente sintomatiche.

Buoni risultati si possono ottenere somministrando Idebenone, per salvaguardare la vita delle cellule mitocondriali, in associazione a zafferano ad alti dosaggi che riduce gli eventi infiammatori che sono alla base di tutte le patologie degenerative.

Al momento non esistono terapie geniche, ma sono in corso studi a questo proposito in molti laboratori di ricerca.

 

LA SINDROME KIF2IA     

Sindrome genetica estremamente rara che comporta fibrosi congenita dei muscoli extra-oculari. Fin dalla nascita i neonati presentano subito una ptosi palpebrale e oftalmoplegia (alterazione della motilità oculare). I bambini non sembrano più in grado di gestire i muscoli interessati tanto che talvolta presentano atteggiamenti di esotropia o exotropia con impossibilità nei movimenti oculari.

Questa mutazione risulta molto più diffusa nelle popolazioni di origine libanese, siriana o marocchina; i rarissimi casi che si osservano in Italia sono quasi sempre in bambini con genitori naturali di questa provenienza (immigrati o adottati).

Per gli effetti legati alla grave ptosi i piccoli pazienti si presentano con il mento sollevato (effetto chin-up), ma per il resto la visione risulta assolutamente normale lo stesso si evidenzia sia per le funzioni cognitive che motorie.

La sindrome presente nel cromosoma K causa un danno della kinesina, una proteina necessaria ad un perfetto funzionamento neuro-vascolare. La malattia è trasmessa in eterozigosi, ma anche in forma dominante; esistono anche casi di ambliopia, coloboma del nervo ottico, glaucoma e cataratta.

TERAPIA

La terapia è di natura esclusivamente chirurgica e consiste nell’intervento sulla ptosi palpebrale congenita.

Alcuni pensano che intervenendo con neurochirurgia o chirurgia maxillo-facciale sulla fibrosi dei muscoli retrobulbari si possa avere un miglioramento nella motilità oculare, ma al momento nessuno ha mai effettuato questo trattamento sperimentale.

 

malattia di Vogt-Koyanagi-Harada

La malattia di Vogt-Koyanagi-Harada è una patologia sistemica molto rara, l’incidenza è stimata in circa 1/400.000 casi l’anno, le donne tra i 20 e i 30 anni sono colpite di più degli uomini

La sindrome si manifesta con una panuveite granulomatosa diffusa, cronica, bilaterale, caratterizzata dal distacco della retina di tipo essudativo, spesso associata a alterazioni neurologiche (meningite), dell’udito e della cute.

È particolarmente diffusa tra i soggetti di origine asiatica, indiana, nei discendenti degli indiani d’America e negli Ispanici, ad essa è infatti riconosciuta una base genetica che si ipotizza sia legata all’alterazione di alcune proteine motrici denominate chinesine; tale alterazione genera una risposta autoimmune contro normali costituenti dell’organismo, nello specifico contro i melanociti, cellule contenenti melanina, localizzate nel tratto uveale, nella cute, nell’orecchio interno e nelle meningi.

SINTOMATOLOGIA

L’esordio della malattia è di solito sistemico ed aspecifico: febbre, cefalea, indolenzimento, ma subito dopo sintomi neurologici tendono a manifestarsi precocemente e comprendono acufeni, abbassamento dell’udito, vertigini, cefalea e meningismo. I riscontri cutanei compaiono spesso più tardi e comprendono vitiligine a chiazze (particolarmente frequente su palpebre, regione lombare e natiche), poliosi (una chiazza localizzata di capelli bianchi, che può coinvolgere le ciglia) e alopecia.

La fase oftalmologica compare pochi giorni dopo; il paziente lamenta visione offuscata, dolore ai globi oculari e scotoma centrale (bilaterale nell’80% dei casi). Spesso si verifica un distacco della retina, bilaterale, di tipo essudativo, edema del disco ottico e coroidite.

Le uveiti ricorrenti caratterizzano l’ultimo stadio, la fase cronica. Altre complicanze sono la comparsa di cataratta, glaucoma, fibrosi sottoretinica, e neo-vascolarizzazione coroideale.

 

TRATTAMENTO

Il trattamento precoce comprende corticosteroidi locali e sistemici e un farmaco cicloplegico-midriatico (che agisce dilatando la pupilla). Molti pazienti rispondono inoltre al trattamento con immunosoppressori non-steroidei.

Utilizzando un trattamento precoce ed aggressivo la prognosi di solito è favorevole, anche se possono recidivare i disturbi acuti alla vista e all’udito.


28/Mar/2023

MALATTIE RARE CON MUTAZIONE DEL GENE ABCR4: STUDI CLINICI E NUOVI ORIZZONTI DI CURA

Malattia di Stargardt: farmaco a base di zafferano sembra bloccare la degenerazione retinica

Uno studio clinico senza precedenti condotto da esperti della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli mostra l’efficacia dello zafferano, per la prima volta su pazienti, come cura per una grave malattia degenerativa della vista, la sindrome di Stargardt, una rara malattia genetica.[1]

Il trattamento è semplice e senza effetti collaterali.

La malattia di Stargardt è una degenerazione ereditaria della macula; i sintomi consistono soprattutto nella riduzione della visione centrale, che inizia durante l’adolescenza o, comunque, in giovane età essendo associata ad una mutazione genetica. Inoltre, i pazienti possono lamentare disturbi nella percezione dei colori (discromatopsia), macchie nere nel campo visivo (scotomi centrali) e intolleranza alla luce (fotofobia). La malattia è causata da mutazioni del gene chiamato ABCA4, il cui malfunzionamento provoca disfunzione e perdita delle cellule retiniche (distrofia dei coni). La malattia compare quando l’individuo ha entrambe le copie del gene con le mutazioni. La progressione della malattia è legata a fenomeni neuro-infiammatori indotti dal crescente stress ossidativo delle cellule retiniche che vengono intaccate dai radicali liberi.

 Nel trial clinico citato, sono stati coinvolti 31 pazienti con Stargardt trattati con 20 milligrammi al giorno di zafferano (Repron, brevetto internazionale) in compresse. I pazienti hanno assunto lo zafferano per sei mesi e poi una sostanza placebo per i successivi sei.

La funzione visiva si è mantenuta stabile durante i sei mesi di trattamento mentre tendeva a deteriorarsi durante l’assunzione del placebo.

Si tratta di una nuova dimostrazione dei potenti effetti terapeutici dello zafferano; in studi meno recenti su modelli animali è stato dimostrato che lo zafferano riduceva la morte cellulare causa della degenerazione retinica, contrastava l’attivazione di processi neuro-infiammatori e manteneva la funzione visiva più a lungo rallentando la progressione del processo neurodegenerativo della retina.

Nell’uomo l’efficacia del trattamento con zafferano è stata dimostrata in pazienti con degenerazione maculare legata all’età (DMLE) in fase iniziale o mediamente avanzata non essudativa [2]

A conclusione della Fase II di sperimentazione, si può dire non solo che il farmaco è stato ben tollerato, ma anche che riesce a rallentare il processo neurodegenerativo della retina, quel processo che nelle persone con Stargardt porta progressivamente alla cecità. La malattia di Stargardt, pur essendo rara, rappresenta la forma più comune di distrofia ereditaria della macula, con una prevalenza di circa 1 caso ogni 8-10mila individui. Nella maggior parte dei pazienti, la patologia è dovuta a mutazione del gene ABCR4; lo studio clinico di Fase II condotto nella malattia di Stargardt, e reso possibile anche grazie al contributo della Fondazione Telethon, sembra aprire la strada alla concreta possibilità di una terapia basata proprio sull’utilizzo dello zafferano.

Il LICOPRENE

Una molecola naturale di uno spiccato potere antiossidante e citoprotettivo

Antiossidanti a contrasto dei radicali liberi

Il licopene è una sostanza naturale presente in alcuni alimenti di origine vegetale. Appartiene al gruppo dei carotenoidi, un insieme di pigmenti di colore giallo-violetto molto diffusi in natura. L’interesse scientifico verso il licopene è dovuto alle sue spiccate proprietà antiossidanti.

In quanto carotenoide, il licopene è contenuto soprattutto in alcuni alimenti del regno vegetale. Se consideriamo il contenuto di licopene nei vari cibi, il pomodoro è sicuramente l’alimento principe (ne contiene da 3 a 40 mg per kg di prodotto fresco). Altre fonti minori sono rappresentate da vegetali come pompelmo rosa, arance rosse, carote, albicocche e cocomeri.

Negli ultimi anni, l’integrazione con licopene ha assunto un grande rilievo, sia clinico che sperimentale. Diverse sono le attività biologiche del licopene e le conseguenti utilità cliniche attribuitegli.
Attualmente al licopene vengono ascritte:

  • Proprietà antiossidanti, importanti nel contrastare l’azione lesiva delle specie reattive dell’ossigeno sulle strutture cellulari e nel prevenire l’ossidazione del colesterolo LDL;
  • Proprietà antiaterogene e cardioprotettive, legate sia all’azione inibitrice nei confronti dell’enzima HMG-CoA reduttasi (coinvolto nella sintesi endogena di colesterolo), sia alla capacità di indurre l’espressione di recettori per le LDL sulla superficie dei macrofagi;
  • Proprietà antitumorali, dirette soprattutto nei confronti del tumore alla prostata, e preziose per la capacità di preservare la funzionalità di geni coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare.
  • Al licoprene si riconoscono soprattutto proprietà antiossidanti a contrasto dei radicali liberi e quindi la sostanza risulta efficace come coadiuvante nel trattamento delle sindromi degenerative della retina legate all’accumulo di sostanze di scarto (lipofruscina).

 

Il mio punto di vista

Per quanto concerne il mio parere professionale ritengo che questo studio sia estremamente rilevante nella cura di questa tipologia di patologie; dal punto di vista clinico sto attualmente utilizzando per alcuni miei pazienti una dose doppia (40mg di Repron) di zafferano in associazione ad un agente antiossidante mitocondriale, soprattutto in quei pazienti affetti da neuropatie ottiche di base genetica (sindrome ereditaria di Leber), o nelle molteplici forme di degenerazioni retiniche spesso non classificabili dove si osservano mutazioni del materiale genetico dei mitocondri.

 

 

[1] Quanto esposto nell’articolo è emerso da uno studio pubblicato sulla rivista “Nutrients” coordinato dal professor B.Falsini, professore associato dell’Istituto di Oftalmologia all’Università Cattolica e specialista presso l’UOC di Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, insieme alla professoressa S.Bisti dell’Università degli Studi dell’Aquila.

[2] Secondo quanto emerso dal trial condotto dal  professor Falsini e confermato in altri trial clinici di altre università e Paesi.

 


31/Gen/2023

Occhio e palpebra: il coloboma

Il coloboma è un difetto di sviluppo dell’occhio o della palpebra. Presente sin dalla nascita, questa anomalia congenita implica l’assenza di tessuto in una o più strutture oculari, come cornea, iride, corpo ciliare, cristallino, retina, coroide e disco ottico.

Il coloboma può manifestarsi isolatamente o come parte di differenti malattie genetiche e sindromi neurologiche; può essere un’anomalia isolata, in soggetti altrimenti normali, o verificarsi come parte di sindromi genetiche che colpiscono anche altri distretti del corpo e determinano malformazioni multisistemiche

Le conseguenze sulla visione variano in base alla localizzazione e all’estensione della malformazione oculare. Ad esempio, un coloboma limitato all’iride non determina problemi di vista, mentre un difetto esteso al nervo ottico o alla retina può compromettere, anche gravemente, la funzione visiva.

A volte, l’occhio può essere di dimensioni ridotte (microftalmia) o possono essere presenti altre anomalie oculari come: cataratta, glaucoma, nistagmo (movimenti oculari involontari), fotofobia o strabismo.

Un coloboma dell’iride può essere evidente a causa di una piccola porzione mancante, che conferisce un aspetto ovale alla pupilla.

Un piccolo o grande difetto di sviluppo nelle strutture più profonde di uno o di entrambi gli occhi, invece, può essere diagnosticato solo quando viene esaminato il fondo oculare durante un esame oculistico di routine.

Il coloboma corioretinico ad esempio si può presentare in età adulta, con la perdita della vista associata al distacco della retina.

Il coloboma della palpebra è dovuto alla mancanza di una piccola porzione alla quasi totale assenza del tessuto palpebrale. Più comunemente, la condizione colpisce la palpebra superiore.

Esempio di coloboma dell’iride

Cause

Il coloboma dell’occhio è causato da una chiusura difettiva della fessura coroide durante le prime fasi dello sviluppo prenatale, intorno alla 5a-7a settimana di gestazione. Questo evento provoca una malformazione nel tessuto di una o più strutture oculari, che può essere unilaterale o bilaterale (cioè colpire uno od entrambi gli occhi).

Il coloboma delle palpebre può avere diverse cause non correlate ad anomalie del globo dell’occhio. La malattia insorge a causa di una fusione difettosa delle pieghe palpebrali, a circa 7-8 settimane di gestazione. Diversi fattori genetici (anomalia cromosomica)) e/o ambientali (sindrome alcolica fetale, carenza di vitamina A, farmaci, toxoplasmosi, citomegalovirus) possono concorrere a determinarne l’insorgenza.

Trattamento

Attualmente, non esiste un trattamento universale per la disabilità visiva causata dal coloboma.

I dispositivi per correggere gli errori di rifrazione possono contribuire a migliorare l’acuità visiva. Inoltre, lo specialista può raccomandare trattamenti particolari per gestire altri problemi associati alla malformazione, come la cataratta, la crescita di nuovi vasi sanguigni nella parte posteriore dell’occhio, lo strabismo e l’ambliopia (se il coloboma è unilaterale).

In caso di una grave microftalmia (uno o entrambi i bulbi oculari sono anormalmente piccoli), può essere applicata una protesi per assistere lo sviluppo simmetrico del viso.

Altri possibili interventi si possono identificare a seconda del tipo di coloboma:

  • Coloboma dell’iride: per correggere l’aspetto dell’iride, i pazienti con coloboma possono indossare lenti a contatto colorate o ricorrere alla riparazione chirurgica.
  • Coloboma corioretinico: un intervento chirurgico può essere necessario per trattare o prevenire il distacco della retina.
  • Coloboma delle palpebre: il difetto lascia parte della cornea scoperta. Questo può indurre una secchezza oculare eccessiva, dovuta all’evaporazione delle lacrime. L’occhio, di solito, necessita di una lubrificazione supplementare e di un intervento chirurgico riparativo.

 


31/Gen/2023

Patologie della cornea: leucoma

Il leucoma è una patologia della cornea che si presenta come un’opacità biancastra più o meno estesa. Quest’alterazione della superficie dell’occhio risulta da un processo di cicatrizzazione con la formazione di tessuto connettivo fibroso e può dipendere da varie cause (es. infezioni, ferite, ulcerazioni ecc.).

Il leucoma comporta una perdita della trasparenza della cornea, quindi la visione risulta impedita a seconda dell’entità dell’opacità e della posizione rispetto alla pupilla.

 

Il leucoma è di fatto una cicatrice che si forma sulla superficie dell’occhio in seguito ad abrasione meccanica o chimica, infezioni e danneggiamento della cornea.

La cornea è composta da diversi strati: solo il primo di questi, l’epitelio corneale, è capace di rigenerarsi senza sequele. Quando la cornea cerca di ripristinare una lesione più profonda, il processo di cicatrizzazione crea delle opacità. Chiaramente, un leucoma in posizione centrale disturba più di un’opacità paracentrale o periferica della cornea.

Patologie associate

Il leucoma compare come esito cicatriziale di processi patologici diversi, tra cui rientrano:

  • Traumi e lesioni accidentali della cornea (penetrazione di corpi estranei, abrasione corneale, uso non adeguato delle lenti a contatto);
  • Ulcera corneale;
  • Cheratite infiammaroria;
  • Sindrome dell’occhio secco;
  • Ustioni (chimiche o da luce ultravioletta);
  • Cheratocono;
  • Complicanze post-chirurgiche: un leucoma corneale può presentarsi come complicanza d’interventi di chirurgia refrattiva, cross-linking o altre procedure che prevedano il laser ad eccimeri.

 

Leucoma Corneale: molto importante la valutazione dell’estensione e della posizione rispetto alla pupilla della “macchia biancastra”

Sintomi e Complicazioni

Il leucoma si manifesta come un’opacizzazione della cornea, più o meno estesa. I sintomi variano da persona a persona, a seconda dell’entità dell’opacità e del punto in cui è collocata rispetto alla pupilla, ma la presenza si ripercuote chiaramente sulla vista, ostacolandola. A seconda dell’evento causale, il leucoma corneale può interessare uno o entrambi gli occhi.

I sintomi più frequenti sono dolore e bruciore agli occhi e alle palpebre, che può peggiorare con il movimento dei muscoli extraoculari e la luce intensa, fotofobia, lacrimazione eccessiva, offuscamento della vista o alterazione della visione sensazione di corpo estraneo all’interno dell’occhio, mal di testa.

Diagnosi

In caso di sospetto leucoma corneale,  è necessario consultare il prima possibile l’oculista di riferimento per una corretta diagnosi.

Durante l’esame della vista, il medico specialista rivolgerà al paziente alcune domande circa le attività quotidiane svolte, le possibili cause della lesione, i sintomi avvertiti, la presenza di altre malattie oculari o disturbi pregressi, come il glaucoma.

Per diagnosticare con precisione il leucoma, innanzitutto, è previsto l’esame con lampada a fessura con colorazione con fluoresceina. In pratica, vengono instillate alcune gocce oculari contenenti fluoresceina (giallo-arancio) in combinazione con una luce filtrata cobalto-blu, che esalta la porzione corneale danneggiata o abrasa che risulterà evidente per la colorazione verde che assume.

Per comprendere quanto la posizione del tessuto cicatrizzato renda grave e invalidante il disturbo per la capacità visiva, occorrere approfondire con:

Topografia corneale (mappatura della cornea): questa indagine diagnostica  genera la mappa topografica della superficie anteriore dell’occhio. Uno strumento ottico computerizzato viene utilizzato per proiettare pattern luminosi sulla cornea e misurarne lo spessore. Quando il cheratocono è nelle sue fasi iniziali, la topografia corneale mostra le eventuali distorsioni o cicatrici sulla cornea. In alternativa, può essere utilizzata una tomografia a coerenza ottica (OCT).

Pachimetria corneale: serve per misurare lo spessore della cornea. L’esecuzione della pachimetria è utile per diagnosticare e valutare l’evoluzione di alcune patologie oculari, come il cheratocono, l’edema corneale o il glaucoma. L’esame consente, inoltre, di studiare la superficie anteriore dell’occhio per la programmazione di interventi di chirurgia corneale o di correzione refrattiva. Durante l’esame, una sonda – chiamata pachimetro – viene delicatamente posta in prossimità oppure a contatto con la cornea, per misurare il suo spessore.

Trattamento

Il trattamento dipende dalla posizione e dalla gravità del leucoma corneale. In linea generale, più il tessuto danneggiato si avvicina al foro della pupilla, più il disturbo comprometterà la vista.

Per gli esiti cicatriziali sulla cornea che non interferiscono sulla visione – ad esempio, piccoli e periferici – non sempre è indispensabile una terapia.

Per i leucomi superficiali, invece, è possibile intervenire tramite l’ablazione del tessuto cicatriziale con il laser ad eccimeri. Questo genere d’approccio può migliorare la regolarità e la trasparenza della cornea.

Altre opzioni terapeutiche per il leucoma sono l’iridectomia ottica (creazione di una pupilla artificiale in un punto trasparente della cornea) e la cheratoplastica lamellare che consiste in un trapianto di cornea parziale, dove solo una parte della superficie viene sostituita e lo strato interno è preservato (endotelio).

Se il leucoma è molto grave, cioè altera a tutto spessore la superficie corneale, il medico può consigliare un trapianto tradizionale (o cheratoplastica perforante). La procedura comporta la rimozione di un’intera porzione della cornea, per sostituirla con il tessuto di un donatore sano, nella speranza di ripristinare la vista e prevenire la cecità. Condizione necessaria per la buona riuscita dell’intervento è che le cornee vengano espiantate entro cinque ore dalla morte del donatore. Al completamento della procedura, alcune suture consentono di mantenere in posizione la cornea trapiantata. Dopo una cheratoplastica perforante, può essere necessario fino a un anno per recuperare una buona visione. Il trapianto di cornea consente di alleviare i sintomi del leucoma, ma non può ripristinare una perfetta visione. Nella maggior parte dei casi, infatti, al paziente potrebbero essere prescritti occhiali e lenti a contatto per un miglior comfort.

 



Dr. Carmine Ciccarini

STUDIO DI PERUGIA:
Centro Diagnostico Laser Via M. Magnini 18
Tel. 075 5007094 – Tel. 339 2248541

STUDIO DI CHIUSI (In provincia di Siena):
Piazza XXVI Giugno 1944 N.4
Piano secondo
Tel. 339 2248541

P. Iva : 02169660541
carmineciccarini@gmail.com

Privacy Policy - Cookie Policy

Pagine Sì Spa

Ultime Pubblicazioni

Carmine Ciccarini – MioDottore.it